«Con il gioco ho perso tra i 100 e i 150 mila franchi»

Manuela non sa bene come è iniziato tutto. Sa però di aver perso tra i 100 e 150mila franchi al gioco d’azzardo e di avere un problema. Sembra una cosa da niente ammettere di aver bisogno di un aiuto, ma non è così. «È dura uscire da questa dipendenza - dice - sono passati 5 mesi dall’inizio del percorso di cura e ogni tanto penso ancora al gioco d’azzardo ma poi metto sul piatto della bilancia le due cose: o la mia libertà o la mia galera».
Quanti anni ha? Dove vive? Cosa fa nella vita?
«Ho 65 anni, vivo in Ticino e sono pensionata».
Quando ha iniziato a giocare d’azzardo? Perché ha iniziato?
«Ho iniziato tardi, a più di 50 anni, assieme ad amici che me lo hanno proposto. Nel mio caso non saprei dire esattamente quale possa essere stata la vera causa scatenante del comportamento: inizialmente una curiosità, la «facilità» di piccole vincite, i suoni, i colori… ma, con il passare del tempo, il bisogno di recuperare le perdite. In fondo non mi mancava nulla: vita di coppia stabile, famiglia, una casa per la quale avevo investito tempo e finanze, un lavoro (il che non è sempre scontato al giorno d’oggi!). Insomma: potevo stare bene... ma qualcosa ha preso il sopravvento su tutto questo».
Ha provato a darsi comunque delle risposte?
«Forse l’approssimarsi del pensionamento, l’invecchiare, il lavoro con un lato burocratico sempre più incalzante, i colleghi pronti a prevaricare, il malessere interiore da camuffare, la debolezza di carattere? Mettiamo tutto nel calderone. Anche la società che, attraverso la chimera delle vincite/scommesse ti toglie lentamente l’attenzione dai problemi reali, ti annega lentamente attraverso reclam, suoni, colori, quasi vincite. Tutti incentivi per continuare. Non per niente tutto è studiato per farti tornare. Proposte di gioco d’azzardo ovunque con l’accordo dello Stato, te lo mettono sulla porta di casa… e poi ti aiutano a risalire dopo che hai toccato il fondo. Un contro senso che mi lascia l’amaro in bocca. Sono consapevole che non tutti i giocatori cadono in una dipendenza, ma il rischio c’è, è dietro l’angolo. Perché chiamarlo gioco, quando gioco non è? Chiamiamolo azzardo!».
Quali sensazioni le dava giocare d’azzardo? Come si sentiva all’inizio?
«Inizialmente divertente, eccitante, una sfida, c’era l’euforia della vincita. Lì dentro, nel casinò, il soldo diventa veramente solo «carta». Ma fuori la realtà è un’altra! Mi rendevo conto del valore quando mi trovavo a non poter pagare le bollette a fine mese, oppure senza franchi per un caffè! A volte mi sentivo agitata, altre volte euforica, carica di speranze; oppure triste, delusa, con grandi sensi di colpa nei confronti di mia figlia, conoscenti che faticavano ad arrivare a fine mese. Io invece sperperavo».
Cos’è cambiato a un certo punto? Quando si è accorta che non era più un gioco, ma un problema?
«Non era più un piacere, era la ricerca della vincita a tutti i costi: più perdevo, più giocavo, più giocavo, più perdevo! Rincorrevo il recupero. È diventato un problema quando «svuotate le casse» non c’era più un franco e anche il 5 centesimi una volta fuori aveva un peso, le notti in bianco e gli stratagemmi per trovare altro denaro con il quale giocare per recuperare. Un circolo vizioso».
Cosa ha fatto quando ha deciso di smettere? Si è rivolta a qualcuno? Quanto è importante farsi aiutare?
«Sono una recidiva: la prima volta ho parlato con un famigliare, ma purtroppo dopo un anno ci sono ricascata. Mi sono rivolta ad Ingrado dove ho trovato un primo sostegno. Ne ho parlato anche con il medico e un terapeuta craniosacrale. Da lì, sono arrivata ad Anna-Maria Sani, la mia psicoterapeuta. Diciamo che ho fatto in modo di avere un cerchio protettivo anche perché stavo crollando psicologicamente. Se una persona è consapevole che ha bisogno è fondamentale farsi aiutare da persone che non ti giudicano e che conoscono i meccanismi della dipendenza. È importante anche che i tuoi famigliari vengano coinvolti nel percorso di cura, anche loro hanno sofferto con me».
A che punto del percorso si trova ora? Quali sono le sue sensazioni? Quali le sue speranze?
«Non saprei a che punto sono, è ancora presto. Sono passati cinque mesi. Sono più tranquilla, in pace con me stessa. Mi sento sostenuta dal mio compagno e dai miei famigliari in questo percorso. Ho ritrovato stimoli nuovi. La mia speranza è quella di riuscire. È dura uscire da questa dipendenza, mi capita di pensare al gioco d’azzardo ma poi metto sul piatto della bilancia le due cose: o la mia libertà o la mia galera».
Cosa si sente di dire a chi si avvicina al gioco d’azzardo? Cosa ha imparato dalla sua esperienza?
«Possibilmente non giocate d’azzardo: evitate il rischio di cadere in una dipendenza. Ho imparato che anche chi non ha particolari problemi può cadere in una dipendenza e che per uscirne è necessario fare un lavoro impegnativo su se stessi, ne vale o non ne vale la pena? Io ho fatto la mia scelta».