«Attrarre i ricercatori è sempre più difficile»

Incertezza, mancanza di prospettive chiare e perdita di leadership. Il bilancio delle università elvetiche a quasi due anni dall’esclusione della Svizzera dal programma di ricerca Horizon Europe (vedi box a lato) è pesante. «Oggi iniziamo a vedere gli effetti di questa esclusione in maniera chiara. Come università cerchiamo di negoziare condizioni quadro attrattive. Alcuni ricercatori, però, rinunciano a presentare la propria candidatura in Svizzera, optando per le università europee dove l’accesso ai fondi è garantito». Yves Flückiger, rettore dell’Università di Ginevra e già presidente di Swissuniversities, l’organizzazione mantello delle università svizzere, non fa sconti: «Senza la possibilità di accedere a Horizon Europe è diventato più difficile attrarre i profili migliori».
«Attualmente le condizioni quadro per fare ricerca in Svizzera sono ancora molto buone», aggiunge dal canto suo il presidente del Consiglio dei politecnici federali, Michael Hengartner, il quale tuttavia conferma: «Prima del 2021 era più facile attirare ricercatori, e collaborare con le università europee». A questo proposito, Hengartner osserva che «recentemente il Politecnico di Losanna (EPFL) ha pubblicato una statistica che mostra come il numero delle sue cooperazioni con gli atenei europei sia diminuito in maniera significativa». Il motivo? «Probabilmente, i colleghi europei, prima di invitare le università svizzere a partecipare a un consorzio, si chiedono due volte se sia una buona idea».
In gioco, però, non c’è solamente il prestigio delle università e dei politecnici. «Sul lungo periodo, a risentirne è la qualità della ricerca svizzera», osserva Flückiger. «Il rischio maggiore, soprattutto per i giovani, è che in futuro si tenda a lavorare esclusivamente con i colleghi svizzeri. Oggi, il sistema accademico elvetico è ancora ben integrato in quello europeo. Conosciamo bene i nostri colleghi, con i quali collaboriamo da tempo. In futuro, questa ricchezza di confronto e di conoscenza reciproca potrebbe venire meno». Con tutte le conseguenze del caso. La capacità innovativa è infatti un fattore chiave per il benessere e la crescita economica di un Paese. Un esempio? «Lo scorso anno, l’azienda ginevrina ID quantique, leader mondiale nella crittografia, ha preferito aprire un’antenna a Vienna, dove ha creato 100 nuovi posti di lavoro», osserva Flückiger. «Impieghi che, in condizioni normali, sarebbero stati creati in Svizzera».
Le parole di Keller-Sutter
Gli scossoni, insomma, non mancano. L’ultimo risale alla settimana scorsa, quando la consigliera federale Karin Keller-Sutter ha dichiarato che «il contributo obbligatorio della Svizzera per il programma di ricerca Horizon Europe (600 milioni per il 2024, n.d.r.) non sarà più messo a budget». Una scelta scontata, che tuttavia non ha mancato di far discutere il mondo accademico. «La decisione mostra che non c’è una vera urgenza nel voler riportare la Svizzera nel programma europeo e che, verosimilmente, nei prossimi anni, non sarà tra le priorità del dibattito politico», commenta Flückiger.
Le parole di Keller Sutter, però, sollevano anche un secondo e più allarmante interrogativo. La quota di 600 milioni di franchi (prevista ma non versata a Bruxelles) che fine farà? E, più in generale, il contributo votato dal Parlamento per Horizon Europe (6,2 miliardi, n.d.r.) verrà interamente impiegato per la ricerca interna? Con questo scopo, la Commissione per la scienza, l’educazione e la cultura del Consiglio degli Stati ha elaborato un disegno preliminare di legge con cui si chiede di creare un fondo temporaneo - il Fondo Horizon - finanziato con i mezzi inizialmente previsti per il programma Horizon Europe. «Il fondo sarà di durata determinata e dovrà rimanere in vigore fintanto che la Svizzera non potrà partecipare all’intero programma dell’UE», spiega al CdT il presidente della Commissione Benedikt Würt (Centro): «Le dichiarazioni di Keller -Sutter su Horizon Europe, tuttavia, non compromettono in alcun modo il progetto della Commissione, che si propone di stabilizzare la ricerca in Svizzera».
Fino a oggi, il Consiglio federale ha sempre promesso di sostenere la ricerca svizzera con la medesima somma destinata al progetto europeo, fa notare anche Hengartner. «Al momento non abbiamo indizi che il Consiglio federale non voglia mantenere questa promessa». Più guardingo, invece, il collega Flückiger: «Speriamo che il Consiglio federale non stia dicendo, allo stesso tempo, che la spesa destinata alla ricerca possa essere rivista per questioni di bilancio».
Su un punto, però, tutti gli interlocutori convergono: non è solo una questione di finanziamenti. La possibilità di collaborare e la visibilità che ne deriva vanno oltre il semplice aspetto economico. «È come se Federer si fosse trovato nella condizione di non poter partecipare a Wimbledon e, in tutta risposta, la Svizzera gli avesse detto: “Non ti preoccupare, ti organizzo un piccolo torneo tra svizzeri a Gstaad, e se vinci ti garantisco il medesimo premio”». Un’analisi condivisa anche da Würt: «Senza il programma Horizon Europe, la Svizzera resta isolata e declassata nella gestione dei progetti. La forza di Horizon sta nella rete». Per questo motivo, come università, conclude Flückiger, «abbiamo sensibilizzato le autorità svizzere sull’importanza della nostra inclusione nel sistema europeo e, viceversa, abbiamo ribadito ai colleghi europei che escludendo la Svizzera dal programma, anche l’Europa esce indebolita nella concorrenza con Cina e Stati Uniti».
«Il rischio? Che la Svizzera diventi una meta meno ambita»
«L’esclusione della Svizzera dai fondi di ricerca europei ha sicuramente effetti negativi importanti sul sistema universitario elvetico», commenta dal canto suo la rettrice dell’USI, Luisa Lambertini. Da sempre la Svizzera è una destinazione molto ambita per i talenti universitari migliori. In questo senso, prosegue Lambertini, «il fatto di non potere accedere ai fondi Horizon può renderci meno attrattivi e quindi avere un impatto negativo sull’intero sistema di ricerca in Svizzera».
Di qui, l’importanza di un continuo pressing sulle autorità federali affinché «i trovi una soluzione per riportare la Svizzera all’interno del programma europeo».
Nel frattempo, quali alternative si offrono alle università? L’USI si è mossa cercando soluzioni alternative? «Nel corto termine, l’unica via percorribile è continuare a mettere pressione sulle alte sfere, affinché a livello politico si trovi una soluzione». La ricerca non può rimanere ostaggio della politica, perché a pagare lo scotto di questa esclusione «non è unicamente il sistema accademico», ma la capacità di innovare di un intero Paese.
In questo momento – prosegue Lambertini - è possibile accedere ai fondi sostitutivi messi a disposizione dalla Confederazione attraverso il Fondo nazionale. La rettrice dell’USI però ribadisce: «I fondi europei sono importanti perché ti mettono in contatto con le migliori istituzioni europee. È solamente lavorando assieme e confrontandosi a livello universitario che possono nascere le cose migliori».
