Cinema

Un ticinese racconta «uno straniero in terra straniera»

Alla 58. edizione delle Giornate cinematografiche di Soletta, la prima sotto la direzione artistica di Niccolò Castelli, c'è anche il cortometraggio di Ben Donateo, 34.enne di Lugano, con il suo Burnt. Boring Portrait Of An Angry, Young, Black Man
© Ben Donateo
Red. Online
20.01.2023 15:45

Per i ticinesi «c'è la responsabilità di essere qui con una sensibilità “di frontiera”, periferica se così si può dire». Con queste parole si è espresso sul CdT, qualche giorno fa, Niccolò Castelli, direttore artistico delle Giornate cinematografiche di Soletta. E alla 58. edizione di Ticino ce n'è molto: dieci cortometraggi di giovani cineaste e cineasti e 14 lungometraggi, di cui 8 girati con il sostegno della Ticino Film Commission.

Tra i cortometraggi, ce n'è uno che quella frontiera non solo l'ha voluta rappresentare, ma anche personificare. Stiamo parlando di Burnt. Boring Portrait Of An Angry, Young, Black Man, di Ben Donateo, cineasta 34.enne di Lugano. Il documentario (12 minuti) fa luce su ciò che resta di Muley alla fine della sua odissea di immigrato, esplorando la personale lotta con la solitudine nella personale ricerca per ritrovarsi. Uno straniero in una terra straniera. «Ho deciso di raccontare la storia di Muley, semplicemente perché era una storia da raccontare - spiega l'autore -. Che tocca direttamente la Svizzera e i suoi flussi migratori. Ho avuto la possibilità di conoscere questo ragazzo e di comprenderne il percorso, una vera e propria odissea migratoria che, purtroppo, è spesso un minimo comune denominatore». Un giovane eritreo, fuggito dalla sua terra per cercare un futuro migliore. Che ha trovato accoglienza in Svizzera, ma poi qualcosa è andato storto. E tutto si è come fermato. Il permesso gli è stato negato e nei suoi confronti è stato preso un provvedimento: la carcerazione amministrativa (ordinata nel caso in cui una persona si trovi in situazione irregolare sul territorio elvetico perché, tra le altre possibilità, la domanda d’asilo è stata respinta e non ha lasciato il territorio nazionale entro il termine indicato). Durante quei giorni in prigione, il ragazzo ha redatto un'autobiografia nella sua lingua, il tigrino, che è diventata la voce narrante del film.

© Ben Donateo
© Ben Donateo

«La storia di Muley mi ha poi colpito per questa costante dimensione di "prigione" da lui vissuta - prosegue Donateo -. In Libia era una prigione reale, dura, indicibile. In Svizzera è stata prima la detenzione amministrativa, che poi si è trasformata in una prigione dalle sembianze cittadine», quando è stato alloggiato presso il «bunker di Camorino», la struttura sotterranea destinata a richiedenti l'asilo la cui domanda è stata respinta (struttura chiusa lo scorso anno in favore del Colorado Café a Bodio, riservata a migranti che devono appunto lasciare la Svizzera ma non possono essere rimpatriati contro la loro volontà perché la Confederazione non ha accordi di riammissione con i loro paesi di origine, ndr.). «Il perimetro tra Arbedo e Camorino era quindi la nuova prigione di Muley, che di notte diventava reale, sotto terra. Mi interessava il suo punto di vista al riguardo». Un punto di vista che il cineasta ha cercato di amalgamare con la sua visione d'insieme della situazione e della persona che si trovava di fronte. E che il suo protagonista aveva esternato qualche tempo prima, rivolgendosi a chi lo aveva aiutato nel suo percorso di integrazione e di formazione: «Io non ho più nessun posto in cui tornare. Non ho più nulla, né dietro di me, né davanti a me».

Io non ho più nessun posto in cui tornare. Non ho più nulla, né dietro di me, né davanti a me

Così è nato Burnt. Boring Portrait Of An Angry, Young, Black Man. «Un titolo lungo, è vero - prosegue l'autore -. Ma l’intento era mettere in chiaro fin dall’inizio a cosa andava incontro lo spettatore. Più che altro, l’aggettivo "boring" è stata la grande scommessa-provocazione rispetto a un’industria che spesso incalza ragionamenti pericolosamente strategici». Ma cosa dice, questo film, di Ben Donateo? «Cosa dice di me lo lascio dire agli altri - risponde -. Certamente posso affermare che mi sono sempre sentito molto coinvolto dalle tematiche sociali. Anche quelle che, purtroppo così mi è stato detto, "passano un po' di moda", come la migrazione. Perlomeno nel settore cinematografico. Ciò che mi interessa sono poi le dinamiche dei processi mentali. In questo caso la "percezione", quella di un ragazzo che si sente un fantasma». Senza per questo volere o dovere esprimere giudizi di merito.

Un ticinese tra altri ticinesi in un festival cinematografico tutto svizzero. «Essere a Soletta è sempre un onore - continua Donateo -. È la mia seconda partecipazione, e l’atmosfera è sempre frizzante, sia umanamente che professionalmente. Questo festival racchiude il meglio del cinema svizzero dell’anno in corso, quindi non posso che essere felice di essere qui, tra l’altro con grandi amici come Enea Zucchetti (Piazzale d'Italia) e Christian Balictan (Cemento grezzo). Colgo l’occasione per ringraziare il festival e i selezionatori per questa grandissima occasione».

© Ben Donateo
© Ben Donateo

E Ben Donateo non ha intenzione di fermarsi qui. Perché il cinema è la lingua con la quale si esprime. «Attualmente sto lavorando su più fronti. In cima c’è sicuramente il film Care Givers, prodotto da Nicola Bernasconi (Rough Cat), in uscita nel corso del 2023. Inoltre, il mese prossimo ho in programma un viaggio in Kenya, dove realizzerò un cortometraggio sul tema dell'identità, insieme a Michel Zylberberg e Elia Misesti (prodotto da Matilde Tettamanti). Sono anche in corso le riprese di Moving Forward, un documentario ibrido sulla vita (e redenzione) del ballerino di urban street dance (break e popping) Andrea Santamato». Insomma, la carne al fuoco non manca. Il grande schermo neppure. E il Ticino risponde «presente!».

Proiezione oggi, 20 gennaio, alle ore 17.00 al Canva Club. E martedì 24 gennaio, ore 20.15, al Canva Blue.
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