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Rinnovabili, Svizzera lenta

La Confederazione si piazza solamente al 23.esimo posto in un confronto europeo pubblicato dalla Fondazione dell’energia SES — I dati 
giungono pochi giorni prima della discussione alla Commissione degli Stati sulla legge per un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili

In ambito di energie rinnovabili, la Svizzera è in ritardo rispetto alla maggior parte dei Paesi europei. Lo rileva uno studio della Fondazione svizzera dell’energia (SES), che ha confrontato la produzione pro capite di energia solare ed eolica in Svizzera e nei 27 Stati dell’Unione europea. Ebbene, in questa classifica, il nostro Paese si è piazzato al 23. posto. Secondo il rapporto, solo il 5,6% del consumo di elettricità in Svizzera è stato generato con le due tecnologie rinnovabili. In Danimarca, la percentuale era di circa il 53%. Gli altri Paesi sul podio sono Svezia e Germania. Per quanto riguarda il solare la Svizzera guadagna diverse posizioni, giungendo al 10. posto.

La pubblicazione dei dati arriva pochi giorni prima di decisioni importanti in Parlamento. Venerdì la Commissione dell’ambiente del Consiglio degli Stati discuterà infatti l’ulteriore espansione delle energie «green» (solare in primis) nel quadro della Legge per un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili.

Per Felix Nipkow, uno dei responsabili per il settore clima ed energie rinnovabili della SES, «per risolvere la questione degli investimenti arretrati nell’espansione delle energie rinnovabili, abbiamo bisogno di una copertura contro la volatilità e i bassi prezzi dell’elettricità. Per i grandi impianti solari andrebbe previsto un cosiddetto “premio di mercato fluttuante”». In questo caso, lo Stato garantirebbe all’operatore che presenta l’offerta più vantaggiosa un prezzo per megawattora prodotto per diversi anni. Eventuali sussidi giungerebbero solo se il prezzo di mercato fosse inferiore a quello offerto.

La proposta sembra godere del sostegno del settore. «La situazione attuale dimostra quanto sia imprevedibile il prezzo di mercato», afferma Martin Stucki, portavoce di Axpo citato dal «Tages-Anzeiger». I rischi elevati che gli investitori hanno dovuto sopportare verrebbero minimizzati da un premio di mercato in diminuzione.

«Tariffe di retribuzione giustificate dai costi»

«Per gli impianti più piccoli – conclude Nipkow - (quindi le case private, ndr) sono necessarie tariffe di retribuzione giustificate dai costi». La vede così anche Bruno Storni, consigliere nazionale socialista impegnato nella lotta per il clima. «Per incentivare l’uso del fotovoltaico, il Governo vorrebbe mantenere gli attuali sussidi una tantum e lasciare al privato il rischio d’investimento. È vero che il numero di impianti cresce, ma le condizioni sono ingiuste. In media un impianto costa 20.000 franchi, che si calcola di poter ammortizzare in una quindicina d’anni ai prezzi attuali. Non tutti possono permetterselo. Chi immette energia nella rete viene pagato. Oggi però la maggior parte delle aziende elettriche pagano in funzione del mercato, che oscilla tremendamente, oppure con una tariffa fissa, ma insufficiente. Non è corretto lasciare il rischio al piccolo proprietario di casa per un investimento fondamentale per la svolta energetica. Le aziende elettriche fanno utili per i Comuni e quindi sorvolano sul rinnovabile», afferma il deputato ticinese, che non capisce «perché le aziende che distribuiscono l’acqua potabile non debbano fare utile, mentre quelle che forniscono energia elettrica sì. Si tratta in entrambi i casi di beni di prima necessità».

La totale liberalizzazione del mercato auspicata dal Consiglio federale, inoltre, per Storni non farebbe altro che esasperare le cose. Nel suo messaggio, il Governo scrive invece: «L’apertura completa del mercato assicura una migliore integrazione delle energie rinnovabili, per le quali saranno possibili ad esempio nuovi modelli commerciali (come le comunità energetiche), non consentiti nel regime di monopolio o che sinora non hanno praticamente beneficiato di incentivi per l’innovazione».

«Le comunità energetiche di cui parla il Governo sono realizzabili con complessi costrutti tecnici e legali, quando invece la comunità energetica esiste già ed è la rete di distribuzione elettrica di proprietà pubblica», commenta Storni.

Se i soldi vanno all'estero

Citato sempre dal «Tages-Anzeiger», anche Tobias Schmidt, professore di politica energetica e tecnologica al Politecnico di Zurigo, sottolinea come nell’ambito dell’energia solare, «l’attenzione alla copertura dei rischi è la ricetta del successo in altri Paesi europei, che attraggono anche molti capitali svizzeri». Negli ultimi anni, fornitori di energia e investitori svizzeri, sottolinea, hanno infatti già sostenuto l’espansione dell’energia verde all’estero con miliardi di franchi.

Anche Schmidt propone migliori condizioni per i proprietari di piccoli impianti. Nello specifico, «una ricompensa minima e uniforme a livello nazionale per l’elettricità solare di cui non hanno bisogno e che immettono nella rete pubblica. È così che anche la Svizzera riesce a sfruttare efficacemente le risorse solari nazionali».

Nel suo messaggio, il Consiglio federale ha mostrato di avere ben altri piani. Invece di una ricompensa minima e uniforme per i piccoli produttori di energia solare, vuole pagamenti basati sul prezzo di mercato. Il Governo non vuole nemmeno un «premio di mercato fluttuante». Riconosce che questo darebbe agli investitori un «alto grado di sicurezza», ma vede anche un rovescio della medaglia: ovvero che i rischi legati ai prezzi sarebbero «in gran parte addossati alla collettività, il che in linea di principio potrebbe tradursi in costi più elevati».

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