La fortuna di MicroStrategy è di essersi votata al Bitcoin

La corsa al rialzo del Bitcoin è impressionante: da inizio anno la quotazione della storica criptovaluta - o meglio, criptoasset -al mondo è salita di quasi il 150%. Ma anche l’intero mercato degli asset digitali è in fermento: nel mese scorso il volume complessivo delle transazioni (spot e derivati) rilevato da CCData è cresciuto del 101% a 10.400 miliardi di dollari. Comprare Bitcoin è oneroso non solo per il prezzo a sei cifre che viene richiesto, ma anche per la sua scarsità. Chi ne possiede non intende certo cedere Bitcoin facilmente, vista la prospettiva di ulteriori rialzi alimentati anche dalla legittimazione generale delle cripto da parte dell’amministrazione Trump. L’annunciata nomina di Paul Atkins (sostenitore della mondo cripto, ndr) a futuro direttore della SEC va in questa direzione. Ma per chi ha fame di cripto e crede in questo mercato, le alternative non mancano, a partire dagli ETF (quello molto popolare di iShares, per esempio, costa «appena» 57 dollari), oppure acquistando azioni di società che fanno «mining». Il titolo più costoso è quello di Hut 8 Mining, quotata a circa 30 dollari. E poi ci sono i «proxy», titoli di società che posseggono Bitcoin il cui acquisto equivale, per estensione, all’acquisto del famoso asset digitale. Ed è qui che si sono registrate performance da capogiro, finanche superiori a quella del Bitcoin stesso. In una di queste società - ha sottolineato con sorpresa recentemente la stampa specializzata - ha investito anche la Banca nazionale svizzera.
Dall’informatica all’oro digitale
Immaginiamo di essere i dirigenti di una società (quotata in Borsa) che produce programmi informatici. Nulla di eclatante, si tratta di un mercato affollato e molto competitivo. Lo spettro del fallimento è sempre in agguato e nel caso in questione è pure stato sfiorato. Immaginiamo ora che gli stessi dirigenti decidano, in tempi non sospetti, di investire in Bitcoin e di accumularne quale riserva di capitale aziendale, accanto al capitale azionario nei passivi a bilancio. E, infine, immaginiamo come quella decisione, audace e per certi versi innovativa, quest’anno abbia «reso» alla società una performance in Borsa quattro volte quella del Bitcoin stesso. Questa è, in estrema sintesi, la storia di MicroStrategy Inc. (MSTR), azienda della Virginia, negli USA. Fondata nel 1989, dieci anni l’allora startup viene quotata al Nasdaq, diventando poi una delle molte società «dot-com» quasi evaporate allo scoppio della bolla della new economy nel 2001. Il valore delle azioni passò, nello specifico, dai massimi di 333 dollari a meno di cinquanta centesimi. MicroStrategy fu pure oggetto di un’indagine della SEC con l’accusa di frode contabile.
«MicroStrategy è la prima e più grande società al mondo che ha adottato il Bitcoin come principale asset di riserva della tesoreria», si legge suo ultimo rapporto finanziario trimestrale, in cui sono indicati cifre di bilancio che, al netto della posizione in Bitcoin – a fine settembre era di 252.220 unità, circa il 2% di tutti i token finora emessi nel mercato - mostrano più costi che ricavi. Insomma, il «core business» della società, che nel frattempo ha sviluppato programmi di contabilità analitica basati sull’IA, è in perdita. In tempi normali si sarebbe sull’orlo del fallimento. Il meccanismo escogitato per stare a galla è semplice, quasi banale: emettere azioni e obbligazioni convertibili per acquistare Bitcoin. Gli acquisti contribuiscono a sostenere il prezzo del Bitcoin, facendo salire a loro volta il valore delle azioni di MicroStrategy. E così di seguito. Nel solo mese di ottobre, MicroStrategy ha annunciato l’intenzione di raccogliere ben 42 miliardi di dollari in azioni e obbligazioni convertibili, acquistando 10,2 miliardi di dollari di Bitcoin. Inoltre, questo mese la società ha piazzato la sua quinta emissione obbligazionaria convertibile dell’anno, raccogliendo tre miliardi di dollari con un un tasso di interesse nullo e un prezzo di conversione del debito in azioni con un premio del 55% rispetto all’attuale valore delle azioni (attorno a 390 dollari). Il meccanismo pare funzionare molto bene: da inizio anno il titolo è salito di oltre il 500% e la sua capitalizzazione di mercato è salita a 90 miliardi di dollari. Non male per un’azienda che impiega meno di duemila dipendenti e fattura meno di 500 milioni di dollari l’anno.

L’interesse delle banche centrali
Ma c’è di più: lo scorso agosto alcuni media specializzati hanno rilevato come nella lista degli azionisti di MicroStrategy figurassero niente meno che la Norges Bank (la banca centrale norvegese) e la Banca nazionale svizzera (BNS). Stando infatti ai formulari «13F», i rapporti che gli investitori istituzionali con oltre 100 milioni di dollari di attività gestite devono presentare ogni trimestre alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti, la Norges Bank deteneva 1,123 milioni di azioni MicroStrategy, mentre la BNS ne deteneva 466 mila, con un aumento del 60% rispetto al trimestre precedente. Stando ancora ai questi media, la posizione di titoli MicroStrategy nel portafoglio investimenti della BNS era di appena lo 0,0441%. A quel tempo, l’azione MicroStrategy valeva attorno ai 130 dollari, ora 390 circa. Facendo due calcoli e presumendo che la BNS detenga ancora quel numero di azioni, nel giro di tre mesi il guadagno è di circa 121 milioni di dollari.
Azioni invece di token
Investendo in MicroStrategy, la BNS di fatto ha un’esposizione indiretta al Bitcoin . Ciò consente all’istituto centrale di beneficiare potenzialmente della performance del Bitcoin, evitando al contempo le sfide normative e di custodia associate alla detenzione diretta di criptovalute. MicroStrategy è entrata a far parte dell’indice MSCI World lo scorso 1. giugno, il che potrebbe aver influenzato la decisione della BNS di aumentare la sua partecipazione. Oppure no. Da noi contatta, la BNS si è limitata ad affermare che «non può esprimersi su singoli titoli» detenuti. «In linea di principio - precisa - la Banca nazionale non effettua stock picking, né sovrappesa o sottopesa determinati settori. Di conseguenza, la Banca nazionale detiene azioni dei vari settori economici in base alla capitalizzazione di mercato. Questo approccio garantisce che l’esposizione del portafoglio ai diversi rischi sia simile a quella dell’universo globale delle società quotate e che i cambiamenti strutturali dell’economia mondiale si riflettano anche nel portafoglio della BNS».