«Ticino terra di panettoni ma cresce la tentazione del pandoro artigianale, anche se più complesso»

In Ticino il Natale ha sempre avuto un profumo preciso: quello dei panettoni artigianali, lievitati lenti, leggeri, da decenni parte del paesaggio gastronomico e culturale del cantone. È una tradizione che si intreccia con la storia stessa del dolce milanese, adottato e reinventato da generazioni di pasticcieri ticinesi. Ma negli ultimi anni, accanto al panettone, ha iniziato a farsi spazio un altro simbolo delle feste: il pandoro, nato a Verona alla fine dell’Ottocento, quando Domenico Melegatti ne brevettò la forma a stella e definì il metodo di lavorazione che ancora oggi resta uno dei più complessi della pasticceria italiana.
Il suo arrivo in Ticino non è stato immediato. Se il panettone è ormai un riferimento stabile, il pandoro è entrato più tardi nei laboratori, spesso dopo lunghe prove tecniche. Richiede infatti un equilibrio raro tra burro, uova, zucchero e lievito madre, con un impasto che deve sostenere percentuali di grassi molto più elevate rispetto al panettone. Non stupisce dunque che diversi artigiani abbiano scelto di affrontarlo solo quando si sono sentiti pronti.
Tra questi c’è Marnin, la storica pasticceria locarnese. Franca Antognini, che insieme al marito Arno e la figlia Naomi guida la produzione, ricorda bene l’inizio: «In realtà io ero fan del pandoro, ma non lo ritenevo alla nostra portata. È un prodotto che pretende moltissimo: burro altissimo, impasto pesante, lieviti che devono essere al massimo della loro forza. Se sbagli una percentuale, non sviluppa. Se li prendi nel momento sbagliato, non si alza. È davvero un banco di prova».

Nel confronto diretto, spiega Antognini, le difficoltà sono evidenti. «Il panettone è altrettanto complesso, ma ha una struttura più ariosa: i lieviti si muovono meglio. Nel pandoro devono letteralmente trascinare una massa molto più impegnativa. E l’alveolatura non sarà mai ampia come quella del panettone. L’obiettivo è ottenere comunque una fetta soffice, vellutata. Basta poco per ritrovarsi con un impasto troppo compatto».
La sfida tecnica, però, non ha frenato il pubblico. Anzi. «Appena sfornati si esauriscono tutti in poche ore» racconta Antognini. «Non toglierà mai il posto al panettone, perché il panettone è Natale. Ma il pandoro piace tantissimo ai bambini, e vedo sempre più clienti prendere entrambi. Prima veniva scelto solo il panettone, ora la coppia è diventata quasi la norma».
La crescita delle vendite si riflette anche nei numeri. «Le quantità cambiano ogni settimana, ma viaggiamo intorno ai 300 chili di pandoro e circa 2.000 di panettone» spiega. «Sono ritmi intensi, soprattutto perché le lavorazioni si accavallano: impasti, lievitazioni, ordini online, mercati. E con nove qualità diverse di panettone possiamo produrne solo due o tre al giorno, perché ogni pezzo richiede due giorni di lavoro».
Una complessità che si aggiunge a tutto il resto, compreso un dicembre che per le pasticcerie assomiglia più a una maratona che a un periodo di festa. «Siamo quasi 24 ore su 24 in laboratorio. Succede a noi e succede ai colleghi. È il mese in cui si vive letteralmente accanto agli impasti».
Il 2025 ha portato però anche una conferma significativa: Patti Chiari ha nuovamente eletto il panettone di Marnin come migliore del Ticino nella degustazione cieca. «Dieci anni fa avevamo già vinto. Ritrovarsi ancora lì è una grande soddisfazione» dice Antognini. «Vuol dire che siamo costanti, che il lievito madre funziona, che la squadra tiene. E che c’è sempre margine per migliorare».

