Visions du Réel

Un viaggio tra i Masai

I registi ticinesi Ben Donateo e Michel Passos Zylberberg hanno presentato ieri al Festival di Nyon il loro documentario «Muzungu», interamente girato in Kenya tra i membri di un'etnia minacciata da cambiamenti radicali
Un'immagine di «Muzungu», il documentario che Ben Donateo e Michel Passos Zylberberg hanno girato nel febbraio 2023 in Kenya nel corso di appena 12 giorni.
Antonio Mariotti
13.04.2024 06:00

Essere selezionati con il proprio primo documentario di oltre 50 minuti per il Concorso Nazionale di un festival del calibro di Visions du Réel è già un bel colpo. Riuscirvi con un film praticamente «fatto in casa», con un budget di meno di 10 mila franchi pur essendo stato girato in Africa, è un’impresa ancor più meritevole quanto inattesa. «Abbiamo inviato una versione ancora grezza del film proprio l’ultimo giorno utile per l’iscrizione - ci dice Ben Donateo, co-autore di Muzungu insieme a Michel Passos Zylberberg - e quando abbiamo ricevuto la risposta positiva da Nyon stentavamo a crederci». L’idea di questo viaggio per immagini nelle terre dei Masai, in Kenya, nella regione attorno al Kilimangiaro, nasce da un incontro fatto da Michel durante un precedente soggiorno da quelle parti. «Nel 2021 ho fatto un viaggio fotografico in Kenya e ho conosciuto un ragazzo Masai, figlio di un capo villaggio, che poi ci ha aiutati anche prima delle riprese del film, permettendoci di entrare in contatto con questo popolo che ha sempre vissuto senza avere contatti con i vicini e senza mai sottomettersi nemmeno ai colonizzatori inglesi. Oggi le cose stanno cambiando molto velocemente e lo scopo di Muzungu (che si può tradurre come «uomo bianco», straniero: ndr.) è proprio quello di mostrare le insidie delle interferenze degli altri all’interno di una cultura tradizionale che era rimasta intatta».

Un tema complesso che poteva essere affrontato in molti modi, Ben ci spiega la loro scelta: «Di principio volevamo evitare di fare un film colonialista e già non era un obiettivo semplice da raggiungere perché siamo due bianchi, due muzungu. Quindi l’idea era quella di girare un film sul ragazzo che aveva incontrato Michel e sull’incrocio tra queste due culture: la nostra e quella Masai. Arrivati sul posto, ci siamo però resi conto che il nostro potenziale protagonista era troppo occupato. Ci ha mostrato quel che ci interessava e ci ha aiutati molto all’inizio, ma poi abbiamo dovuto cambiare strada e puntare su ciò che ci ha colpito di più, ovvero i contrasti d’identità all’interno di una cultura più ampia come quella keniota-tanzaniana».

Niente interviste

Quel che colpisce in particolare in Muzungu è proprio il fatto di andare contro i tipici stilemi del documentario «sull’Altro»: i due cineasti - che lavorano per la prima volta insieme e si alternano anche dietro la camera insieme ad Elia Misesti - non fanno parlare le persone che incontrano in un contesto naturale apparentemente incontaminato, ma le seguono passo dopo passo, facendoci scoprire i luoghi dove sono diretti. «Intervistando le persone - ci spiega Michel - avremmo rischiato di dire cose scontate, senza contare il fatto che la lingua Masai sta rischiando di sparire e molti giovani non vogliono più parlarla e preferiscono esprimersi in swahili o addirittura in inglese. Abbiamo un altro progetto sulla lingua maa, abbiamo girato molto materiale ma è ancora tutto da scoprire e da tradurre, ciò che non è per nulla facile». «Oggi - aggiunge Ben - si assiste a una profonda frattura tra le generazioni più anziane e quelle più giovani: una frattura non solo linguistica ma più in generale culturale che è ciò che cerchiamo di raccontare attraverso i tre personaggi del nostro film». In Muzungu si alternano quindi scene girate con la macchina a mano e inquadrature fisse e molto larghe, diverse delle quali in pellicola 8 mm o 16 mm grazie a una vecchia cinepresa Bolex. Un aspetto estetico che diventa anche un elemento narrativo importante. «Abbiamo fatto questa scelta per provare a raccontare un arco temporale diverso da quello che stavamo filmando - continua Ben - Le riprese in pellicola per noi sono immagini che vengono dal passato, da un altro periodo storico, da una realtà quasi incontaminata dalla presenza dei bianchi che oggi è molto difficile da scovare». Tra le righe del film emergono quindi, grazie a un accurato spirito d’osservazione che non è però mai di denuncia, i tanti problemi che oggi deve affrontare una simile realtà. Un discorso portato avanti con rispetto, naturalezza e delicatezza, lasciando allo spettatore tutte le porte aperte per farsi un’idea personale di quel che sta accadendo in questa regione remota dell’Africa.

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