Sport e politica

E ora Kiev si aggrappa anche al calcio

Nonostante la guerra, il massimo campionato ucraino potrebbe ripartire il 20 agosto – I rischi non mancano, i problemi economici pure, ma la portata della ripartenza è soprattutto sociale e simbolica
Massimo Solari
06.07.2022 06:00

La ricostruzione dell’Ucraina passerà dalla pace. Soprattutto dalla pace. E dai fondi che il Governo di Kiev - se ne è parlato nelle scorse ore all’URC 2022 di Lugano - sarà in grado di convogliare sul territorio, trasformandoli in un necessario quanto virtuoso piano di riforme. La guerra scatenata dall’aggressore russo, nel frattempo, continua. Con la popolazione costretta ad aggrapparsi ad altro. Alla speranza, certo. Ma anche al calcio. Sì, il prossimo 20 agosto il massimo campionato ucraino potrebbe ripartire. Con 16 squadre, due in meno del torneo interrotto brutalmente il marzo scorso. Martoriati dalle bombe di Putin, i club di Mariupol e Desna non saranno al via. Impossibile, d’altronde, senza un stadio. Il fantasista dell’Atalanta Ruslan Malinovskyi, al proposito, ha tradotto il concetto in immagine. Una terribile immagine. La voragine creata da una bomba nel terreno dell’impianto di Mykolaiv, città situata tra Odessa e Cherson, ha raggelato il sangue a molti utenti di Instagram. Già. Di qui un doveroso interrogativo. Tornare in campo, a fronte del violento e indecifrabile conflitto in corso, non rappresenta un grave rischio?

«Un messaggio alla Russia»

La questione si pone. Anche perché due delle quattro città che sarebbero state individuate per ospitare gli incontri hanno subito attacchi missilistici di Mosca. Parliamo di Kiev e Leopoli, mentre un’altra sede prescelta dovrebbe essere Uzhgorod, al confine ovest con la Slovacchia. Il nuovo stadio di Rivne, quasi ultimato e ubicato a nord del Paese, sarebbe a sua volta candidato a ospitare la Premier League ucraina. Okay. Ma se nel bel mezzo di una gara, pure in queste zone ritenute più sicure dalle autorità, risuonassero le sirene antiaeree? «Ovviamente, sul piano militare non è possibile valutare il grado di pericolosità di un simile scenario. Che esiste. Al contrario, sarebbe innegabile la portata sociale e simbolica della ripresa del torneo». A parlare è Michael Yokhin, giornalista israeliano, nato in Russia e grande esperto dell’universo calcistico nell’est Europa. «Credo che la Federcalcio ucraina e il Governo guidato da Zelensky abbiano riflettuto a fondo sul senso di un ritorno in campo. Si vuole inviare un messaggio, un ulteriore messaggio, al mondo intero e soprattutto alla Russia. L’Ucraina è viva e il calcio è un potente strumento, anche culturale, per dimostrarlo». Yokhin, che collabora per varie testate di settore fra cui Guardian, New York Times, FourFourTwo e The Blizzard, consolida così la sua tesi: «Prendete lo Shakhtar Donetsk: a causa degli scontri nel Donbass, oramai gioca lontano dalla propria città dal 2014. A riprova che ciò, concretamente, è fattibile. Insomma, la Premier League ucraina non si trova di fronte a una situazione totalmente nuova». Vero. Eppure, suggerivamo, le zone minate abbracciano una porzione di territorio molto più vasta. Una convivenza fragilissima, dunque, tra il pallone e le bombe. Una convivenza che tuttavia appare inesorabile.

Lo Shakhtar Donetsk gioca in esilio da ben otto anni. La situazione, dunque, non è completamente nuova
Michael Yokhin, giornalista

L’allenatore soldato

Emblematica, in tal senso, è la storia dell’allenatore dell’FC Kryvbas. Dopo aver fatto tremare il Real Madrid in Champions League alla guida dei campioni moldavi dello Sheriff Tiraspol, Yuriy Vernydub ha rassegnato le dimissioni ed è tornato in Ucraina per combattere l’invasore russo. Il ministro della Difesa, ora, lo ha trasferito a Kryvyi Rih, dove si divide tra servizio militare e per l’appunto la panchina del neopromosso Kryvbas. Ciò nonostante, Vernydub ha promesso che la sua squadra non lascerà la città a est di Kiev per l’intera stagione. Tradotto: giocatori e staff si alleneranno a poche decine di chilometri dalla guerra, affrontando lunghissime trasferte per raggiungere le citate sedi di Kiev, Leopoli e Uzhgorod. Molte altre formazioni del massimo campionato, al momento, si stanno invece preparando all’estero. Un’altra società fresca di promozione, il Metalist Kharkiv, ha scelto la Bulgaria. Una decisione obbligata, considerato che la seconda città più grande del Paese è stata pesantemente attaccata dall’esercito russo. La Dinamo Kiev, al contrario, sta sostenendo una serie di amichevoli nell’ambito del programma «match for peace», teso alla raccolta di fondi per la popolazione ucraina. Negli scorsi giorni sono stati affrontati Yverdon, Sion e Losanna, ieri è toccato all’YB, mentre sabato è in agenda il test con il Lucerna. E a proposito di questo tour. Sentite Yokhin: «La ripresa del campionato non è sicuramente dettata da ragioni economiche. Le partite per la pace organizzate da Dinamo e Shakhtar, per dire, garantiscono molte più entrate che il ritorno in campo in Ucraina. Questi soldi, per altro, sono praticamente riservati all’esercito di Zelensky. Di più: solo i principali club godranno, in modo diretto, dei premi garantiti dalle competizioni UEFA. Con le partite in questione che oltretutto si terranno fuori dai confini nazionali: si parla in particolare della Polonia».

Addio star straniere

Da un punto di vista finanziario, quindi, come può sopravvivere la Premier League ucraina, e con essa anche i suoi attori più piccoli? «È un problema, inutile nasconderlo» conferma Yokhin. Per poi comunque rilanciare: «Al netto di potenziali donazioni da parte di personaggi facoltosi, sarà interessante osservare il comportamento dei grandi club europei da un lato, e di UEFA e FIFA dall’altro. Di recente ho letto un’intervista del CEO dello Shakhtar Sergei Palkin. Denunciava il mancato rispetto di un accordo contrattuale da parte di un’importante società con la quale era prevista un’amichevole. Questo per dire che nulla è scontato». C’è poi l’arma a doppio taglio rappresentata dalla sospensione dei contratti dei giocatori stranieri attivi in Ucraina e Russia. La misura eccezionale, rinnovata dalla FIFA sino all’estate del 2023 e cavalcata avidamente da molti agenti di calciatori, è mossa da motivi di sicurezza. «E ci mancherebbe» sottolinea Yokhin. Il problema? Quale logica conseguenza sta portando all’abbandono dei campionati interessati, oramai orfani di star provenienti dall’estero. «Perciò ritengo doveroso che sia FIFA, sia UEFA sostengano economicamente i club in questione e, attraverso un sistema solidale, pure le realtà meno importanti del torneo» conclude l’esperto.

Considerata la scelta di sospendere i contratti agli stranieri, FIFA e UEFA dovrebbero sostenere finanziariamente i club
Michael Yokhin, giornalista

I ricorsi russi e i timori della NHL

Il campionato russo, a differenza di quello ucraino, non è mai stato interrotto. L’invasione decisa da Vladimir Putin si è però tradotta in un progressivo isolamento sportivo. Niente Mondiali, niente Wimbledon, niente Europeo femminile e, guardando a settembre, niente coppe europee. Sulla questione tornerà a esprimersi ilTAS: ieri è stato trattato l’appello della Federcalcio russa; l’11 luglio toccherà a Zenit, Sochi, Dinamoe CSKAMosca rivendicare la cancellazione del provvedimento introdotto da FIFAe UEFA. «Ma le chance che questi ricorsi vengano accolti a Losanna è pari a zero» sostiene il giornalista Michael Yokhin. Non ha tutti torti. E basterebbe leggere le motivazioni che lo stesso TAS aveva fatto valere in aprile, quando all’estromissione del calcio russo dal sistema era stata data una dimensione provvisoria. Il contesto non è mutato e il precedente più significativo - le sanzioni ai club jugoslavi negli anni Novanta - suggerisce il potenziale dell’attuale divieto.

Il fuggi fuggi di giocatori stranieri dal campionato russo non deve quindi sorprendere. Il 7 marzo, la FIFA ha aperto una finestra che consente ai diretti interessati di sospendere i rispettivi contratti. Ecco. Solo nelle due settimane successive, tredici club hanno perso oltre cinquanta giocatori. Chiedete al Rubin Kazan, lasciato da sei elementi e - a fine stagione - retrocesso per la prima volta dal 2002. L’esodo prosegue e, dettaglio non da poco, interessa pure alcuni grandi sponsor e proprietà non filoputiniane. Insomma, se Gazprom e Russian Railways continuano a sostenere Zenit e Lokomotiv, altri annaspano. Nike ha scaricato lo Spartak, che a fronte delle difficoltà economiche si è visto costretto a smentellare la seconda squadra. Ed è proprio sulla panchina del club di Mosca che - un po’ sorprendentemente e facendo il percorso inverso - è approdato l’ex Lugano Guillermo Abascal. Per il resto, appunto, è corsa all’estero.

Già, anche il portiere della nazionale russa di hockey Ivan Fedotov - argento olimpico a Pechino - sognava di lasciare il Paese e il CSKA; ad attenderlo un contratto in NHL con i Philadelphia Flyers. Peccato che il 25.enne, in quanto tesserato del CSKA, facesse automaticamente parte delle forze armate russe. Venerdì è quindi stato arrestato per aver rifiutato di svolgere il servizio militare e destinato a una base sull’arcipelago artico di Novaja Zemlja. Applicazione meticolosa della costituzione o ritorsione? Sta di fatto che molte franchigie della NHL temono per la nuova stagione. E, stando a diverse testimonianze di general manager preoccupati raccolte da The Athletic, gradirebbero che i propri giocatori russi non rientrassero in patria per l’estate. 

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