Nel quartiere di Passy, dove la vita scorre lenta

PARIGI – Raccontarvi Parigi in tremila battute sarebbe un'idea folle, ma provarci invece con un angolo nascosto della città, ancorato dentro i miei ricordi, non è impossibile. Brutte bestie, i ricordi. Possono portarti su strade che fatichi a riconoscere, col desiderio di vedere se l'idea che ti è rimasta in testa di quei luoghi corrisponde ancora alla realtà.
Dunque si torna a Passy. Fu il mio quartier generale durante il Mondiale del 1998 e ricordo l'atmosfera un po' snob che si respirava allora, i palazzi stile liberty, il mercatino, le strade, le piazze dove la vita scorreva ad un ritmo meno frenetico rispetto al centro di Parigi. Da Passy, tra una costruzione e l'altra, puoi scorgere la Torre Eiffel: siamo nel 16. Arrondissement e un tempo questa collina era ricoperta da vigneti. Comune autonomo, Passy viene inghiottito dalla città di Parigi, sempre più affamata di spazi, solo nel 1860.Di essere in collina lo si capisce appena si mette il piede fuori dalla stazione del metrò, che per la conformazione del territorio presenta una parte aerea e una sotterranea. Alcune scene del film "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci sono state tra l'altro girate proprio qui.Risalendo il quartiere ritrovo, non senza fatica, gli ambienti che mi erano divenuti famigliari quasi vent'anni fa. Il vecchio albergo "Massenet", che riprendeva il nome della via in cui era situato, intitolata al compositore Jules Massenet padre della "Manon", è stato trasformato e oggi ospita degli appartamenti. Poco lontano c'è Rue de l'Annonciation, che offre piccoli gioielli d'alta gastronomia: la "Boucherie Roger" vende carni pregiate, due passi più in là "A la ferme de Passy" si può trovare una scelta di formaggi unica e straordinaria. C'è sempre la stessa signora dai capelli biondi a mandare avanti il negozietto con suo marito: erano poco più che ragazzi, oggi sono due persone mature. Lui è ancora esuberante, lei invece ha sempre un'espressione malinconica e sembra quasi smaniosa di fuggire. Forse sogna di respirare altrove altri profumi.Anche il ristorantino de "La Matta" è sempre lì: un bugigattolo da quattro tavoli poco più che dignitosi, gestito da un siciliano che a prezzi irrisori mi viziava con paste fatte in casa condite con aglio, pomodoro, acciughe o pecorino che rilasciavano fragranze capaci di mandarti in sollucchero. A venti metri, ma dall'altra parte della via, ha aperto un altro ristorante con lo stesso nome: è più grande, più lussuoso. Entro e chiedo con rispetto cos'è successo, ed il figlio dell'uomo che dall'altra parte mi coccolava con le sue paste mi spiega la dinamica dell'impresa di famiglia, che si è allargata. Ma papà resiste nel suo bugigattolo: sono le 17, il ristorante apre due ore più tardi, non potrò vederlo per un saluto.Resiste ancora anche il piccolo negozio per la torrefazione del caffè: vi trovai qualità introvabili da noi allora, provenienti dagli altopiani etiopi, dal Guatemala, da chissà dove. Pierre, il vecchio proprietario, è morto e una multinazionale ha rilevato il negozio, ma è rimasto un dipendente dell'antica gestione e mi par di intuire che sia una sorta di custode dell'antica qualità della casa.A Passy tutto questo e molto altro (ci sono pasticcerie che propongono meraviglie per gli occhi e il palato) sopravvive allo scorrere del tempo, ai Mc Donald che pure hanno trovato modo di insediarsi all'inizio della via, ai tentativi dei cinesi di spacciarsi per giapponesi e vendere sushi (anche loro sono arrivati qui).È un angolo speciale, bisogna immergersi nella vita del quartiere, un quartiere chic, dove incontri signore distinte che portano abiti firmati e cappellino, per capire.Il tempo sembra essersi fermato: si è fermato davvero al museo dedicato a Honoré de Balzac, qui accanto, o al cimitero di Passy, uno dei più celebri di tutta Parigi, nel quale riposano, tra i tanti artisti sepolti, i compositori Claude Debussy e Gabriel Fauré e l'indimenticabile attore Fernandel.