Mollare l'alta finanza e la farmaceutica per aprire un panificio: la storia di Lorenza e Francesco

Dalla giacca e cravatta dell’analista finanziario e dal camice dell’ingegnera biomedica alla farina sui vestiti, alle mani nell’impasto prima dell’alba. Triticum nasce così: dalla scelta di Francesco Giugliano e Lorenza Pezzillo di abbandonare due carriere considerate “giuste” per aprire a Lugano un panificio artigianale con laboratorio a vista, specializzato in pane a lievitazione naturale, pizza, viennoiserie e grandi lievitati, costruito su materie prime biologiche, filiera tracciabile e produzione interamente interna.
«Il percorso era lineare: studi, laurea, lavoro stabile, carriera», raccontano. Prima di novembre 2023, le loro vite seguivano traiettorie ben definite. Francesco lavorava nel settore economico-finanziario, Lorenza era ingegnera biomedica. «Avevamo davanti una strada già disegnata, con tappe abbastanza chiare». Un futuro riconoscibile, socialmente legittimato. La pandemia interrompe quella linearità e apre uno spazio diverso. In casa iniziano a panificare per curiosità, senza obiettivi né scadenze. «Era un momento nostro», dice Lorenza. «Non c’erano aspettative, solo voglia di capire».

Col tempo, però, quella curiosità cambia passo. «A un certo punto ci siamo accorti che non bastava più fare il pane», racconta Francesco. «Volevamo capire cosa stava succedendo dentro l’impasto, perché una volta riusciva e un’altra no». Arrivano i corsi online, le prove quotidiane, gli errori ripetuti, le ripartenze. Quando tornano a viaggiare, usano ferie e tempo libero per formarsi con alcuni dei grandi maestri della panificazione contemporanea. Le cene con amici diventano occasioni di confronto e assaggio. «Portavamo il pane a tavola e osservavamo le reazioni». «Prendevamo appunti, anche mentali». Fino a quando emerge la domanda decisiva: restare nel perimetro della passione o trasformare tutto in un lavoro.
«Quel passaggio ha significato rimettere in discussione tutto», dice Francesco. «Vuol dire tornare a investire quando gli altri iniziano a raccogliere». Ai genitori lo spiegano senza giri di parole. «Ci hanno detto: le lauree restano, male che vada si riparte». Più ruvida la reazione degli amici. «All’inizio sembrava una follia, qualcuno pensava fosse solo una fase». Finché non hanno assaggiato.
Triticum apre così a Lugano nel novembre 2023. L’avvio è complicato. «Il primo giorno le pizze non sono uscite. Ci siamo guardati e abbiamo capito che dovevamo improvvisare». Bruschette al posto del prodotto pensato. Poco dopo entra un commerciante della zona e li mette in guardia: posizione difficile, investimenti alti, concorrenza forte, panettoni destinati a restare invenduti. «Lì un po’ ti crolla tutto addosso», ammette Francesco. Lorenza chiude la questione: «Continuiamo, poi vediamo».
La prima conferma arriva subito dopo. Una cliente chiede 200 grammi di pane, temendo che diventi duro. Francesco le regala una pagnotta intera. «Le ho detto: torni e mi dica quanto dura». Torna ancora oggi. «In quel momento abbiamo capito che il nostro lavoro passava anche dal dialogo», spiegano. «Non bastava fare bene il pane, bisognava accompagnarlo».

Spiegare il pane diventa parte del mestiere. «Spiegare perché dura giorni o perché non può costare come quello industriale: sono mondi troppo diversi tra loro». Triticum lavora con lievito madre, farine biologiche e una filiera il più possibile locale e tracciabile. Il laboratorio a vista e le materie prime esposte hanno una funzione precisa. «Se fai vedere come lavori, molte domande si rispondono da sole».
Anche il rapporto con agricoltori e allevatori locali richiede tempo. «Molti avevano già visto progetti partire e poi sparire». Fornire significa programmare, fidarsi, esporsi. «La fiducia arriva quando vedono che torni e che non sei lì solo all’inizio». Oggi la rete di produttori è più ampia rispetto all’apertura. «Se un ingrediente non lo useremmo a casa nostra, non entra qui».
Sul piano economico, le voci che incidono di più restano materie prime e manodopera. «Sono gli investimenti che fanno davvero la differenza: bisogna credere nella qualità, delle persone e dei prodotti». A incidere è anche il tempo. Le giornate iniziano alle 3.30 e finiscono nel tardo pomeriggio. «Il tempo libero è quello che senti mancare di più», dice Francesco. «Ma cambia anche la percezione», aggiunge Lorenza. «Quando lavori così, il tempo lo vivi in modo diverso».
Nel frattempo il pane artigianale intercetta un’attenzione crescente. «I clienti fanno più domande», osservano. «C’è più voglia di capire e conoscere la filiera e i processi dei prodotti artigianali, è un trend in costante aumento. E per noi è una grande soddisfazione vedere a fine giornata il banco vuoto». Una domanda che obbliga a strutturarsi. «In qualche modo siamo comunque riusciti a mettere a frutto le competenze dei nostri studi universitari», spiegano. Pianificazione, organizzazione del personale, gestione delle finanze: «Non abbiamo lasciato nulla all’improvvisazione».
Oggi il team conta sei persone, sette da gennaio. La crescita impone di ripensare spazi e organizzazione. «Se aumenti i volumi senza investire, la qualità ne risente». Da qui l’ampliamento del negozio e nuovi investimenti. «La sostenibilità riguarda anche come lavori e come fai lavorare gli altri».
Il capitolo più impegnativo resta il panettone. L’anno scorso ne producono oltre mille, tutti certificati biologici, tra i pochi di tutta la Svizzera. «È stata una prova durissima», raccontano. «Fisicamente e mentalmente». La conferma arriva dopo, con riscontri dalla Svizzera tedesca. Quest’anno affiancano alla produzione un progetto mirato: un panettone con orzo e zucca candita Triticum, legato al progetto “Zucca Nostrana” di Future Farmers. Le zucche Momò arrivano da aziende agricole del Mendrisiotto coinvolte in una filiera locale che valorizza anche il raccolto non assorbito dal mercato, con il supporto di realtà sociali del territorio. «Noi ci occupiamo della trasformazione e della canditura», spiegano. «È un modo concreto di restituire valore».

In parallelo cresce il progetto agricolo. Dal 2024 Triticum coltiva cereali in Basilicata, terra d’origine di Francesco, passando da sei a dodici ettari nel 2025. Grani antichi e varietà autoctone coltivate insieme ad agricoltori locali. «Sapere da dove arriva la farina cambia il modo in cui lavori», dice Francesco. «Ti ricorda ogni giorno perché sei qui».
«Alla fine», concludono, «entriamo in laboratorio molto presto, ci sporchiamo le mani e cerchiamo di fare bene quello che amiamo fare».
