Sweet Home, prodotta ed ambientata in Corea del Sud e rilasciata il 18 dicembre scorso su Netflix, aveva l’aria di essere l’ennesima serie tv in stile «apocalisse zombie», una delle tante nate negli ultimi anni. Nel corso delle tre settimane passate dalla sua pubblicazione, però, la serie horror ha saputo affascinare un gran numero di spettatori in tutto il mondo, tanto da entrare (una prima assoluta per le produzioni sudcoreane) nella top 10 di Netflix USA, piazzandosi addirittura, per breve tempo, al terzo posto.
Ma quali sono gli ingredienti che fanno di Sweet Home, a tutti gli effetti, un prodotto nuovo e di successo? Cerchiamo si scoprirli.
La novità parte dal protagonista
Sarà banale, ma qualsiasi produzione televisiva deve proporre un protagonista che sappia colpire e tenere gli spettatori attaccati allo schermo e Sweet Home, con la sua scelta del tutto particolare, ha fatto sicuramente centro. In un genere in cui il «sopravvissuto» è solitamente un tipo tosto, uno in grado di cavarsela in ogni situazione, la scelta di raccontare la storia di un disadattato è qualcosa di nuovo, forse solamente comparabile (benché lì in chiave comica) a quanto visto in Benvenuti a Zombieland con il personaggio di Columbus (interpretato dal candidato al premio Oscar per The Social Network Jesse Eisenberg).

Quella del giovane Cha Hyun-soo è una storia triste, ma non nuova: è il dramma vissuto da centinaia di migliaia di ragazzi asiatici, i cosiddetti hikikomori. Vittima di gravi abusi a scuola e incompreso dai famigliari, cade in una profonda depressione che lo porta a ritirarsi fisicamente dalla vita sociale ed a rinchiudersi nei pochi metri quadrati della sua camera, mantenendo i contatti con il mondo solo via computer. Spinto sull’orlo del suicidio dalla morte dei genitori e della sorella in un grave incidente stradale, Cha Hyun-soo scopre, con lo scoppiare di un misterioso fenomeno che trasforma le persone in mostri, di avere ancora una gran voglia di vivere e combattere.
Sweet Home affronta con coraggio una tematica difficile come quella della depressione giovanile e la tendenza all’isolamento, piaga, quest’ultima, che ha ormai sorpassato i confini del continente asiatico; una scommessa, quella di mischiarla all’horror, che si è rivelata azzeccata.
Più del solito «morto che cammina»
Negli ultimi 10 anni il filone zombie è divenuto dominante nell’industria televisiva, basti citare l’ormai famosissimo The Walking Dead. Pur rimanendo riconducibile a questo genere ormai ampiamente esplorato, Sweet Home ha voluto proporre qualcosa di diverso e rendere più variegato il mondo di questi mostri, rendendoli più che semplici «morti che camminano». Pur sempre spinti dalla tipica insaziabile fame, i «trasformati» hanno aspetto, caratteristiche ed abilità differenti, tutte squisitamente spaventose. Non si trovano inoltre svuotati di ogni intelligenza: alcuni sono anzi in grado di parlare e tendere trappole ai malcapitati umani.

Non una novità assoluta, qualcuno sarà tentato di sottolineare: già il celebre Romero, maestro dell’horror, aveva portato sul grande schermo, nel suo La terra dei morti viventi (2005) degli zombie «furbi» ed in grado di utilizzare degli utensili. Sweet Home riesce tuttavia ad andare oltre e a proporre creature, nella loro sagacia, ancora più terrificanti.
I limiti di Sweet Home
Tutto perfetto? Non proprio, ad essere pignoli. Benché si tratti sicuramente di una produzione da non perdere per gli appassionati del genere, Sweet Home ha qualche difetto che, forse, potrà essere limato in vista della (probabile) seconda stagione. I mostri, ad esempio, possono a nostro parere essere resi ancora più realistici ed è un peccato che, in alcuni episodi, si sia dato loro poco spazio per concederne di più alle lotte tra sopravvissuti: non va dimenticato, in fondo, qual è l’elemento imprescindibile di questo genere horror.
Una serie tv da godersi con i sottotitoli
Sweet Home è dunque una produzione che riesce ad andare più in profondità rispetto a molte appartenenti allo stesso filone. Il povero Cha Hyun-soo non è assediato solo dalle creature che, letteralmente, bussano alla sua porta pronti a divorarlo: il vero nemico è il mostro più metaforico, la sua psiche.
Un consiglio? Godersi questo prodotto sudcoreano in lingua originale, ovviamente con i sottotitoli.