Le canaglie di Long John

Prima o poi doveva succedere. Ci sono storie che vanno al di là della dimensione e dell’epica sportiva. Storie che si trasformano in metafora di un’epoca, in specchio fedele e impietoso di un mondo, delle sue contraddizioni, delle sue tante miserie e dei suoi improvvisi lampi di splendore. La parabola della Lazio campione d’Italia nel 1974 era materia troppo succulenta per non trasformarsi in letteratura, in Storia, in strumento per capire una città, Roma, e un Paese sempre sul punto di eplodere in uno dei periodi più violenti e complicati della loro esistenza. Ci ha pensato il giornalista e scrittore Angelo Carotenuto che, per i tipi di Sellerio, ha raccontato quell’epopea tragica e sublime con il romanzo Le canaglie (e già il titolo è tutto un programma) storia della squadra di calcio che come nessun’altra si fece interprete di una temperie sociale, politica e culturale, sublimando talento e violenza oltre ogni regola. A metà strada tra le atmosfere di Romanzo criminale e gli appassionanti documentari di narrativa sportiva di Federico Buffa, Carotenuto racconta l’Italia di quegli anni maledetti riannodando i percorsi, singoli e collettivi, di una squadra folle, di un gruppo di canaglie ventenni che si odiano per sei giorni alla settimana e che come per incanto la domenica sul prato dell’Olimpico e sui campi di un Paese a sua volta lacerato ritrovano la sbalorditiva coesione ingrediente fondamentale per condurli in sole tre stagioni di trionfi dalla serie B allo scudetto. Quello di Carotenuto, sia chiaro non è (o non è soltanto) un libro sul calcio. Certo i nostalgici si commuoveranno e i più giovani si sorprenderanno leggendo di quanto il pallone allora era importante e divisivo, brutale e romantico, epico e artigianale, spietato e sincero. In quel mondo di radioline e partite in contemporanea nella sacralità della domenica pomeriggio, di giocatori idolatrati sì ma che vanno al cinema e prendono il tram o vanno al ristorante con i comuni mortali e di cui tutti conoscevano il numero di telefono o la residenza, in quel mondo di scarpette nere e olio canforato, quegli eroi maledetti in biancazzurro si ritagliano la gloria riflettendo la società che li circonda. Quei calciatori, quelle canaglie, arrivano al successo facendosi la guerra, tramando, sparandosi addosso, ribaltando amicizie e legami. Stanno cominciando gli anni di piombo e la strategia della tensione, l’Italia stessa del resto è divisa e vive la nascita e l’ascesa delle Brigate Rosse, gli omicidi politici, il caso Pasolini, l’uccisione dei magistrati Coco e Occorsio. Si infiammano le battaglie per divorzio e aborto, nascono le radio libere, nelle curve gli ultrà organizzano e dominano l’urlo delle tifoserie. Il ruolo di blandire l’Italia ce l’ha la tv: Canzonissima, Carosello, Rischiatutto. In quel tempo che ignora telefonini, internet e social a fare la cronaca sono ancora le fotografie e proprio ad un immaginario fotoreporter romano (ispirato però ad un personaggio realmente esistito) riciclatosi dai fasti della Dolce Vita a reporter di nera, Carotenuto si affida per trasformare la Storia in romanzo. E ancor più interessante è la scelta dei diversi registri linguistici, a metà tra un romanesco semigaddiano ormai estinto e l’italiano di uso corrente negli anni Settanta, che l’autore utilizza per immergerci in una realtà che appare molto più distante da noi di quanto sia davvero cronologicamente. Come in una tragedia greca l’epilogo di quella vicenda, lo sappiamo tutti, si compirà ineluttabilmente con la morte e col sangue. La scomparsa prematura di due simboli di quella squadra sancirà infatti la conclusione di quel piccolo miracolo sportivo e sociale e con loro la fine di un’epoca. In pochi mesi, tra la fine del 1976 e il gennaio del 1977, un tumore implacabile annienterà Tommaso Maestrelli l’allenatore leggendario, il maestro di umanità, capace di mediare e pacificare i clan di quel gruppo di facinorosi campioni mentre l’assurda morte di Luciano Re Cecconi, l’angelo biondo infaticabile cursore di centrocampo, nel corso di una mai del tutto chiarita finta rapina nella gioielleria di un amico nel sancta sanctorum laziale del Quartiere Fleming chiuderà per sempre il sipario su quel modo di intendere il calcio e la vita. C’è una foto del 1974 che oggi appare inverosimile e sublima alla perfezione quel periodo storico e bene ha fatto Carotenuto a metterla sulla copertina del suo libro. Siamo a Tor di Quinto, allora quartier generale della Lazio. Dagli spogliatoi esce pronto per l’allenamento il capitano Giorgio, Long John, Chinaglia. Ha negli occhi la gioia e la tenerezza di un bambino per qualcosa che tiene in mano con amore. No, non è un pallone. È il suo Winchester.
Angelo Carotenuto, Le canaglie. Sellerio. Pagg. 360, € 16.
