Il punto

L'industria del turismo invernale minacciata dal cambiamento climatico

Sempre più stazioni sciistiche, Svizzera compresa, sono confrontate al problema della mancanza cronica di neve: in Francia negli ultimi anni sono sparite 150 destinazioni
© CdT/Gabriele Putzu
Red. Online
24.12.2023 12:30

La Sambuy, in Francia, rinomata stazione sciistica per famiglie con vista sul Monte Bianco, aveva catturato la nostra attenzione lo scorso settembre. E questo perché la località dell'Alta Savoia si era aggiunta al nutrito, oramai nutritissimo gruppo di stazioni sciistiche costrette a chiudere i battenti per mancanza di neve. Colpa, manco a dirlo, del cambiamento climatico.

In passato, ha spiegato il sindaco Jacques Dalex al Blick, questi pendii erano innevati dall'inizio di dicembre alla fine di marzo. Non è più così. Da tempo. Tant'è che l'anno scorso la seggiovia è rimasta in funzione solo per cinque settimane. Pesando, e non poco, sul bilancio. Perché mantenere in vita ciò che non può più generare profitto? Già. Lo dimostra, con i dovuti paragoni, anche la battaglia attorno alla possibile riapertura degli impianti sul Monte San Primo, a due passi dal Ticino. Anche a La Sambuy c'è chi lotta per garantire un futuro agli impianti. Nella speranza di una riconversione estiva. Di sicuro, la riconversione e un nuovo modello di turismo dolce sono la sola speranza per chi, come La Sambuy, si trova al di sotto dei 2 mila metri (nessuna delle sei piste originarie super i 1.850 metri di altitudine). 

La Sambuy, dicevamo, non è l'unica località in Francia e, allargando il campo, nelle Alpi ad aver alzato bandiera bianca. L'anno scorso, Saint-Firmin aveva smantellato la sua seggiovia. Entrando a pieno titolo nel novero delle stazioni-fantasma. Al riguardo, è stato perfino allestito un sito web che le elenca. Negli ultimi anni, solo nell'Esagono, sono sparite 150 stazioni sciistiche. La maggior parte delle quali a basse quote. In taluni casi, i Comuni si sono ritrovati con debiti così pesanti da non riuscire neppure a smantellare gli impianti: l'organizzazione francese Mountain Wilderness ha contato 106 impianti di risalita abbandonati in Francia. Mucchi di ferro e cemento, tralicci e cavi, vecchie capanne e cabine che, giorno dopo giorno, arrugginiscono nei prati o aspettano di essere sgomberati, ha scritto l'organizzazione. Veri e propri monumenti alle buone intenzioni del passato.

La situazione, volendo parafrasare Alain Berset ai tempi della crisi pandemica, è grave. Molto grave. Lo scorso agosto, il portale scientifico Nature Climate Change ha calcolato che oltre la metà delle 2.235 stazioni sciistiche europee (il 53%) è a rischio molto elevato di carenza cronica di neve se l'aumento della temperatura media globale dovesse raggiungere i 2 gradi. Uno scenario tutto fuorché improbabile considerando il ritardo rispetto agli obiettivi prefissati dall'Accordo di Parigi. E considerando la politica dei piccoli, piccolissimi passi varata anche in occasione dell'ultima COP. Sul fronte elvetico, dei 203 comprensori un terzo sarebbe a rischio molto elevato.

La questione, evidentemente, è anche economica. Il settore delle stazioni sciistiche, in Francia, è sostenuto da 120 mila dipendenti a tempo pieno. Senza contare i lavoratori stagionali. Certo, località di grido come Courchevel e Megève non sembrano avere problemi. Ma, per dirla con Samuel Morin, ricercatore di Météo-France, «non saranno più in grado di funzionare come oggi». Nel 2022, in Svizzera, il 40% delle aree sciistiche – in alcuni casi con un singolo impianto di risalita – sono sparite dalla mappa. Diverse le ragioni delle chiusure, ma ad accomunarle tutte c'era la mancanza di neve.

Un'analisi dell'Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF) ha rivelato che la maggior parte delle stazioni sciistiche, nel nostro Paese, sta registrando «una chiara diminuzione del numero di giorni con copertura nevosa». E questo, attenzione, indipendentemente dall'altitudine e dalla posizione. Entro la fine del secolo, la stagione invernale inizierà con due settimane o addirittura un mese di ritardo rispetto a oggi. Della serie: addio alla classica sciata per l'Immacolata. Solo al di sopra dei 2.500 metri ci sarà ancora abbastanza neve naturale per garantire la redditività dell'attività. Il tutto a vantaggio, «mappa delle altitudini» alla mano, delle destinazioni nei Grigioni e nel Vallese.