I dazi di Trump pesano sul PIL, ma gli esperti sono fiduciosi

Il dato sul Prodotto interno lordo svizzero nel terzo trimestre di quest’anno delude ma non preoccupa. Spieghiamoci meglio: nel periodo da luglio a settembre il PIL è diminuito dello 0,5%, secondo una prima stima della Segreteria di stato dell’economia (Seco), ma questo dato va preso con le pinze e in futuro dovrebbe tornare in territorio positivo.
Chiaramente il PIL ha risentito dell’introduzione dei dazi doganali statunitensi del 39% ad agosto e del rallentamento della congiuntura mondiale, ma il fatto che settimana scorsa sia stato raggiunto un accordo con gli Stati Uniti per abbassare i dazi al 15% lascia ben sperare per i prossimi trimestri.
Gli economisti consultati dall’agenzia AWP si aspettavano un’evoluzione compresa tra -0,3% e +0,2%. Nel secondo trimestre, era stata registrata una crescita dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, al netto degli effetti degli eventi sportivi, dopo una crescita dello 0,7% tra gennaio e marzo. L’andamento dell’industria è stato nel complesso negativo, derivante da una frenata nel settore chimico-farmaceutico, nota la Seco.
Come considerare questo dato? E cosa possiamo aspettarci in futuro? Lo abbiamo chiesto a GianLuigi Mandruzzato, economista senior di EFG. «Sembrerebbe - spiega - che il "colpevole" di questo calo del PIL siano proprio i dazi, visto che dal punto di vista settoriale è stata soprattutto l’industria ad essere debole, mentre i servizi, quindi la parte più domestica della domanda, sono cresciuti, anche se in maniera un po’ più blanda rispetto agli ultimi trimestri».
Produzione industriale
«Quello che sorprende - aggiunge - è che oggi l’Ufficio federale di statistica, e quindi non la SECO, ha pubblicato il dato sulla produzione industriale del terzo trimestre, la quale, benché in calo, lo è solo moderatamente, mentre la variazione annua è addirittura migliorata: da 2,1 a 2,4%. La variazione rispetto al trimestre precedente si può stimare nel -0,7%, che è un dato chiaramente debole, ma da solo non sufficiente a portare il PIL al -0,5%. Inoltre, le indagini PMI (Purchasing Manager Index) del settore manifatturiero durante l’estate hanno riportato un miglioramento rispetto al trimestre precedente».
«Tutto ciò suggerisce - sottolinea - che lo stato di salute dell’economia svizzera non sia poi così precario, e a maggior ragione grazie all’annuncio di settimana scorsa sull’accordo con gli USA sui dazi le prospettive per i prossimi trimestri sono migliorate».
«Dal canto nostro - aggiunge - ci aspettavamo un dato fiacco, attorno a 0 o a -0,1%, e quindi il dato ci ha stupito».
L’importatore paga i dazi
Ma a proposito dei dazi, non è stato chiarito chi li paga, o meglio, come vengono ripartiti. «C’è una distribuzione dell’onere del dazio - nota Mandruzzato - e comunque, la gran parte comunque la pagano gli americani, o meglio la paga il Paese importatore. Innanzitutto perché il dazio viene pagato fisicamente dall’azienda che importa, e anche perché a cascata l’azienda che commercializza il bene normalmente trasferisce una parte o tutto del maggiore costo ai consumatori finali, siano essi famiglie o aziende. E questo si traduce in un maggior costo delle merci nel Paese che importa».
«Tuttavia una parte, soprattutto in casi come questi, ossia quando ci sono dazi elevati imposti improvvisamente, viene anche assorbita dalle aziende esportatrici, che in questo modo cercano di difendere le loro quote di mercato nel Paese di esportazione, ossia, nel caso specifico, negli Stati Uniti».
«Ma non dobbiamo dimenticare - sottolinea - che il progetto di Trump è anche di incentivare lo spostamento della produzione negli Stati Uniti, e questo si rispecchia negli accordi con molti Paesi, fra cui la Svizzera, dove esistono clausole che prevedono investimenti negli USA per aumentare la produzione locale. Ciò significa, per esempio nel caso di una grande azienda farmaceutica svizzera, che se aumentasse la produzione negli USA a un livello tale che tutta la domanda americana venisse soddisfatta, non sarebbe più soggetta ai dazi, perché produrrebbe negli USA. Inoltre, ciò andrebbe ad aumentare il PIL americano poiché nella contabilità nazionale le importazioni entrano con il segno negativo nel calcolo del PIL».
«Secondo noi questa politica americana - afferma - potrebbe comunque avere degli effetti collaterali negativi, perché produrre negli Stati Uniti costa di più, visti gli alti salari, e questo farebbe sì che il prezzo finale del bene prodotto negli USA sia superiore a quello che in questo momento pagano i consumatori».
Crescita annua positiva
Quali previsioni si possono fare sul futuro dell’economia svizzera? «Notiamo che il dato sul PIL del terzo trimestre è in calo rispetto al trimestre precedente, ma rispetto a un anno è cresciuto di circa lo 0,9%. Quindi per i prossimi trimestri, visto l’accordo commerciale con gli USA della scorsa settimana, e il fatto che l’economia europea sta ritrovando un po’ di slancio, vi sono motivi per credere che l’economia svizzera tornerà a crescere. Infine, crediamo che nonostante il dato negativo sul PIL del terzo trimestre, la BNS probabilmente manterrà il tasso di riferimento elvetico invariato allo 0% nella sua prossima riunione di dicembre, e probabilmente continuerà a farlo per gran parte del 2026».
