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Un burattino antifascista zeppo di sorprese

Guillermo del Toro dirige «Pinocchio», l’ennesimo adattamento del romanzo di Collodi, osando tagli e cambiamenti che non ne tradiscono però lo spirito - La scelta della tecnica dello stop-motion si rivela vincente e affascinante
Torna al cinema il burattino più famoso al mondo. © Netflix
Antonio Mariotti
26.11.2022 06:00

Ma come? Un altro Pinocchio al cinema? In tutto sono già 21, a partire dal capostipite del 1911 diretto da Giulio Antamoro, passando per il cartone animato Disney del 1940, il classico di Luigi Comencini (1972) e i più recenti firmati da Roberto Benigni (2002) e Matteo Garrone (2019). Ebbene sì, ma questa volta a mettere mano al celeberrimo romanzo pubblicato nel 1883 da Carlo Collodi è uno dei cineasti contemporanei dotati di maggiore fantasia e spirito visionario, quel Guillermo del Toro che ci ha deliziato con film a metà strada tra fiaba e incubo come Il labirinto del fauno (2006, vincitore di tre Oscar) e La forma dell’acqua (2017, 4 statuette). Il regista messicano, che ha lavorato insieme allo specialista di animazione Mark Gustafson, dimostra di non avere alcun timore reverenziale nei confronti del burattino più famoso al mondo e non esita a stravolgere a suo modo la storia originale rispettandone però pienamente lo spirito. Da applausi, inoltre, la scelta di far uso della tecnica dello «stop-motion» con i magnifici ed espressivi pupazzi creati dallo studio inglese MacKinnon & Saunders e le magnifiche scenografie ispirate ai disegni di Gris Grimly dalle tonalità dark. Una megaproduzione che impiega una troupe di oltre 500 persone e può contare sulle voci di attori di grido come Ron Perlman, Cate Blanchett, Tilda Swinton, John Turturro o Christopher Waltz. Questa enorme macchina produttiva non scalfisce però in nessun modo l’appassionata impresa di del Toro che si discosta radicalmente dai precedenti adattamenti del romanzo, in primo luogo ambientandone la vicenda negli anni Trenta, in pieno fascismo, regalandoci pure una spassosa caricatura di Benito Mussolini. Il film ruota attorno ai rapporti tra padri e figli che - senza svelare le tante sorprese che attendono lo spettatore fin dalle sequenze iniziali - non riguardano però solo il discolo ed emotivo Pinocchio e il buon Geppetto. Guillermo del Toro taglia, cuce, inserisce nuovi personaggi, si fa affascinare dalle scene che coinvolgono la balena (imperdibili!), valorizza le belle canzoni originali di Alexandre Desplat, e trasforma il burattino in simbolo anarchico e antifascista. Insomma, ne fa di tutti i colori ma fa tutto benissimo. Il Pinocchio numero 22 della storia del cinema è quindi da non perdere.