Il caso

Dubai tra cambiamento climatico e cloud seeding, la discussione si infiamma

Gli Emirati Arabi Uniti cercano di influenzare il clima da quasi 30 anni, e l'efficacia è ancora tutta da provare – L'opinione dell'esperta dell'ETH Ulrike Lohmann
© KEYSTONE (EPA/ALI HAIDER)
Red. Online
21.04.2024 17:30

Lo scorso martedì, Dubai è stata posta in stato di emergenza: nell'arco di 24 ore è caduta più pioggia che in tutto l'anno, causando inondazioni, cancellazioni di voli e danni alle proprietà. Ben presto è circolata la voce che questa storica tempesta sia stata causata, tra le altre cose, dal cloud seeding, la pratica di indurre le nuvole a produrre più pioggia cospargendole di alcune sostanze. Letteralmente, l'«inseminazione delle nuvole» che, in condizioni ottimali, può aumentare le precipitazioni di una singola nuvola fino al 20%. Gli Emirati Arabi Uniti utilizzano la tecnica almeno dal 2002 per affrontare i problemi di siccità. Il Centro nazionale di meteorologia dell’emirato, secondo quanto riferito da Bloomberg, ha dichiarato di aver seminato le nuvole il 14 e 15 aprile ma non il 16 aprile, giorno dell’alluvione. Secondo degli esperti interpellati dalla BBC, se il cloud seeding ha avuto un ruolo si è trattato di un contributo marginale ed è dunque sbagliato attriburgli la principale responsabilità. Il Blick ha interpellato Ulrike Lohmann, fisica delle nuvole e professoressa dell'Istituto di Atmosfera e Climatologia del Politecnico di Zurigo (ETH).

Secondo l'esperta, il cloud seeding «funziona solo in rari casi. Il 90% delle nuvole "inseminate" non rilascia precipitazioni o queste evaporano già nel tragitto verso il suolo. La Penisola Arabica è una regione arida, con un basso tasso di umidità. E quanto più secca è la vicinanza al suolo, tanto minore è la probabilità che le precipitazioni raggiungano il suolo. Quindi il cloud seding è utile solo quando una nuvola non è in grado di formare precipitazioni da sola. Quando c'è già maltempo, l'inseminazione non ha un ruolo attivo. Ciò che è decisivo è innanzitutto la forza della nuvola, ovvero quanto si estende in alto. Perché più le gocce d'acqua salgono, più diventano grandi».

Come funziona

Le sostanze più utilizzate nell'inseminazione delle nuvole sono ioduro d'argento, cloruro di sodio e ghiaccio secco. Queste particelle creano una superficie irregolare su cui il vapore acqueo può condensarsi facilmente, favorendo la formazione di gocce d'acqua più grandi e pesanti che cadono sotto forma di pioggia. «Se dalla nuvola non piove, è perché le sue goccioline sono troppo piccole – aggiunge la professoressa Lohmann –. Il metodo del cloud seeding consiste nel congelare le goccioline con lo ioduro d'argento in modo che crescano. Ma questo è possibile solo se la nuvola cresce abbastanza da raggiungere temperature inferiori a 0 gradi nella parte superiore. L'altra possibilità è quella di utilizzare una soluzione salina per far cadere alcune grandi gocce dalla nuvola, che poi si scontrano con gocce più piccole».

Una misura già testata anche in Svizzera

L'inoculazione delle nuvole è argomento di discussione. «La Svizzera ha già effettuato numerosi esperimenti su larga scala con lo ioduro d'argento negli anni Settanta e Ottanta. L'obiettivo era combattere la grandine. Si è cercato di introdurre più nuclei di ghiaccio nelle nubi temporalesche, in modo che si formassero più cristalli di ghiaccio. In questo modo, i chicchi di grandine diventano più piccoli e causano meno danni. I test condotti all'epoca non hanno mostrato alcun beneficio. Nonostante ciò, lo ioduro d'argento continua a essere utilizzato in molti Paesi europei per combattere la grandine. Ma raramente vengono fatti confronti tra le nuvole inoculate e quelle non inoculate. È quindi difficile dire se sia utile».

Ad ogni modo il cloud seeding ha un effetto molto locale. E «non in grado di influire sul clima a lungo termine». Il National Center of Meteorology (NMC), task force governativa responsabile delle missioni di inseminazione delle nuvole negli Emirati Arabi Uniti, ha attribuito la tempesta a precipitazioni naturali. Nelle prossime settimane saranno effettuati studi e analisi «di attribuzione». «Quest'inverno non abbiamo mai avuto una distribuzione stabile di alta e bassa pressione – conclude la professoressa Ulrike Lohmann –. Di conseguenza, la corrente a getto, il flusso d'aria nella troposfera, si sta muovendo più del solito. È facile immaginare la corrente a getto come un'onda che si infrange continuamente. Gocce di aria fredda possono staccarsi, sviluppare una vita propria e continuare il loro percorso. Forse è quello che è successo a Dubai. Con il cambiamento climatico, queste tempeste non saranno più frequenti, ma più intense».

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