I dolori e le emozioni di Pedro Almodovar

CANNES (dal nostro inviato) - «Sono convinto che un giorno, per studiare la Spagna degli ultimi quattro decenni i film di Pedro Almodóvar saranno una fonte insostituibile, perché lui racconta sempre la sua vita ma anche la vita di ciascuno di noi». Parole di un emozionato Antonio Banderas, il protagonista di Dolor y Gloria, il nuovo film del regista iberico presentato con grande successo in concorso al Festival di Cammes. Ancora Banderas: «Ieri sera, dopo la proiezione di gala, gli applausi sembravano non dover finire più e durante quegli interminabili minuti ho ripensato a tutto ciò che abbiamo fatto e vissuto insieme negli ultimi 40 anni. E posso solo dire che essere stato chiamato ad interpretare il personaggio di Salvador, l’alter ego di Pedro, è stata per me un’esperienza unica, indimenticabile, la mia esperienza più forte da quando faccio il mestiere di attore». Un’emozione che si ritrova, con sfumature diverse, anche nelle parole di Penelope Cruz (che nel film è il personaggio ispirato alla madre del regista) e di tutti gli altri interpreti. Emozione che pervade pure lo spettatore durante la visione del film, perché si ha davvero l’impressione che con Dolor y Gloria Almodóvar si sia messo a nudo, comunicando però sensazioni che vanno ben al di là della sua vicenda autobiografica, legate al rapporto con la figura materna, con gli amici che si perdono per strada ma che poi a un certo momento sentiamo il bisogno di ritrovare, con il proprio corpo e i suoi malanni che con l’età tendono ad assumere un’importanza sempre maggiore, e con l’atto del creare che diventa fondamentale per qualsiasi artista se non vuole scivolare nella depressione e nell’oblio legato alla dipendenza dalla droga o dall’alcol.
Un ventaglio di temi che lo stesso Almodóvar rivendica al centro della propria vita, attenuando però l’approccio strettamente autobiografico. «È chiaro - dice - che tutto ciò che accade al personaggio di Salvador (un regista maturo e di successo alla disperata ricerca d’ispirazione e che a causa anche dei suoi problemi fisici si rifugia nell’eroina: ndr.) sarebbe potuto accadere anche a me, ma è altrettanto chiaro che quando scrivo questo genere di autofinzione non m’interessa raccontare una storia vera ma verosimile». Una via che Almodóvar aveva già percorso in sue opere precedenti (Tutto su mia madre, 1999; La malaeducacion, 2004) ma stavolta si mette in gioco e va fino in fondo, ripercorrendo i momenti cruciali della propria esistenza: il primo desiderio sessuale all’età di 9 anni, il grande amore giovanile interrotto contro la sua volontà («È stato come tagliarsi un braccio» ha detto durante l’incontro con la stampa), il rapporto unico e insostituibile con la madre.
Nei suoi ultimi film, il quasi settantenne cineasta spagnolo sembrava proprio aver smarrito il «calore» del suo cinema, confermandosi come un grande narratore incapace però di coinvolgere più di tanto lo spettatore. Con Dolor y Gloria, grazie anche all’eccezionale prova di tutti gli attori, torna alla grande e punta dritto a quella Palma d’oro da tempo agognata ma mai conquistata. Come ha detto ancora Banderas: «Ciascuno di noi si porta appresso una valigia piena di dolore e di successo» e dopo tanti «dolori» sulla Croisette per Almodóvar (che ha detto di sentirsi «un cineasta franco-spagnolo, dato che la Francia mi ha praticamente adottato») potrebbe davvero arrivare il momento della definitiva consacrazione. La consacrazione di un autore che, dopo essere stato il protagonista assoluto della movida madrilena, oggi si sente un uomo posato le cui sole dipendenze sono «il fatto di poter dormire otto ore al giorno e la certezza di poter sempre girare un nuovo film, ma per farlo dentro di me devo continuare a sentire quella passione che mi ha sempre animato». Come dargli torto?