Il convegno

Islam e laicità, un binomio difficile

Il teologo Wasim Salman a Lugano per spiegare la genesi del pensiero fondamentalista
© EPA / Mohamed Hossam
Dario Campione
30.10.2023 23:30

Islam e democrazia sono compatibili tra loro? E anche alla luce di ciò che sta accadendo in Medioriente, è utile parlare di questo argomento o si rischia soltanto di perdere tempo? Le domande, chiare dirette e precise, sono state il punto di partenza di una conferenza-dibattito organizzata questo pomeriggio a Lugano, alla Facoltà di Teologia, nell’àmbito delle attività di formazione della scuola dottorale (PhD) in Scienze religiose.

«A luglio, quando abbiamo organizzato questo incontro, sapevamo che il tema sarebbe stato d’attualità, certo nessuno di noi poteva prevederne la tragica contingenza» ha detto, nella sua breve introduzione, Markus Krienke, ordinario di Filosofia Moderna e di Etica Sociale nella stessa Facoltà di Teologia. In pochi minuti, con alcune citazioni mirate, Krienke ha fatto capire come il rapporto religione-politica non sia un problema unicamente per l’islam. Anche la Chiesa cattolica ha impiegato molti secoli per arrivare ad affermare il concetto di libertà religiosa - lo ha fatto, non senza contrasti, nel Concilio Vaticano II - e soltanto nel ’900 la corrente del cattolicesimo liberale ha ancorato la fede alla coscienza individuale, permettendo ai credenti di occuparsi di politica senza dover anteporre gli interessi della comunità religiosa di appartenzenza a quelli dello Stato.

«Oggi l’atteggiamento nei confronti della libertà religiosa è un banco di prova per riconoscere la democrazia», ha poi concluso Krienke, introducendo il discorso del secondo relatore, Wasim Salman, docente di Pensiero arabo islamico contemporaneo all’Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (PISAI) e docente invitato alla Pontificia Università Urbaniana di Roma.

Siriano di religione cattolica, 47 anni, Salman ha pubblicato di recente per l’editore parigino L’Harmattan un libro interamente dedicato al tema: Le califat et la laïcité. Perspectives syriennes. «Purtroppo, abbiamo la tendenza a confondere islam e islamismo - ha detto subito Salman - ovvero la religione con la declinazione politica fondamentalista». Questo porta a considerare impossibile la transizione democratica delle società musulmane. Un pre-giudizio, che lo studioso di Damasco ha smontato citando «tre grandi pensatori arabi che, con le loro opere, hanno dimostrato come non sia ineluttabile, per gli islamici, il destino del califfato». Tre filosofi molto diversi tra loro, per storia e formazione, ma il cui «impatto sul pensiero politico dell’islam è stato grande: Georges Tarabichi,  Muhammed Shahrour, Aziz al Azmeh». Quest’ultimo, tra l’altro, autore di uno dei testi chiave per affrontare il rapporto tra culture e religioni, Islams and Modernities (Verso Books, 1996). «L’idea di al Azmeh è chiara - ha spiegato Salman - non esiste una forma islamica pura originaria, così come non esiste l’islam politico primitivo. Siamo di fronte, piuttosto, a una cultura che si è sviluppata storicamente in dialogo con le altre civiltà», e nella quale il radicalismo è stato creato soprattutto per fermare i movimenti nazionalisti di ispirazione socialista. I Nasser, per intendersi, i Ben Bella, i Bourghiba e lo stesso Gheddafi. «Non so quanto sia accettabiledire che gli arabi non sono preparati alla democrazia - ha concluso Salman - i più grandi studiosi di Aristotele fino al XII secolo sono stati arabi e La Città virtuosa è stata scritta da al-Fārābī prima dell’anno mille».

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