Lo studio

Erano scappati dalla guerra, ora stanno tornando a casa

Secondo una ricerca dell'European University Institute di Firenze, il 15% dei russi che aveva lasciato il Paese in seguito all'invasione dell'Ucraina e alla mobilitazione parziale annunciata da Vladimir Putin ha fatto ritorno nella Federazione
© ZURAB KURTSIKIDZE
Red. Online
26.10.2023 09:15

Oltre il 15% dei russi che avevano lasciato il Paese in seguito all'invasione dell'Ucraina e, soprattutto, alla mobilitazione militare parziale annunciata dal Cremlino nel settembre 2022 hanno fatto ritorno a casa. In via temporanea o, addirittura, definitiva. È quanto ha riferito ieri, mercoledì, il Financial Times citando un nuovo studio. Nello specifico, Emil Kamalov e Ivetta Sergeeva dell'European University Institute di Firenze hanno condotto un'indagine a lungo termine su 5 mila emigrati russi sparsi per 60 Paesi. L'indagine è stata denominata OutRush.

I ricercatori, innanzitutto, hanno tracciato un profilo di queste persone. Parliamo di cittadini russi tendenzialmente giovani, politicamente attivi e con un alto livello di istruzione rispetto alla popolazione russa in generale. «Non si è trattato, assolutamente, di una migrazione economica in senso classico» ha dichiarato Sergeeva al Financial Times. Al contrario, a fuggire sono state persone altamente specializzate. Che, nel lasciare la Russia, hanno perso praticamente tutto: soldi e status sociale. «Per molte persone, la qualità della vita è presto diminuita all'estero».

L'antropologa Alexandra Arkhipova, dal canto suo, ha spiegato che all'estero non tutti hanno trovato condizioni lavorative soddisfacenti. Per tacere dei visti, complicati da ottenere. «Per questo, alcuni sono tornati in Russia». Non solo, all'equazione bisogna aggiungere la parvenza di normalità e stabilità economica che, almeno a Mosca, il Cremlino è riuscito a garantire. Nonostante, appunto, la guerra. Nel 2022, la Russia ha assistito a due, storiche ondate migratorie: una, in primavera, in seguito all'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca; l'altra, in autunno, dopo l'annuncio di Vladimir Putin e la cosiddetta mobilitazione parziale. All'epoca, erano emerse molte storie di fughe, anche strampalate o improvvisate, ed erano aumentate anche ricerche particolari su Google, con frasi tipo «come rompersi un braccio» nel tentativo di evitare la chiamata. Nel frattempo, erano salite a dismisura anche le richieste per voli verso mete quali Dubai o, ancora, le ex repubblica sovietiche. Tutto, insomma, pur di evitare di finire al fronte.

Kirill Rogov, politologo del progetto Re:Russia, ha riferito che dal febbraio 2022 oltre 820 mila presone hanno lasciato la Russia. Molti sono fuggiti perché si opponevano alla guerra, altri perché temevano un collasso economico, altri ancora, come detto, perché temevano di venire chiamati alle armi. Nel marzo dello stesso anno, Vladimir Putin aveva definito questo deflusso come «una naturale e necessaria pulizia della società». Ad andarsene, insomma, era un insieme classificabile in, citiamo, «feccia e traditori». Lo scorso giugno, per contro, il leader del Cremlino ha cambiato i toni. Descrivendo i russi all'estero come «un ulteriore elemento di collegamento tra la Russia e i Paesi con i quali stiamo già sviluppando contatti economici e umanitari». Di più, secondo le sue stime il 50% di chi era partito aveva nel frattempo fatto ritorno nella Federazione. 

C'è chi, come il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev o il presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin, al contrario di Putin non si è spostato di un millimetro. Chiedendo e continuando a chiedere pene esemplari per i russi fuggiti dalla guerra. Volodin, in particolare, per i cosiddetti emigrati di ritorno vorrebbe riservare lavori forzati nelle miniere. Nell'Estremo Oriente russo, addirittura, una regione famosa per i Gulag in epoca sovietica. E questo perché, citiamo, hanno commesso «azioni spregievoli», hanno «gioito per colpi sparati verso il territorio della Russia» e, infine, «hanno auspicato la vittoria »del regime nazista e sanguinario di Kiev».

Posizioni, queste, che hanno spinto il Cremlino ad accodarsi a Volodin: Mosca »non è sulla stessa strada« di coloro che »hanno assunto una posizione marcatamente anti-russa e si sono schierati con il regime di Kiev«. Eppure, proprio in virtù dell'ammorbidimento di Putin, il portavoce Dmitry Peskov ha garantito che «queste persone hanno sempre, a prescindere da tutto, la loro patria. Questa patria è la Russia, che li aspetta sempre». Logico, in fondo. Il fatto che molti russi, ora, siano tornati può essere letto come una vittoria politica e rilanciare alla grande la narrazione dello stesso Putin: il tanto decantato Occidente non è affatto meglio della Federazione Russa.  

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