Orologi

Longines tra eredità e innovazione: «Un orologio meccanico è per sempre»

Il CEO Matthias Breschan racconta la visione della storica maison di Saint-Imier tra sostenibilità, precisione svizzera e memoria industriale, in un’epoca dominata dall’obsolescenza digitale
Mattia Sacchi
01.06.2025 06:00

Nel villaggio svizzero di Saint-Imier, tra le valli del Giura bernese, il tempo scorre con un ritmo tutto suo. È qui che Longines ha sede dal 1832, ed è qui che Matthias Breschan ci accoglie per raccontare il presente e il futuro di uno dei marchi più longevi dell’orologeria svizzera. Dal 2020 è lui a guidare la maison, con l’incarico assunto in piena pandemia. «Il giorno in cui sono arrivato era tutto chiuso. Ero praticamente solo nell’edificio, ma la prima cosa che ho fatto è stata visitare il museo. Nonostante lavorassi nell’orologeria da oltre vent’anni, non conoscevo a fondo la portata dell’eredità tecnica di Longines».

È da quella scoperta che parte il lavoro di Breschan: riportare alla luce l’innovazione del passato e usarla come leva per il domani.

Che significato ha per lei guidare un marchio con quasi due secoli di storia?
Un’enorme responsabilità, ma anche una grande opportunità. Non tocca al marchio adattarsi al CEO: è il contrario. Ho voluto capire cosa ha reso Longines così solida negli ultimi vent’anni, e rafforzarlo. Il nostro punto di forza è un’identità chiara: vendiamo allo stesso modo a uomini e donne, proponiamo modelli sia sportivi che classici, e abbiamo un’eredità storica unica, che ci permette di scrivere il futuro guardando al passato.

Come si coniugano innovazione e tradizione?
Credo che smettere di innovare significhi iniziare a morire. Prendiamo il nostro modello Ultra-Chron Carbon con cassa in carbonio e movimento ad alta frequenza: unisce una tecnologia contemporanea a un’invenzione del 1914. Per realizzare la cassa usiamo fogli di carbonio pressati ad alta temperatura: ogni esemplare risulta diverso dagli altri.

Le dimensioni degli orologi sembrano seguire mode cicliche.
Sì, vent’anni fa gli svizzeri preferivano orologi grandi. Oggi cercano diametri più piccoli, intorno ai 38-39 mm. In Cina è l’opposto: lì vendiamo di più i modelli da 43 mm. Ma vediamo già segnali d’interesse per il vintage anche in Asia. Il mercato evolve, ma i riferimenti culturali restano molto forti.

Che valore ha oggi un orologio meccanico in un mondo dominato dallo smartwatch?
Per me è un oggetto romantico. Ma è anche un prodotto davvero sostenibile. Un orologio meccanico non si butta dopo un anno: lo si tiene per decenni, lo si tramanda. E noi possiamo riparare la maggior parte dei nostri orologi anche a distanza di settant’anni, grazie all’archivio continuo di numeri di serie dal 1867 e a un magazzino di componenti originali. Questo è un valore concreto.

Longines è stata anche strumento di esplorazione. È un’eredità che rivendicate ancora?
Sì, moltissimo. Abbiamo collaborato con aviatori e navigatori: da queste esperienze sono nati strumenti come il cronografo flyback, pensato per cambiare rotta con precisione. Il movimento GMT nasce per garantire una lettura uniforme del tempo nel traffico aereo. Ci sono storie affascinanti, spesso poco conosciute. Per questo abbiamo rafforzato il nostro dipartimento Heritage e creato conferenze dedicate alla storia del marchio.

E poi c’è la questione del posizionamento. Longines sta cercando un riposizionamento verso l’alto?
Non stiamo salendo di fascia: restiamo tra i 1.000 e i 5.000 franchi. L’obiettivo è offrire il massimo della tecnologia in quel segmento. Silicon balance spring, componenti amagnetici, cronometria di alta precisione: alcune marche vendono a prezzi doppi senza questa tecnologia. Noi possiamo farlo grazie al supporto industriale del gruppo Swatch, con una catena produttiva completamente interna.

Quanto conta l’identità svizzera in questo percorso?
È il fondamento. Non esiste altro settore dove il luogo di produzione sia così centrale. “Swiss made” non è solo un marchio, è un segno di fiducia. E lo coltiviamo anche attraverso il legame con il territorio: dagli sport invernali alle competizioni equestri, siamo presenti in oltre 200 eventi all’anno. Lo sci, per esempio, è parte della nostra storia dal 1924, lo stesso anno in cui è nata la federazione internazionale. È più di uno sport nazionale: è parte della nostra identità.

E il futuro? Qual è la rotta per i prossimi vent’anni?
Abbiamo diversi nuovi movimenti in sviluppo. Alcuni molto complessi, che richiedono tempo. Ma l’approccio non cambia: innovare senza tradire la coerenza del marchio. Come dicevo all’inizio, guardare al passato per costruire il futuro. È questo il vantaggio di avere quasi due secoli di storia: si ha già una mappa tracciata. Basta leggerla bene.

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