Il caso

Clinica Varini, il personale si fa sentire: «I sindacati calcano la mano»

I dipendenti della clinica di Orselina prendono posizione dopo una serie di rivelazioni «prive di fondamento» – «Abbiamo sempre garantito la qualità delle cure, e il nostro numero è sufficiente per seguire al meglio tutti gli ospiti»
Uno scorcio dell’istituto di Orselina, che ha attraversato un periodo di problemi finanziari; in primo piano, Senija Simic, vicepresidente della commissione del personale
Jona Mantovan
13.09.2024 06:00

Il personale della clinica Varini di Orselina non ci sta. E alza la voce contro... i sindacati. Il dibattito è stato scatenato da alcune presunte rivelazioni a proposito di personale insufficiente, di pause sacrificate per garantire i turni e di un conseguente calo generalizzato nella qualità delle cure. Rivelazioni «prive di fondamento, false. Ci hanno fatto poco piacere», raccontano al Corriere del Ticino tre rappresentanti del corpo dei dipendenti. Uno degli ultimi articoli, pubblicato già qualche settimana fa, ha lasciato il segno. Anzi, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Goccia che fa traboccare il vaso

«Ne sono girate parecchie, di voci», premette Mafalda Canonica, presidente della commissione interna del personale e impiegata in clinica da 22 anni, oggi caporeparto «RAMI» (Reparto acuto di minore intensità, non un ricovero in ospedale ma prestazioni terapeutiche di una certa complessità). «Non volevamo esporci, perché la nostra missione è il benessere degli ospiti. Ma dopo quanto letto sul giornale, in una riunione plenaria abbiamo stabilito che era ora di farci sentire. Vogliamo rassicurare sul fatto che abbiamo sempre garantito la massima qualità delle cure. Pure il nostro numero, siamo in 150 circa, è sufficiente per seguire al meglio i 60-70 pazienti nei vari reparti, con turni normali di otto ore e con tutte le pause, i recuperi e le vacanze pianificate del caso».

Mi sveglio alle cinque di mattina e nessuno mi obbliga: sono io ad aver deciso accettare questo lavoro. E voglio dare il massimo
Lara Bimbo, infermiera caporeparto «foyer», 55 anni

La struttura locarnese, negli ultimi tempi, ha attraversato un periodo difficile che ha portato anche ad alcuni licenziamenti operati dalla nuova direzione, entrata in carica nell’ottobre del 2023. La 56.enne aggiunge, a questo proposito, di essere certa del fatto che «i sindacati stanno di certo aiutando le persone che non lavorano più in questa clinica, nel contempo, però, mi sembra abbiano perso di vista le persone ancora attive sul posto di lavoro». Nonostante le perdite di tre milioni di franchi evidenziate dal nuovo corso, il periodo di crisi sembra essere alle spalle, come aveva riferito il direttore, Martin Hilfiker, in un’intervista rilasciata a maggio. Tanto che le nuove assunzioni sono un tema del periodo.

«Un cambiamento positivo»

«Molti pazienti, dopo aver conosciuto la nostra realtà, restano soddisfatti e ci tornano volentieri quando i loro familiari, ad esempio, sono in ferie», afferma Senija Simic, vicepresidente della commissione del personale e da quasi dieci anni impiegata nel nosocomio come infermiera. «Siamo un gruppo motivato», aggiunge la 36.enne. «E, al contrario di quanto capita di leggere su alcuni articoli, in realtà molti di noi hanno accettato l’arrivo della nuova direzione vivendolo come un cambiamento positivo. Ovviamente, non siamo solo noi a leggere gli articoli che ci riguardano. E, infatti, siamo state contattate da alcuni pazienti o loro famigliari preoccupati per le presunte irregolarità che stavano trapelando. Abbiamo deciso di esporci per rassicurare, per dire ai parenti delle persone in clinica, ai figli delle persone che noi curiamo... di stare tranquilli. Vogliamo dire a tutte queste persone che noi non siamo cambiati e che qui vogliamo prenderci cura del paziente».

«Ho scelto questo lavoro»

Anche Lara Bimbo interviene nella conversazione, nella luce della stanza riservata per la riunione. Le grandi finestre fanno da cornice al soleggiato panorama di Locarno e del suo lago.

La 55.enne, infermiera e caporeparto foyer, fa parte della commissione interna del personale da circa un anno e condivide la sua motivazione nel presentarsi sul posto di lavoro ogni giorno per dare il meglio di sé: «Mi alzo ogni mattina alle cinque. Ho scelto questo lavoro. Ho studiato per essere qui e nessuno ma ha costretta. Lo stesso discoro vale per tutte le altre persone impiegate qui».

Un solo «mandato»

Ma non solo. La nostra interlocutrice riprende sottolineando come «i residenti, i pazienti, gli utenti... sono qui perché nella loro vita è successa una cosa terribile, la malattia. Hanno delle necessità e noi siamo qui per rispondere ai loro bisogni». E ammette di far parte del folto gruppo di dipendenti a favore della nuova filosofia aziendale. «Trovo ci sia un clima di condivisione. Di chiarezza, di trasparenza. Abbiamo riscoperto la bellezza di parlare tra di noi, di condividere quello che pensiamo. Senza perdere di vista l’unico, vero “mandato” qui alla clinica Varini: i residenti e il loro benessere».

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