L'intervista

Dalla Papua Nuova Guinea alla Germania senza aerei: «Folle è chi non agisce»

Gianluca Grimalda, ricercatore del Kiel Institute, ci racconta la sua storia: dai viaggi lenti alla minaccia di licenziamento, per non restare inerme di fronte a una crisi climatica sempre più allarmante
© X (Gianluca Grimalda)
Federica Serrao
05.10.2023 18:00

Tra le Isole Salomone e la Germania, secondo Google Maps, ci sono 13.842 chilometri di distanza in linea d'aria. Una lontananza che si fa ancora più marcata qualora si decidesse di spostarsi senza aerei dall'isola di Bougainville (politicamente parte della Papua Nuova Guinea), a Kiel. In questo caso, i chilometri da percorrere diventano addirittura 39.000. Dall'Oceano Pacifico, al cuore dell'Europa. Un vero e proprio viaggio della speranza. Ma non per tutti.

Facendo un passo indietro, lo stesso tragitto appena menzionato se percorso in aereo sarebbe certamente più rapido, ma comporterebbe l'emissione di circa 3,6 tonnellate di carbonio. Il che, quindi, contribuirebbe a peggiorare lo stato di salute già critico del nostro pianeta. È partendo da questa consapevolezza che Gianluca Grimalda, scienziato del clima del Kiel Institute, ha deciso di trovare una soluzione alternativa per rientrare verso casa. Precisamente, percorrendo quei chilometri solo con navi cargo, treni, traghetti o autobus. Proposta che, tuttavia, il suo datore di lavoro non ha apprezzato. E ha fatto scattare, immediatamente, minacce di licenziamento. «Se lunedì non sei in ufficio, sei fuori». Ma lunedì, Grimalda alla sua scrivania non ci si è seduto per davvero. Da Buka Town, ha chiamato il presidente del suo istituto e gli ha fatto sapere che sarebbe rientrato, come già annunciato, senza salire su alcun aereo.

La promessa, quindi, è stata mantenuta, nonostante le minacce. Lo scienziato è rimasto in Oceania e ora sta organizzando il suo viaggio di ritorno, così come lo aveva immaginato. Lento e senza aerei. 

Dalla Spagna alla Finlandia, per cominciare

Per alcuni, la sola idea di percorrere più di mezzo mondo via terra e via mare potrebbe essere folle solo da immaginare. Ma non per Grimalda. Da noi contattato, lo scienziato ci svela che quello dalla Papua Nuova Guinea (l'isola di Bougainville pur essendo parte delle Salomone è considerata regione autonoma dello stato di Papua, ndr) alla Germania è solo il più recente dei suoi ultimi viaggi lenti. «Ho iniziato a fare slow travel nel lontano 2010», esordisce il ricercatore. «A quei tempi mi trovavo in Spagna, e da lì sono andato via terra in Finlandia. In confronto ai miei viaggi attuali, oggi, sembra nulla. Ma in realtà fu un viaggio di 63 ore». Il primo di una lunga serie. «Un anno dopo ho fatto il mio primo viaggio lento lungo, diciamo intercontinentale. Sono partito sempre dalla Spagna, per arrivare a una conferenza in Cina. Il tutto senza prendere aerei». In quell'occasione, lo scienziato aveva viaggiato per gran parte con la Transiberiana. Sempre in Asia, col passare del tempo, ha collezionato diversi altri viaggi lenti, passando più volte sulla Via della seta. «Una volta, invece, ho preso una nave mercantile per andare in Colombia per lavoro», racconta entusiasta. L'ultimo viaggio lento di Grimalda, prima di quello che sta per cominciare, è stato quello che, al contrario, dalla Germania lo ha portato fino alla Papua Nuova Guinea. 

La consapevolezza di Grimalda, quindi, ha radici ben più profonde di quanto si possa immaginare. Ripensando a quel suo primo viaggio lento, tredici anni fa, ci svela che ciò che lo spinse a intraprendere questo stile di vita fu la consapevolezza della crisi della stabilità degli ecosistemi della Terra. «Stiamo vivendo un'epoca di cambiamenti incredibili. L'aumento delle temperature, negli ultimi anni, è stato repentino e mi ha reso consapevole dei pericoli che incombono sul nostro pianeta. Da quel momento, dunque, ho deciso che avrei iniziato a viaggiare nella maniera più ecologicamente accettabile». Tradotto: prendendo meno aerei possibile. Già, perché Grimalda, come ci tiene a sottolineare, ogni tanto si sposta ancora volando. «Quando non esistono altre possibilità, gli aerei li prendo. Nel 2019 ho viaggiato dalla Germania a Tokyo via terra, ma non ho trovato altrettante alternative per raggiungere la Papua Nuova Guinea. Quindi l'aereo era l'unica soluzione. In generale, però, avendone la possibilità, quando posso – sia che si tratti di lavoro o di svago – cerco di minimizzare l'impatto ambientale dei miei viaggi». 

Il peggioramento della crisi climatica, poi, ha fatto il resto. «Forse, in passato avrei pensato di prendere l'aereo per raggiungere la Papua, scegliendo la modalità di viaggio lento solo per il ritorno», ci confessa il ricercatore. «Il cambiamento climatico a livelli importanti, però, sta avvenendo ora. Non è più un problema del futuro. E per questo motivo, per dovere morale, ho deciso di aumentare ancora di più i percorsi lenti». 

Più sostenibile ma meno economico

Ma diamo un'occhiata ai numeri. Sì, perché se viaggiare in aereo è particolarmente dannoso per il nostro pianeta, anche scegliere navi cargo e autobus non risolve totalmente il problema. «Certamente, però, si emettono meno chili di diossido di carbonio», spiega Grimalda. Nello specifico, viaggiando con trasporto lento dalle isole Salomone alla Germania si emettono 400 chili di diossido di carbonio. «Che è comunque tanto», osserva il ricercatore, sottolineando che si tratta della stessa quantità che una persona in Papua Nuova Guinea emette in un anno. «Non sono numeri piccoli, certo. Ma se decidessi di utilizzare l'aereo emetterei dieci volte tanto. Quasi 4 tonnellate di diossido di carbonio, che corrispondono invece a quello che, mediamente, una persona in Occidente emette nell'arco di 365 giorni». 

Ma se da un lato viaggiare lentamente consente di risparmiare sulla quantità di emissioni, lo stesso non si può dire da un punto di vista economico. «Spostarsi solo via terra o via mare, tendenzialmente, costa dal 50% al 100% in più rispetto a un viaggio in aereo». In questo caso specifico, dall'Oceano Pacifico all'Europa, Grimalda spiega che a far lievitare così tanto il prezzo sono i visti d'entrata nei Paesi. «Quello del Pakistan è molto costoso, perché bisogna richiederlo con una lettera di invito. Tuttavia, in questo caso non parliamo di cifre da capogiro». Lo scienziato, dati alla mano, ci spiega che per un viaggio andata e ritorno verso la Papua con l'aereo avrebbe speso 2.500 euro. Scegliendo il trasporto lento, solo durante il primo viaggio ne ha già spesi 2.000. In totale, contando anche il viaggio di ritorno, si parla quindi di circa 4.000 euro. Dunque, 1.500 in più. 

Purtroppo, verso la fine del progetto, sono stato vittima di un attacco da parte di bande criminali. Ex combattenti della guerra civile di Bougainville degli anni 90, che ci hanno tenuto sotto ostaggio, minacciandoci con un machete

Tutta colpa di un ritardo

Arriviamo, quindi, al punto più critico della vicenda. La minaccia di licenziamento. Come prima cosa, viene da domandarsi per quale motivo l'istituto dove lavora Grimalda, abituato ai suoi viaggi lenti, questa volta abbia incrociato le braccia. «La ragione è molto semplice: ero in ritardo», ci spiega lo scienziato. «Il mio field work in Papua, dove sto studiando l'impatto del cambiamento climatico sulla popolazione, ha richiesto circa 40 giorni più del dovuto. Il mio permesso di soggiorno scadeva il 10 settembre, quindi sarei dovuto essere in Germania molto prima del 2 ottobre». Ma a trattenere più del previsto Grimalda sono stati avvenimenti tutt'altro che piacevoli. «Purtroppo, verso la fine del progetto, sono stato vittima di un attacco da parte di bande criminali. Ex combattenti della guerra civile di Bougainville degli anni 90, che ci hanno tenuto sotto ostaggio, minacciandoci con un machete». Un'esperienza che, fortunatamente, si è conclusa "solo" con un grande spavento e con il pagamento di un riscatto, per ritornare in possesso di tutti i beni personali confiscati dalla banda criminale. Oltre che con uno spostamento verso un'area più sicura, dove continuare a lavorare per la ricerca. 

Proprio perché si è trattato di un inconveniente decisamente spiacevole, Grimalda non si capacita delle minacce ricevute dal suo datore di lavoro. «Da un punto di vista formale posso capirli, dopotutto nella lettera del contratto è scritto chiaramente che è l'Istituto a dire ai suoi dipendenti da dove devono lavorare. Quello che non capisco, però, è perché non mi siano venuti incontro: sono rimasto bloccato per motivi di forza maggiore. Posso comunque continuare a svolgere il mio lavoro da una nave o da un treno, dunque non vedo il senso di tornare a Kiel così in fretta. Loro, inoltre, sanno bene che per me scegliere di viaggiare in maniera lenta è una questione morale».

Tuttavia, una motivazione che potrebbe spiegare la decisione così drastica dell'istituto, secondo Grimalda, forse c'è. «È solo un'ipotesi, ma penso che possano non aver gradito la mia partecipazione ad alcuni movimenti di disobbedienza civile», dice Grimalda. In alcune occasioni, il ricercatore si è unito a manifestazioni che hanno bloccato, in maniera simbolica e senza alcuna violenza, alcune attività «simbolo dello sfacelo climatico a cui stiamo assistendo». «Questi episodi hanno avuto una eco mediatica molto forte, e il mio Istituto potrebbe aver pensato che, in questo modo, la sua reputazione poteva essere compromessa e di «farmela pagare» al momento opportuno. Le mie, però, sono solo congetture». 

E ora?

Dalla minaccia di licenziamento, arrivata puntuale il 2 ottobre, sono ormai passati alcuni giorni. A questo punto, ci spiega Grimalda, sarebbe dovuta arrivare una seconda lettera di ammonizione, dalla quale sarebbe, automaticamente, scattato il licenziamento effettivo, annunciato nella prima comunicazione. «Sono sorpreso, ma non ho ancora ricevuto niente», ci confessa. «Forse, complice il fatto che la mia storia sia diventata virale, ci stanno ripensando», ammette con un po' di speranza, ma mai con tono pentito. Anzi. «Se non posso viaggiare in maniera lenta, sono disposto a perdere il mio posto di lavoro senza problemi. Significa che non è adatto a me, perché va contro i miei valori morali. Quindi, a quel punto, che mi licenzino pure. A me interessa lanciare un messaggio forte al resto della popolazione, e credo, almeno in parte, di esserci riuscito. Molti definiscono "folle" perdere il lavoro per non essere salito su un aereo. Per me, invece, è folle non agire per il nostro pianeta».

Nel frattempo, Grimalda sta pianificando il suo lungo viaggio di ritorno. «Sicuramente tornerò a Kiel, perché ho casa lì. E nel caso fossi davvero licenziato, oltre a fare ricorso, dovrei occuparmi di alcune questioni burocratiche». Ma prima di arrivare in Germania, lo scienziato arriverà a Singapore via nave. Quindi attraverserà la Malesia, poi la Thailandia. «Dopo mi piacerebbe fare una deviazione, e concedermi qualche giorno di pausa per visitare la Cambogia e il Vietnam. E anche la Cina, da cui passerò in ogni caso e salirò su uno dei loro treni super veloci». E dopo? «Di solito proseguo passando per il Kazakistan, ma questa volta mi piacerebbe deviare per il Pakistan, attraversando la meravigliosa strada del Karakorum». Da lì, entrerebbe in Iran, poi in Turchia prenderà un traghetto per arrivare in Grecia. E dopo un altro ancora, in direzione sud Italia. Fino a tornare, anche questa volta, lentamente, a casa. 

In questo articolo: