Finanza

Sul futuro dei bond AT1 le autorità si interrogano

A un anno dalla vicenda delle obbligazioni AT1 di Credit Suisse azzerate per decisione della Finma, emergono ipotesi di rinunciare del tutto a questi controversi strumenti di capitale bancario
© KEYSTONE / MICHAEL BUHOLZER
Dimitri Loringett
10.05.2024 13:00

Le obbligazioni AT1 servono ancora? Dopo quanto accaduto a Credit Suisse (CS), qualcuno la domanda se l’è posta, come il Ministero delle Finanze olandese che ha recentemente ventilato l’idea di abolire questi strumenti di capitale delle grandi banche che sostanzialmente fungono da «cuscinetto» per assorbire eventuali perdite. Secondo un rapporto dell’autorità olandese pubblicato a metà marzo, gli eventi legati al crollo di CS dello scorso anno (ordine della Finma di azzerare i bond AT1 pari a un valore nominale di circa 16 miliardi di franchi, ndr) «hanno dimostrato che gli investitori e i mercati non hanno interiorizzato appieno i vari fattori che possono portare alla partecipazione alle perdite negli strumenti AT1». In altre parole, il caso CS ha rivelato agli investitori che questi strumenti possono essere svalutati interamente o, secondo il cosiddetto «Swiss finish» introdotto dalla Finma, cancellati del tutto. L’autorità olandese sostiene inoltre che «l’abolizione di vari strumenti di capitale, tra cui il capitale AT1 con una struttura a volte opaca e incentivi comportamentali non ottimali, può ridurre la pressione normativa e promuovere la gestione del rischio».

Anche in Svizzera si stanno studiando delle riforme riguardo alle regole per le banche di rilevanza sistemica, poiché, tra altri aspetti, gli AT1 non hanno agito per frenare il collasso di CS. Nel rapporto del Consiglio federale sulla stabilità delle banche, pubblicato giusto un mese fa, un capitolo è dedicato al rafforzamento della funzione di copertura dei rischi nel «going concern» (continuità operativa), in cui si legge che «si potrebbero adeguare le esigenze prudenziali in modo tale che non vengano più ammessi strumenti AT1 “write-off” (ammortizzabili, ndr), ma solo strumenti di conversione». Gli AT1, in principio, sono titoli obbligazionari che possono, in determinate e precise circostanze, essere convertite in capitale azionario. Il Consiglio federale ipotizza pure una «sostituzione delle esigenze AT1 con corrispondenti esigenze CET1». Si tratterebbe di una misura che punta ad «aumentare la qualità del capitale per adempiere alle esigenze “going concern” (…) solo con CET (il capitale proprio delle banche, ndr) e, pertanto, gli strumenti AT1 non sarebbero più computabili. Grazie a una più elevata qualità del capitale, aumenterebbe anche la fiducia dei fornitori di capitale di terzi (depositanti inclusi) nella banca». Tuttavia, il Consiglio federale concede che modifiche simili porterebbero la Svizzera «a discostarsi radicalmente dallo standard internazionale e dalla prassi di altre giurisdizioni, con ripercussioni che ricadrebbero sull’intero settore bancario».

E del futuro degli AT1 si è occupato pure il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (BCBS) che in aprile, stando a fonti citate dal «Financial Times» (FT), ha tenuto una serie di incontri presso l’Autorità bancaria europea (EBA), durante i quali ha chiesto il parere dei partecipanti – dirigenti bancari, investitori e agenzie di rating – sulla performance degli AT1 durante le turbolenze del settore bancario dell’anno scorso. Tra le domande poste dal BCBS c’era quella di sapere se il collasso di CS avesse cambiato l’opinione degli investitori sulla rischiosità degli AT1 e se le banche ne stessero modificando i prospetti di emissione. Nelle comunicazioni inviate ai partecipanti, scrive ancora il FT, il BCBS ha precisato che (la tavola rotonda) «mira a raccogliere una serie di prospettive sugli strumenti AT1 e non costituisce un’indicazione di revisioni programmate delle attuali linee guida di Basilea». Detto altrimenti, il BCBS non intende per ora eliminare gli AT1.

Anche UBS prende tempo

Come noto, contro la decisione della Finma di azzerare gli AT1 di CS sono state presentate alcune migliaia di ricorsi – tuttora pendenti – al Tribunale amministrativo federale (TAF). Stando a nostre informazioni, UBS, quale successore legale di CS, già da aprile/maggio 2023 si è costituita parte nelle procedure di ricorso ed è stata quindi invitata dal TAF a presentare le sue prime osservazioni ai ricorsi degli investitori. Il termine per presentarle è stato però assegnato in tempi diversi a seconda della velocità con cui i molteplici ricorrenti hanno finalizzato, sotto un profilo formale, i propri atti ricorsuali. In alcune procedure, per esempio, Finma e CS (ora UBS) hanno inoltrato da tempo le proprie prese di posizione, ma il TAF non le ha ancora notificate ai ricorrenti. In altri casi (molti dei quali provenienti dal Ticino), il termine assegnato all’autorità di vigilanza e all’istituto di credito non è ancora spirato, anche perché sia Finma, sia UBS continuano a chiedere proroghe su proroghe (che il TAF ha ripetutamente concesso). In un caso visionato dal CdT, il TAF aveva assegnato a UBS un primo termine il 15 febbraio 2024, per poi prorogarlo una prima volta il 14 marzo e di nuovo il 2 maggio, estendendo il termine in favore dell’istituto di credito fino al 3 giugno. UBS motiva le richieste di proroga in base sia alla «inattesa» grande mole di documentazione da analizzare, sia alle questioni linguistiche: molti ricorsi, infatti, sono redatti in lingua italiana e presenterebbero differenze di struttura rispetto a quelli paralleli redatti in tedesco.

Insomma, le stesse motivazioni della Finma, l’autorità svizzera di vigilanza dei mercati finanziari chiamata a esprimersi sui ricorsi, come abbiamo riferito lo scorso 4 aprile, ha scritto al TAF chiedendo più tempo per esprimersi. Intanto, gli oltre tremila ricorrenti «colpiti» dalla decisione della Finma di più di un anno fa aspettano.

Il mercato degli AT1 cresce

L’azzeramento degli AT1 di CS l’anno scorso ha avuto un impatto importante sul mercato di questi strumenti, misurato dalla performance dell'indice ICE BofA CoCo che è sceso del 14,3% alla chiusura del mercato il 20 marzo (il giorno dopo la decisione della Finma). Un anno dopo, l'indice ha registrato un rimbalzo del +26,4% rispetto al punto più basso di dodici mesi prima. «In termini relativi, il segmento degli AT1 rimane interessante, soprattutto grazie al suo rendimento medio attorno al 7%, sebbene molti altri segmenti obbligazionari si siano ulteriormente ridotti nel frattempo», afferma al CdT Julien de Saussure, Financial Debt Portfolio Manager presso Edmond de Rothschild Asset Management. «Il mercato primario – aggiunge l’esperto – è tornato a pieno ritmo, con emissioni cumulate di 30 miliardi (in euro-equivalenti) nel 2023. Dapprima attraverso emissioni in euro a partire da giugno 2023 e successivamente sul mercato del dollaro a partire da agosto 2023, tra cui l'attesissima emissione di UBS nel novembre 2023 che ha ricevuto ordini complessivi per circa 30 miliardi di dollari – un record».