Integrazione

«Calcio, pilastro della società»

L’ASF ha reso noti i risultati di uno studio biennale commissionato all’Università di Berna sull’inclusione sociale nei club svizzeri - L’autore Siegfried Nagel: «Le squadre sono dei fari di speranza» - Il presidente Dominique Blanc: «Discriminato il 10% degli intervistati, è inaccettabile»
Maddalena Buila
18.08.2022 06:00

«Il calcio come pilastro della società». Con questa citazione il presidente dell’Associazione svizzera di calcio Dominique Blanc ha dato il la alla presentazione dello studio sull’integrazione sociale nei club svizzeri: un’indagine commissionata dall’ASF all’Università di Berna per aumentare il suo impegno in materia d’inclusione. Prima di addentrarsi nei dettagli dello studio, il presidente ha voluto offrire un’infarinatura sul tema. «Pensate abbia scelto una citazione qualunque? Niente affatto - spiega Blanc -, l’ho presa direttamente dal foglio ufficiale della strategia della nostra associazione. Questa frase introduce alla perfezione l’argomento, perché richiama proprio l’aspetto dell’integrazione».

Un fenomeno naturale

Un elemento fondamentale che, a detta del presidente, non viene quasi notato dai calciatori, ma attira piuttosto l’attenzione di chi osserva il mondo del calcio da fuori. «Mi spiego. Quando si veste la stessa maglia, quando si gioca per lo stesso club, non ci si pone certe domande. Ci si sente integrati automaticamente, perché si entra in una determinata e specifica realtà. Chiarisco meglio il concetto portando la mia esperienza. A circa 16 anni giocavo per un club di quarta lega, oggigiorno inglobato nello Stade Losanna Ouchy. Ricordo di compagni italiani, spagnoli, tedeschi, francesi e, ovviamente, svizzeri. Ma io di questo non me ne sono mai reso conto. Me ne sono accorto dopo 40 anni, quando, insieme ai miei colleghi, abbiamo deciso di portare la tematica dell’integrazione sul tavolo dell’ASF. Il calcio è un elemento sociale che aiuta tutti i membri di una comunità, sia in campo sia - soprattutto - al di fuori dal terreno da gioco».

Integrati, ma additati

E data l’importanza del fenomeno dell’integrazione, ecco che l’ASF ha preso la decisione di commissionare all’Istituto di scienze e sport lo studio in questione, per fare il punto della situazione in Svizzera. «La stesura del rapporto è durata 2 anni e i risultati che ne sono scaturiti sono interessanti - continua Dominique Blanc -. A mio modo di vedere, l’aspetto fondamentale che questo studio sottolinea è l’importanza dei club all’interno del processo d’integrazione». Allo stesso tempo, l’analisi evidenzia anche una percentuale piuttosto cospicua di soggetti che raccontano di aver subito, a un certo punto nella vita, delle discriminazioni. «Il 10% delle persone intervistate, dunque considerate integrate, ha ammesso di essere stato vittima di questo fenomeno. Per noi questo è inaccettabile. E lo sarebbe anche se la percentuale fosse minore. Il bello dello studio dell’Università di Berna è che ci illustra anche come possiamo agire, in qualità di ASF, per migliorarci al fine di applicare al meglio uno dei nostri valori fondamentali, ovvero l’inclusione. Come associazione, ci stiamo già da tempo muovendo in questa direzione, per esempio con il programma “Together”, attivo dal 2016, destinato ai rifugiati di guerra, adattato recentemente per fronteggiare la crisi ucraina».

Un team ogni due comuni

Ma come è stato effettuato questo studio e, nel dettaglio, a quali risultati ha portato? Il rapporto finale è stato stilato a quattro mani, da Matthias Buser e dal professore Siegfried Nagel. «È già stato menzionato il potenziale di integrazione dei club, ma lo ribadisco - esordisce Nagel -, in quanto sono generalmente considerati come fari di speranza che svolgono un ruolo cardine nella coesione sociale. Il calcio, in particolare, è in grado di unire interi gruppi di popolazione, soprattutto quelli con un background migratorio. Ed è così in tutta la Svizzera, basti pensare che in media esiste una squadra di calcio ogni due comuni. Lo scopo del nostro studio era dunque quello di capire se, e come, davvero l’integrazione nei club funziona». Sono dunque stati presi in considerazione tre punti di vista: la società, la squadra e i membri del club.

Il metodo utilizzato

Procediamo con ordine. Come si sono dunque svolte le analisi? «Inizialmente abbiamo effettuato delle indagini scritte a tutti e tre i livelli sopra menzionati - continua il professore -. Abbiamo preso in considerazione 42 società su 120 - diverse per area linguistica, posizione geografica, rilevanza del club, livello di prestazioni… - poi abbiamo scelto le squadre, 145 in totale, recandoci sul posto e selezionandole in modo più o meno casuale. Per finire, abbiamo sottoposto a 1.839 membri un questionario. In una seconda fase, abbiamo approfondito l’argomento con interviste orali con esperti riguardo a 18 casi che ci parevano interessanti. Per fare ciò abbiamo diversificato i soggetti in base alla generazione migratoria (1. 2. 3. o nessuna)».

Il ruolo degli allenatori

Ecco dunque i risultati. «Gli oltre 1.800 membri sono risultati ben integrati e questo nonostante il 10% circa di quelli con un background migratorio di prima generazione, ha subito o subisce discriminazioni, insulti e abusi. In sintesi. Abbiamo dedotto che i club di calcio hanno un alto potenziale di integrazione: i membri possono fare amicizia, sentirsi parte di qualcosa, conoscere le abitudini del luogo e i suoi valori. Ad esempio possono imparare la puntualità svizzera». Ma non dimentichiamo gli aspetti un po’ meno rosei, che possono però diventare delle sfide. «Se le aspettative di adattamento ai valori diventano troppo grandi, la probabilità di venire discriminati aumenta. La lingua, per esempio, può rendere difficile questo processo. Da un lato è positivo che possa diventare un incentivo d’integrazione, dall’altro i club non devono aspettarsi che i nuovi arrivati non cresciuti in Svizzera sappiano subito tutto e, in particolare, parlino la lingua nazionale in tutte le sue sfumature dialettali». Quali quindi le raccomandazioni rivolte all’ASF sulla base di questo studio? «Un aspetto importante riguarda la sensibilizzazione degli allenatori al tema dell’integrazione - chiosa Nagel -. La discriminazione esiste, lo abbiamo visto, è importante riconoscere il problema prima di poterlo risolvere».