Festival di cannes

Marco Bellocchio racconta Tommaso Buscetta

In «Il traditore» che si propone come un serio candidato al palmarès che sarà svelato sabato sera
Marco Bellocchio (a sinistra) con il protagonista del film Pierfrancesco Favino. (Foto Keystone)
Antonio Mariotti
24.05.2019 16:31

«Il protagonista del mio film - dice il regista italiano - è un traditore rispetto a Cosa Nostra, al suo passato, alla famiglia a cui era affiliato, ma non è un traditore rivoluzionario. È un conservatore, non è un eroe, è un uomo coraggioso che compie una scelta dolorosa per salvare se stesso e i suoi figli da una morte certa». Parole che inquadrano bene la vicenda narrata sullo schermo che - assoluta novità per Bellocchio - comprende anche numerose sequenze d’azione e raggiunge il suo apice nelle scene del maxiprocesso nell’aula bunker di Palermo del 1984 che si trasforma in un eccezionale palcoscenico per un grande attore come Buscetta (magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino) che tiene testa con consumato mestiere ai suoi ex-compari, da Pippo Calò a Totò Riina. Un saggio di «teatro processuale» che ha gli echi della tragedia greca e che dimostra ancora una volta come il regista di Vincere e di Buongiorno, notte sia in grado di affrontare la realtà storica senza mai appiattirsi sulla dimensione cronachistica. Memorabili pure gli incontri tra Buscetta e il giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi), anche se, come commenta ancora Bellocchio durante l’incontro con la stampa: «Non si è capita subito l’importanza delle parole di Buscetta, è solo il maxiprocesso che ci ha mostrato il ruolo fondamentale del pentito in quell’evento che costituisce comunque una vittoria parziale dello Stato sulla mafia. La mafia esiste ancora oggi ma non è più quella di Buscetta». Il traditore si svolge sull’arco di un ventennio, dal 1980 al 2000, accompagnando Buscetta attraverso il suo arresto e la sua estradizione dal Brasile, la strage di Capaci (23 maggio 1992, esattamente 27 anni prima della presentazione del film a Cannes), il processo del 1993 contro Giulio Andreotti (durante il quale, malato e invecchiato, viene giudicato inattendibile) e la morte avvenuta nella sua casa in Florida. Per Pierfrancesco Favino interpretare un simile personaggio ha significato «cercare di sbirciare dietro quegli occhiali scuri che portava sempre, cercare di guardarlo negli occhi, attraverso dei minimi dettagli e un linguaggio estremamente costruito che non è né italiano, né siciliano, né portoghese, ma un mix di tutto ciò. Un personaggio che cambia ruolo a seconda del suo interlocutore, grazie a una capacità di sfuggire agli altri e a se stesso che si concretizza nelle sue operazioni di chirurgia estetica, iniziate già prima che collaborasse con la giustizia». Tutto ciò dà vita a una figura unica, che si distingue da tutti gli altri mafiosi perché, come spiega ancora Bellocchio: «Lui non è nato mafioso ma ha scelto di esserlo e durante il maxiprocesso è stato l’unico a sfuggire a quell’immagine del mafioso come contadino ignorante che ha finalmente aperto gli occhi ai palermitani che da allora in poi hanno capito che la mafia era vulnerabile, che poteva essere sconfitta e hanno iniziato a scendere per strada per manifestare contro Cosa Nostra». Una lotta che è ancora in corso e che Il traditore ci aiuta a non dimenticare. Cannes 72 spara le sue ultime cartucce, prima del verdetta della giuria che sarà svelato sabato sera Puntando sul profumo di scandalo legato al nuovo film del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche Mektoub, My Love: intermezzo, lunghissimometraggio di 4 ore di cui 3 e mezza ambientate in una discoteca e nei suoi bagni con scene di sesso di cui sono protagonisti un gruppo di giovani, e su una star indiscutibile come Sylvester Stallone che ha presentato le prime immagini del suo nuovo film Rambo 5 - Last Blood che uscirà a settembre. Ma il penultimo giorno del festival è stato segnato dalla presentazione de Il traditore in cui Marco Bellocchio racconta la storia del pentito di mafia Tommaso Buscetta.

«Il protagonista del mio film - dice il regista italiano - è un traditore rispetto a Cosa Nostra, al suo passato, alla famiglia a cui era affiliato, ma non è un traditore rivoluzionario. È un conservatore, non è un eroe, è un uomo coraggioso che compie una scelta dolorosa per salvare se stesso e i suoi figli da una morte certa». Parole che inquadrano bene la vicenda narrata sullo schermo che - assoluta novità per Bellocchio - comprende anche numerose sequenze d’azione e raggiunge il suo apice nelle scene del maxiprocesso nell’aula bunker di Palermo del 1984 che si trasforma in un eccezionale palcoscenico per un grande attore come Buscetta (magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino) che tiene testa con consumato mestiere ai suoi ex-compari, da Pippo Calò a Totò Riina. Un saggio di «teatro processuale» che ha gli echi della tragedia greca e che dimostra ancora una volta come il regista di Vincere e di Buongiorno, notte sia in grado di affrontare la realtà storica senza mai appiattirsi sulla dimensione cronachistica. Memorabili pure gli incontri tra Buscetta e il giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi), anche se, come commenta ancora Bellocchio durante l’incontro con la stampa: «Non si è capita subito l’importanza delle parole di Buscetta, è solo il maxiprocesso che ci ha mostrato il ruolo fondamentale del pentito in quell’evento che costituisce comunque una vittoria parziale dello Stato sulla mafia. La mafia esiste ancora oggi ma non è più quella di Buscetta». Il traditore si svolge sull’arco di un ventennio, dal 1980 al 2000, accompagnando Buscetta attraverso il suo arresto e la sua estradizione dal Brasile, la strage di Capaci (23 maggio 1992, esattamente 27 anni prima della presentazione del film a Cannes), il processo del 1993 contro Giulio Andreotti (durante il quale, malato e invecchiato, viene giudicato inattendibile) e la morte avvenuta nella sua casa in Florida. Per Pierfrancesco Favino interpretare un simile personaggio ha significato «cercare di sbirciare dietro quegli occhiali scuri che portava sempre, cercare di guardarlo negli occhi, attraverso dei minimi dettagli e un linguaggio estremamente costruito che non è né italiano, né siciliano, né portoghese, ma un mix di tutto ciò. Un personaggio che cambia ruolo a seconda del suo interlocutore, grazie a una capacità di sfuggire agli altri e a se stesso che si concretizza nelle sue operazioni di chirurgia estetica, iniziate già prima che collaborasse con la giustizia». Tutto ciò dà vita a una figura unica, che si distingue da tutti gli altri mafiosi perché, come spiega ancora Bellocchio: «Lui non è nato mafioso ma ha scelto di esserlo e durante il maxiprocesso è stato l’unico a sfuggire a quell’immagine del mafioso come contadino ignorante che ha finalmente aperto gli occhi ai palermitani che da allora in poi hanno capito che la mafia era vulnerabile, che poteva essere sconfitta e hanno iniziato a scendere per strada per manifestare contro Cosa Nostra». Una lotta che è ancora in corso e che Il traditore ci aiuta a non dimenticare.