La storia

«Spero nella pace in Ucraina ma la aspetto anche in Turchia»

In viaggio con Orhan Pamuk, Premio Nobel per la letteratura nel 2006
Marco Ansaldo
07.06.2022 06:00

Settanta anni oggi. E premio Nobel da 14. Aveva 56 anni, Orhan Pamuk, quando l’Accademia di Stoccolma gli assegnò il massimo riconoscimento internazionale per la Letteratura. Allora lo scrittore turco commentò: «È vero, sono un Nobel giovane. Ma voglio tranquillizzare i miei lettori, ho ancora molto tempo per scrivere e dedicarmi ai miei romanzi».

È precisamente quello che ha fatto dal 2006 in poi. Con un’impronta ulteriore: quella dell’impegno civile. Già presente allora, ma adesso più marcata, dotata di una forza ancora più riconoscibile datagli dalla crescente celebrità mondiale.

Pamuk compie questo 7 giugno 70 anni, e non poteva che trascorrere la ricorrenza nella città natale, Istanbul. Qui, nel tardo pomeriggio, assieme a non più di 30-35 amici strettissimi e alla nuova moglie Asli (si è risposato pochi mesi fa dopo dieci anni di fidanzamento), festeggerà invitando tutti a una minicrociera sul Bosforo. Un piccolo battello, un po’ di musica, un bicchiere per brindare, e un ondeggiare continuo fra la sponda europea e quella asiatica della metropoli, passando sotto quei ponti che l’autore di “Neve”, “Il mio nome è rosso”, “Il libro nero” e tanti altri capolavori capaci di evocare immediatamente la propria tavolozza di colori, ha sempre visto come strutture per unire e non per dividere. Ci sarà la crema dell’“intellighenzia” turca. Quell’ambiente orgogliosamente lontano dalla classe al potere da vent’anni rappresentata dai fedelissimi del partito conservatore di ispirazione religiosa fondato dal presidente Recep Tayyip Erdogan.

La libertà

Prima di rientrare l’altro giorno in Turchia, Pamuk ha viaggiato per le due ultime settimane in Italia senza perdere l’occasione di ribadire, negli incontri con gli amici e negli eventi pubblici, le proprie posizioni laiche, difendendo gli intellettuali sotto tiro, spesso incarcerati dalle autorità. «Molti oppositori sono in prigione e sono in tanti a non dormire la notte nel timore di essere prelevati all’improvviso dalla polizia. Questo non è un Paese pacifico. In Turchia non c’è la libertà di parola. Abbiamo, sì, una democrazia elettiva. Ma tutti hanno paura e subiscono intimidazioni da parte di questo regime autoritario».

Prima a Parma, poi a Milano, e infine in Sardegna per ritirare il Premio internazionale Costa Smeralda, Pamuk non si è tirato indietro nel condannare la guerra in atto fra Russia e Ucraina. In un’intervista realizzata per il programma Atlantide su La7, lo scrittore mi ha così risposto: «Ho incontrato diversi intellettuali russi e ucraini che in questo periodo si sono rifugiati a Istanbul. Sono preoccupato perché, a poca distanza dalla Turchia, si sta svolgendo un conflitto spietato. E sono contento che il governo di Erdogan stia cercando di svolgere una trattativa per sistemare la situazione. Ma il nostro capo dello Stato dovrebbe portare la pace anche in Turchia. Sono contento se avrà successo, e mi congratulerò personalmente se riuscirà a mettere fine alla strage degli innocenti in Ucraina e a fermare l’aggressione russa. Ma ci piacerebbe prima di tutto vedere la pace in Turchia, perché a volte penso che il suo sia un tentativo per nascondere le nefandezze che avvengono in casa nostra».

E poi ancora in queste due settimane, nelle passeggiate, a tavola, nei colloqui a tu per tu, il Nobel ha più volte confidato tutta la sua preoccupazione per il proprio Paese e per la situazione geopolitica attuale.

Il mio ufficio e la scrivania dove lavoro si affacciano sul Bosforo. Una volta alla settimana vedevo transitare enormi navi da guerra russe

«Il mio ufficio e la scrivania dove lavoro si affacciano sul Bosforo. Una volta alla settimana vedevo transitare enormi navi da guerra russe. Ora, in virtù della Convenzione di Montreux, poiché la Russia è impegnata nel conflitto contro l’Ucraina, quelle grandi imbarcazioni non passano più. Ma questa guerra mi fa comunque paura, perché è molto vicina a noi, alla Turchia. Non dimentichiamo che la Russia è stata, e resta, il nemico eterno degli Ottomani. E il popolo turco ora è molto preoccupato. Ritengo allora che andrebbe certamente difeso il popolo ucraino. Ma che andrebbe difeso anche quello turco. Insieme con i successi diplomatici di Erdogan, dobbiamo parlare pure della situazione a casa nostra».

Parole dure. Forse per la prima volta così lunghe e circostanziate, senza essere immerse in dichiarazioni di carattere soprattutto letterario. Non ci si deve sorprendere. A 70 anni, Pamuk pare un uomo meno incline a celare le proprie posizioni. Cautele finora comprensibili. Per molti decenni, questo scrittore capace di rifiutare il premio come “artista di Stato”, è stato perseguitato, processato, minacciato dagli estremisti di destra o dagli ultranazionalisti. Per lunghi periodi si è visto costretto a lasciare il Paese e a rifugiarsi negli Stati Uniti, accolto come docente alla Columbia University di New York. Perché nella sua Istanbul, dove i giurati del Nobel lo hanno considerato capace di descrivere la sua città «come Dostojevskij a San Pietroburgo, come Joyce a Dublino, o come Proust a Parigi», Pamuk cammina tuttora con una guardia del corpo a fianco.

In difesa dei diritti

Per due giorni, a Parma, è stato ospitato al Labirinto della Masone, il magnifico complesso creato da Franco Maria Ricci la cui vedova, Laura Casalis, ha ora rilanciato la celebre rivista d’arte assieme al direttore Edoardo Pepino, accogliendo un articolo di Pamuk e studiando la possibilità di una mostra dei suoi taccuini di appunti, ricchi di note e disegni a colori. A Milano, lo storico dell’arte Salvatore Settis lo ha condotto alle Gallerie d’Italia nella Collezione Torlonia, la più importante raccolta privata al mondo di statuaria classica. Qui ha anche incontrato l’ideatore del festival Molte Fedi, Daniele Rocchetti, impegnandosi a visitare la rassegna nel 2023 a Bergamo.

E in Sardegna, dopo avere ricevuto il premio Costa Smeralda, ha parlato al pubblico del Teatro di Nuoro, chiamato dal Comitato promotore delle celebrazioni per i 150 anni della nascita di Grazia Deledda presieduto dallo scrittore Marcello Fois, soffermandosi sull’opera della Premio Nobel italiana.

Ecco allora che si comprende come Pamuk, oggi, non sia solo più “uno scrittore”. Oppure, “quello” scrittore del 2006. Ma sia anzi, come giustamente rilevato dal direttore artistico del premio Costa Smeralda, Stefano Salis, nella motivazione del riconoscimento, «una figura di intellettuale di primo piano, docente, giornalista, attivista, voce che ha rischiato sempre in prima persona, con le sue dichiarazioni, in difesa della democrazia e dei diritti».

Il Nobel turco oggi è un artista globale. Attento alla letteratura, sì. Ma anche al mondo più ampio dell’arte e della cultura. Alla pittura (che ha frequentato fino all’età di 22 anni, quando decise di diventare invece scrittore). All’architettura (cioè ai suoi studi universitari, quelli stessi della sua famiglia). Alle arti figurative, al design, alla scultura. Portandosi dietro le sue due passioni: i colori e le mostre. E senza tralasciare l’impegno civile, che lo caratterizza sempre di più.

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