Il Panzeta vuole tornare in Champions con Fabregas

«Ma non è che adesso ci piazzeranno un'altra pausa per le nazionali, eh!». Sempre caustico, il Conte Giuliani.
Odia le pause per le nazionali. O meglio, non riesce a stare senza Como. In particolare, non riesce a stare senza questo Como. Lui ha lo stesso cadreghino da sempre. Distinti, prima fila, centrale. Smadonna ogni volta che qualcuno gli passa davanti per trovare il proprio posto. Una volta, il Fusi gli ha chiesto perché non cambiasse poltroncina, visto il fastidio. E lui gli ha risposto che no, che fa parte dell'esperienza anche incazzarsi. Ma scusa, gli ha detto, se tu fossi perfettamente felice e non avessi nulla da rimproverarti o rimproverare a qualcuno, verresti allo stadio una domenica ogni due a vedere partite di Serie C? Il Fusi non osò dire più nulla. E riportata l'attenzione sulla partita di turno - Como-Pro Vercelli, risultato finale 1-2 -, iniziò a inveire lui stesso contro l'arbitro che aveva appena fischiato un rigore per gli ospiti.
Il fatto è che questo Como ruba gli occhi. E non vedi l'ora che torni in campo. E non vedi l'ora di essere lì, in tribuna, sugli spalti, in curva. «Ma vi siete accorti che non perdiamo dal 30 agosto?», chiede il Conte dal bancone del Bar Milton, dopo aver saldato un vecchio conto alla Robertina e aver ordinato una limonata («Che oggi ho mal di schiena» - «Ma la limonata di solito si prende se hai problemi di pancia», gli fa l'Antognoni di Olgiate - «Allora Robertina fanne una anche al mio amico fiorentino!»). In effetti il Como ha infilato, da allora, cinque vittorie (più una in Coppa Italia) e sei pareggi, subendo solo sei gol. Ha battuto la Juve e pareggiato con il Napoli. Ora, prima delle feste, giocherà a Milano con l'Inter e a Roma con i giallorossi. «A quel punto vedremo, ma prima di allora stiamo calmi», puntualizza il Fusi. Non se la sente proprio di lasciarsi andare.
«E se andassimo in Champions?», interviene il Panzeta, appena entrato nel Bar. «Io l'ho vissuta, la Champions, da vicino». È una storia che racconta spesso. Anno 1998. In Ucraina per lavoro, venne ingaggiato dalla Dinamo Kiev come team manager. Nessuno ha mai capito perché. Il fatto è che nessuno può (o vuole) smentirlo. Perché il Panzeta sa raccontare il falso come il vero. Quella Dinamo Kiev, in effetti, fu protagonista di una cavalcata pazzesca, con primo posto di girone (con l'Arsenal di mezzo), con vittoria sul Real Madrid ai quarti e sconfitta drammatica in semifinale contro il Bayern (che poi perse la finale in piena Zona Cesarini contro il Manchester United). Ci giocavano Sheva e Rebrov, e in panchina c'era Lobanovski. E il Panzeta era lì, a quanto pare, al fianco del rivoluzionario Valerij. «La Champions non è più quella roba lì, ma vale comunque la pena viverla», dice in tono melodrammatico.
Nessun altro, al Bar Milton, osa spingersi così in là, ma tutti sanno che il destino del Como è quello. Perché questo Como è qualcosa di speciale, e questo nessuno lo nega. L'Antognoni prova a gufare, ma in questo momento non è nella posizione per farlo. Azzarda goffo un «Occhio che a volare in alto, poi a cadere si fa casino, cioè chi cade dall'alto fa più rumore». «Lo vedi, nemmeno i luoghi comuni vi riescono bene, questa stagione. Figurati salvarvi...», gli risponde il Panzeta. Che continua, sornione: «Ma lasciaci sognare, o grullo, che di questi tempi è tutto così difficile. Qui c'è qualcosa di bello, che scalda il cuore. Lo vedi anche tu, quando vieni allo stadio. Non è uguale a niente quello che abbiamo qui sotto i nostri occhi. È una questione di ambiente. Lascio a voi le statistiche, i Big Data (sempre esagerato, nda), gli algoritmi (..., nda). Quelli semmai li avevo introdotti io ai tempi della Dinamo Kiev. Ma è già storia. Io qui vedo il cuore, e vedo soprattutto una testa. Nel calcio il cuore spesso si vede, perché sta dentro quei ragazzi che scendono in campo, ragazzotti sinceri, al di là del conto in banca. Ma la testa, quella è una rarità. Tante società procedono per inerzia, replicando dinamiche già viste e già vissute. Hanno paura del nuovo. E il nuovo non va certo ricercato nella retorica degli analisti. Ma nelle cose fatte bene, secondo il contesto storico e geografico. Il Como fa un calcio nuovo, non solo dentro lo stadio, ma soprattutto fuori. E noi siamo qui a raccoglierne i frutti. Ma vi rendete conto la fortuna?».
«Non ti sembra di esagerare un po'?», gli fa il Fusi, dopo essersi asciugato gli occhi e aver nascosto la commozione. «Esagerare? Dillo a Fabregas. Digli che esagera. E dillo a quei ragazzi. E a quegli uomini lassù in tribuna. La gente, fuori, si concentra sugli attori che vanno in visibilio per una rovesciata di Nico Paz. E fanno bene. Perché Como è Como e sarà Como solo se fuori continueranno a concentrarsi sugli attori e sui gesti più spettacolare. E Fabregas sul campo. È quello il segreto». «Non ti piacciono le rovesciate, adesso?», prova a stuzzicarlo ancora l'Antognoni. «Eccome. Ma chi pensa che Nico Paz e il Como sono quella rovesciata, non sa di calcio». Poi, all'improvviso: «Robertina, senti, mi fai una limonata per favore? Che oggi ho un mal di testa... Ah, e fanne un'altra anche per l'Antognoni, che non si sa mai».
Como me gusta la Serie A, dialetto edition, tredicesima giornata
A caval dunaa se varda minga in buca: Max Allegri
A lavurà la vita l'è düra, ma la pagnòta l'è sicüra: Nicolò Zaniolo (finalmente)
Al m'ha menaa a mesa senza vedè al prevat (mi ha preso in giro): Lautaro Martinez
Al ma fà gnè còlt gnè frech: Christopher Nkunku
Al ma fai vedè al sant e al miracul (mi ha mostrato come stanno le cose): Davide Nicola
A la sera légur, a la matina pégur: Moise Kean
Cantà e purtà la crus: Morten Thorsby
I uur de la mattina gh'ànn l'oor in buca: Kenan Yildiz
Galina vegia la fà bun broeu: Jamie Vardy
Se la mia nona la ghera i roeut a l'era un tram: Maurizio Sarri