Economia

La FED lascia i tassi invariati nonostante il pressing di Trump

Il costo del denaro resta fermo in una forchetta fra il 4,25% e il 4,50%, livello al quale sono dallo scorso dicembre
© KEYSTONE (EPA/JIM LO SCALZO)
Ats
18.06.2025 22:00

La Fed lascia i tassi di interesse invariati nonostante gli attacchi di Donald Trump che, mentre la riunione della banca centrale era in corso, ha definito il presidente Jerome Powell uno «stupido». Pur non toccando il costo del denaro, la banca centrale conferma la sua intenzione di voler ridurre quest'anno i tassi di complessivi 50 punti base, con due sforbiciate da un quarto di punto.

Ma le incertezze sono molte e, anche solo rispetto a marzo, la convinzione di poter procedere con due riduzioni si va dileguando: ben sette componenti della Fed stimano infatti che non ci sarà nessun allentamento quest'anno rispetto ai quattro dello scorso marzo. Altri due puntano invece a una sola riduzione del costo del denaro. A prevedere due sforbiciate sono in otto, meno dei nove di pochi mesi fa.

«L'incertezza sulle prospettive economiche è diminuita ma resta elevata», ha affermato la banca centrale nel comunicato diffuso al termine della due giorni di riunione. E l'incertezza si fa sentire sulle stime di crescita: il pil è previsto crescere nel 2025 dell'1,4%, in deciso rallentamento rispetto allo scorso anno e meno dell'1,7% precedentemente previsto. Per il 2026 si prevede un'accelerazione all'1,6%. Il tasso di disoccupazione salirà invece al 4,5% mentre l'inflazione al 3%.

«L'economia è in una posizione solida», ha detto Powell assicurando l'impegno della Fed a perseguire il raggiungimento dei suoi due obiettivi, quelli della stabilità dei prezzi e della massima occupazione. Gli effetti dei «cambi nelle politiche commerciali e di bilancio restano incerti» e la politica monetaria della Fed resta «ben posizionata» per attendere ulteriori informazioni prima di decidere le prossime mosse, ha aggiunto.

Calmo e pacato, il presidente della Fed non è apparso toccato dagli attacchi di Trump che, dopo averlo definito uno «stupido», ha ironizzato: «posso nominarmi da solo alla Fed? Farei di sicuro un lavoro migliore». Il tycoon ha poi criticato Joe Biden per aver confermato Powell alla guida della Fed - «io non l'avrei fatto», ha detto -, senza però accennare al fatto di aver nominato lui stesso Powell alla presidenza.

«Mi odia. Non è intelligente e sta costando al paese una fortuna. Dovremmo avere tassi più bassi di 2,5 punti, pagheremmo molto meno di debito. In Europa ci sono state 10 riduzioni, da noi neanche una», ha incalzato il presidente assicurando che nominerà a breve un successore di Powell, il cui mandato scade nel maggio del 2026. Fra i papabili, secondo indiscrezioni, ci sarebbero il segretario al Tesoro Scott Bessent e l'ex della banca centrale Kevin Warsh.

Fra i dazi e le tensioni geopolitiche, la Fed si trova a operare in un quadro sempre più complesso. Se per ora l'emergenza tariffe sembra rientrata, il sospiro di sollievo potrebbe essere di breve durata: in luglio scade infatti la pausa di 90 giorni concessa da Trump e in mancanza di accordi commerciali, i dazi torneranno ai livelli annunciati il 2 aprile, nel 'giorno della Liberazione'.

Un aumento delle tariffe potrebbe avere effetti sull'inflazione, esposta anche ai rischi della guerra fra Iran e Israele. Finora le infrastrutture energetiche per l'esportazione di petrolio non sono state toccate negli attacchi e anche lo stretto di Hormuz è stato risparmiato ma il rischio di un allargamento del conflitto e di nuove fiammate delle quotazioni del greggio resta una possibilità.

La decisione della Fed era ampiamente attesa dai mercati finanziari, che restano più concentrati sul Medio Oriente e temono un'escalation. Le borse europee hanno chiuso deboli, con Milano che è salita dello 0,08%. Wall Street è in rialzo, con i listini che registrano guadagni sotto lo 0,50%. Il gas europeo ha chiuso in calo dell'1,57% a 38,69 euro. Il petrolio, osservato speciale con la guerra in Iran, avanza ma in modo contenuto, lasciando trapelare un certo ottimismo sul conflitto.