In Svizzera il silenzio è legge non scritta (e talvolta scritta)

Il silenzio non è soltanto assenza di suono, ma un segno sociale che organizza la convivenza. È un codice condiviso che racconta molto della cultura del Paese e che si riflette nelle pratiche quotidiane: lo si percepisce nelle biblioteche e nei musei, nei compartimenti ferroviari, ma anche nei regolamenti condominiali e nelle leggi comunali. La tranquillità è considerata parte integrante dell’ordine sociale, quasi un dovere civico.
Un valore culturale radicato
Il rispetto della calma pubblica ha radici profonde. In un articolo apparso su Medium si sottolinea come la cultura svizzera attribuisca grande importanza alla discrezione e al rispetto dello spazio altrui, elementi che si traducono in spazi pubblici quieti e in normative severe contro il rumore.
Questa attenzione è ben visibile nella vita quotidiana: la domenica, ad esempio, in gran parte dei comuni elvetici è vietato tagliare l’erba, fare bricolage o svolgere attività rumorose. Anche la fascia oraria della pausa pranzo (spesso tra le 12 e le 13) è protetta da regole che limitano l’uso di elettrodomestici o lavori fastidiosi. Le cosiddette «quiet hours» serali, di solito dalle 22 alle 6, sono considerate inviolabili: chi viola queste regole rischia richiami formali o addirittura sanzioni.
Un approfondimento di Comparis ricorda che i conflitti condominiali più frequenti in Svizzera riguardano proprio il rumore, con regole che arrivano a vietare anche l’uso della lavatrice, o della doccia, in certi orari.
La tranquillità regolata: i treni SBB
Un esempio emblematico di questa attenzione è quello delle «quiet zone» sui treni delle Ferrovie federali svizzere. In queste carrozze sono bandite telefonate, conversazioni ad alta voce, musica o video senza cuffie. Il cartello con la scritta «zona silenzio» non è un semplice avviso: è un segno normativo che trasforma il vagone in uno spazio sociale regolato dal codice della tregua acustica.
L’esperienza, però, mostra che non sempre la regola viene rispettata. In discussioni su forum come Reddit molti viaggiatori lamentano che le «quiet zone» vengano ignorate e che il personale ferroviario non intervenga sempre. È un esempio interessante: la quiete non è un fatto naturale, ma un patto sociale che richiede applicazione e continui aggiustamenti.
Max Picard: dare voce al silenzio
A dare una riflessione più profonda sul tema fu Max Picard, filosofo e scrittore tedesco naturalizzato svizzero, che visse a lungo in Ticino. Nel suo libro «Il mondo del silenzio» (1948) descrisse la quiete come una forza originaria, quasi primordiale: «Tutto il frastuono di oggi sembra solo un mormorio d’insetti ronzanti intorno all’immane dorso di quell’animale preistorico, il silenzio». Per Picard, la calma non è mancanza ma presenza: uno spazio che permette alla parola e al pensiero di emergere. La sua visione dialoga bene con la realtà svizzera, dove la quiete non è soltanto un atteggiamento individuale, ma un principio collettivo che plasma i comportamenti quotidiani.
Se l’assenza di rumore è presenza e non vuoto, allora può essere letta come un segno, capace di assumere significati diversi. Può essere costantemente «riempita» in base al contesto, all’obiettivo comunicativo, alla risposta che suscita. La tranquillità non è mai neutrale. In biblioteca, la riservatezza sonora dice «qui si studia»; in treno segnala «qui si viaggia senza disturbo»; in un’assemblea politica, un momento di silenzio può trasformarsi in segno di dissenso o, al contrario, di rispetto.
In Svizzera questo valore è anche codificato: oltre alle regole condominiali, numerosi cantoni prevedono leggi comunali precise contro l’inquinamento acustico. Le autorità locali hanno potere di sanzionare chi non rispetta le quiet hours, mentre il dibattito pubblico si accende periodicamente su temi come il rumore degli aerei o delle autostrade.
Il rispetto della quiete è dunque parte integrante della convivenza elvetica. Non è solo l’opposto del rumore, ma qualcosa che contribuisce a costruire e strutturare lo spazio pubblico, che regola i comportamenti e riflette un’idea condivisa di rispetto reciproco. Non un vuoto, ma un linguaggio.
