«Se freniamo la competitività, perderemo attività e impieghi»

Interpharma è l’associazione delle aziende farmaceutiche svizzere orientate alla ricerca. Oggi conta 23 membri, tra cui i giganti come Novartis e Roche. In queste ultime settimane è intervenuta in più occasioni nel discorso pubblico, in particolare rispetto alle questioni statunitensi, tra dazi e prezzi di riferimento dei farmaci. Ne parliamo con il CEO René Buholzer.
In un comunicato
diramato la scorsa settimana, Interpharma rimarcava che la Svizzera è diventata
Paese di riferimento per i prezzi dei farmaci negli USA. Direttore, quale
impatto concreto prevedete a breve termine per i pazienti svizzeri e per il
sistema sanitario svizzero?
«I prezzi dei
medicamenti nei Paesi esteri vengono utilizzati negli Stati Uniti per definire
il prezzo minimo estero al quale dovrebbe allinearsi il prezzo americano. Gli
Stati Uniti ricorrono quindi a un sistema di prezzi di riferimento, utilizzato
d’altronde anche dalla Svizzera. La fissazione dei prezzi in Svizzera diventa,
così, rilevante per il più grande mercato farmaceutico mondiale. Il mercato
svizzero rappresenta solo lo 0,5% del mercato mondiale, mentre quello americano
è circa 100 volte più grande. Per evitare l’utilizzo di questo prezzo svizzero
come riferimento, le aziende farmaceutiche rischiano fortemente di rinunciare a
questo piccolo mercato per evitare l’influenza sul prezzo americano. La
conseguenza diretta sarebbe quindi una diminuzione dell’immissione sul mercato
di nuovi farmaci innovativi. E alla fine saranno i pazienti a subirne le
conseguenze, con un accesso ridotto o ritardato ai nuovi farmaci».
In che misura la
pressione sui prezzi negli Stati Uniti può riflettersi sulla Svizzera, e quali
scenari ritiene più realistici: un rialzo dei prezzi in Svizzera, un effettivo
peggioramento della disponibilità o un rallentamento nell’accesso all’innovazione?
«Da diversi anni
è già in atto un deterioramento della disponibilità dei farmaci. Rispetto alla
Germania, solo circa la metà dei nuovi farmaci innovativi autorizzati
dall’Agenzia europea per i medicinali e rimborsati in Germania sono disponibili
anche nel nostro Paese per tutti i pazienti. La clausola della nazione più
favorita (MFN) annunciata con decreto negli Stati Uniti nel maggio di
quest’anno e in fase di attuazione aggraverà ulteriormente la situazione. Il
fatto che in Svizzera vengano immessi sul mercato sempre meno farmaci
innovativi ha quindi già come conseguenza un rallentamento dell’accesso
all’innovazione. Per quanto riguarda i prezzi, da molti mesi chiediamo una
modernizzazione del sistema di formazione dei prezzi dei medicamenti, che
riteniamo obsoleto e non più adatto ai nuovi farmaci innovativi. Data la
situazione radicalmente nuova, è giunto il momento di non concentrarci più
esclusivamente sui costi, come abbiamo fatto finora, ma di porre l’accento
sulla missione di approvvigionamento prevista dalla legge, anche per i nuovi
farmaci».
Lei ha spesso
parlato della competitività del “polo pharma” svizzero. In che misura le
minacce di dazi, le modifiche normative statunitensi e i modelli di prezzo
internazionali mettono in discussione la scelta della Svizzera come base per
R&S e produzione?
«Da un lato, il
crescente isolazionismo degli Stati Uniti e le minacce di dazi doganali hanno
come conseguenza che le aziende sono costrette a produrre maggiormente negli
Stati Uniti per gli Stati Uniti. D’altra parte, i pazienti in Svizzera devono
attendere sempre più a lungo l’immissione sul mercato di farmaci talvolta
vitali. Il processo dell’UFSP volto a includere i farmaci nell’elenco delle
specialità richiede sempre più tempo, rendendo il mercato svizzero meno
attraente. A ciò si aggiungono anche le conseguenze negative della diminuzione
della ricerca clinica, che rallenta l’innovazione limitando l’accesso dei
pazienti alle nuove terapie».
Lei ha stimato -
ricordando che «l’industria farmaceutica è di gran lunga il maggior
contribuente del Paese» - un elevato mancato gettito fiscale in Svizzera a
causa degli investimenti delle imprese farmaceutiche in USA. Quali sono i primi
effetti che teme sulla filiera, sull’occupazione e sulla fiscalità locale?
«Perdendo
attrattiva e competitività, il settore farmaceutico svizzero rischia di perdere
attività che generano posti di lavoro e gettito fiscale. Meno posti di lavoro
significano meno reddito generato, meno attività economica e meno consumi, con
ripercussioni anche sulle attività di altri settori. Meno posti di lavoro
significano anche meno ricerca. Il settore farmaceutico investe ogni anno 9
miliardi di franchi in ricerca e sviluppo. A titolo di confronto, il fatturato
del settore in Svizzera è solo di 5 miliardi di franchi. Gli effetti sul
gettito fiscale sono duplici. Quelli delle aziende farmaceutiche che, data la
loro importanza, possono avere rapide ripercussioni sulle finanze dei Comuni,
dei Cantoni, ma anche della Confederazione. A titolo di confronto, i 5 miliardi
di franchi di imposte pagate dalle aziende farmaceutiche rappresentano i due
terzi dell’intero budget FRI (formazione, ricerca e innovazione) della
Confederazione. A ciò si aggiungono le perdite di gettito fiscale generate dai
posti di lavoro che sarebbero stati trasferiti o soppressi. L’ultimo studio di
Wellershoff & Partners mostra chiaramente cosa c’è in gioco: se l’industria
farmaceutica svizzera delocalizzasse parte delle sue attività all’estero o non
reinvestisse più in Svizzera, lo Stato potrebbe perdere fino a 10 miliardi di
franchi di entrate all’anno».
Come valuta la
combinazione tra politiche di riduzione dei costi nel sistema sanitario
svizzero e la necessità di garantire accesso rapido alle terapie innovative,
soprattutto in aree come oncologia o malattie rare?
«Il benessere del
paziente deve essere posto al centro dell’interesse comune. Occorre infatti
distinguere tra il costo di una terapia e il costo di una malattia. Un paziente
trattato tempestivamente con un farmaco innovativo potrà forse tornare al
lavoro più rapidamente. Potrà forse anche evitare il ricovero in ospedale per
la terapia. Anche questi sono elementi che devono essere presi in
considerazione. Le malattie croniche comportano costi pari a 109 miliardi di
franchi all’anno in Svizzera, come dimostra un nuovo studio della
Confederazione. I farmaci e le terapie innovative hanno un costo, ma alla fine
consentono di ridurre notevolmente tali costi per la società e il sistema
sanitario. Tuttavia, invece di premiare questi progressi e rafforzare e attrarre
queste innovazioni in Svizzera, l’UFSP continua a puntare su misure di
riduzione dei costi che indeboliscono notevolmente la posizione farmaceutica
svizzera e allontanano l’innovazione farmaceutica dal nostro Paese.
L’innovazione farmaceutica non è parte del problema, ma della soluzione per una
società sana, un sistema sanitario finanziato in modo sostenibile e un’economia
forte».
Alla luce della
nuova geopolitica farmaceutica - su tutto: dazi e pressione sui prezzi - come
pensa che cambierà la strategia delle imprese farmaceutiche in Svizzera?
«Le aziende
farmaceutiche che si occupano di ricerca sono imprese internazionali con una
strategia definita a livello mondiale. In un mondo in cui i due maggiori
mercati globali - Stati Uniti e Cina - stanno delocalizzando la loro
produzione, la concorrenza tra i siti di insediamento si sta intensificando
notevolmente nel resto del mondo. Se la Svizzera vuole continuare ad avere un
ruolo da svolgere, deve stabilire condizioni quadro che le consentano di
distinguersi per rimanere competitiva. Solo così potrà invogliare le aziende
farmaceutiche internazionali a rimanere e a sviluppare le loro attività».
In una nostra
recente intervista, Stefan Meierhans ha denunciato che la Svizzera spende
troppo per la sanità rispetto ai Paesi vicini, con margini di risparmio “a
dieci cifre” nel settore farmaceutico. Condivide?
«La spesa
sanitaria riflette le priorità della società. I dati internazionali mostrano
che la stessa aumenta con il livello di prosperità. Per quanto riguarda il
costo dei medicamenti, la loro quota sui costi sanitari complessivi rimane
stabile da oltre dieci anni al 12% circa. Ogni tre anni vengono rivisti tutti i
prezzi dei medicamenti. Le modifiche al ribasso consentono di risparmiare ogni
anno 1,5 miliardi di franchi. Se si tiene conto del potere d’acquisto, la
Svizzera è uno dei Paesi meno costosi d’Europa, dove i farmaci brevettati
costano in media il 20% in più rispetto alla Svizzera».
Sul freno ai
costi sembra mancare un allineamento tra i vari attori. Come si potrebbe
introdurre una logica di responsabilità condivisa tra industria, assicuratori e
Stato?
«Negli ultimi
anni l’industria farmaceutica ha dato un grande contributo al finanziamento
sostenibile del sistema sanitario svizzero. È l’unico settore che dispone di un
meccanismo istituzionalizzato di controllo dei prezzi, che ogni anno consente
di realizzare risparmi per oltre 1,5 miliardi di franchi solo su questa base. A
ciò si aggiungono altre riduzioni di prezzo, ad esempio in caso di estensione
delle indicazioni e scadenza dei brevetti. Promuovendo i farmaci generici e
biosimilari e adeguando i margini di distribuzione, negli ultimi anni
l’industria ha contribuito con oltre 700 milioni di franchi allo sforzo di
ulteriore riduzione dei costi. L’attuazione dei modelli di costo decisi dal
Parlamento nell’ambito del secondo pacchetto di misure per il contenimento dei
costi indebolirà ulteriormente la piazza farmaceutica svizzera, con conseguenze
per l’economia e la popolazione svizzere».
