Il personaggio

Kanye West e l’assenza di autocontrollo

Dalla t-shirt «White Lives Matter» alla rottura con Adidas, il rapper non è nuovo a simili comportamenti: c’è chi si chiede perché
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Marcello Pelizzari
08.10.2022 20:01

Per tutti, o quasi, ora è semplicemente Ye. Tuttavia, parafrasando Shakespeare, ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome avrebbe il suo profumo. Nel caso di Kanye West, Ye appunto, è il profumo della polemica. Rapper, predicatore, aizzatore di folle, a tratti perfino uomo politico. Che cosa sia diventato, oggi, questo ragazzone nato ad Atlanta ma cresciuto in Illinois, 45 anni, nessuno può dirlo con certezza. Appare però chiaro che, pensando alla t-shirt «White Lives Matter» e alla disputa con Adidas, siamo di fronte a una mancanza (voluta?) di autocontrollo.

C’è stato un tempo, diciamo attorno a College Dropout, album del 2004, in cui Kanye era e veniva considerato un artista conscious, nel senso di consapevole. Consapevole della realtà americana, delle lotte delle minoranze, dei problemi. In una canzone, in particolare, criticava il tentativo, da parte di alcuni membri della comunità afroamericana, di puntare alla cosiddetta bianchezza. A vivere, consumare e ragionare come i bianchi, insomma. Citiamo un verso: «Anche se sei in una Benz / Sei sempre un n***o in una coupé».

La parabola

L’impressione, a distanza di anni, è che West abbia predetto la sua parabola di vita, tanto artistica quanto, soprattutto, umana. Perché lui, quella bianchezza, al netto della t-shirt sbandierata a Parigi l’ha cercata più volte in questi ultimi tempi.

West, nello specifico, ha flirtato con la moda e l’alta moda. Si è seduto nei salotti, bianchi, delle metropoli del lusso. Ce l’ha fatta, direbbe qualcuno, con la solita vena retorica. Tanto da potersi permettere, durante una sfilata a sorpresa della sua linea Yeezy, marchio in collaborazione con Adidas, di indossare la citata maglietta con lo slogan «White Lives Matter» assieme a Candace Owens, influencer e conservatrice, forse ultraconservatrice, pure lei amante delle provocazioni. Il putiferio, va da sé, si è scatenato quando lo stesso West, su Instagram, ha criticato il vero movimento, Black Lives Matter, definendolo una truffa. Apriti cielo.

Perché?

Detto della mossa, che ha fatto e fa discutere, c’è chi si è domandato, anche a giusta ragione: dov’è il valore aggiunto in tutto ciò? Che cosa vuole dimostrare West? Perché puntare con una simile sfacciataggine sull’assenza di autocontrollo?

West, d’altronde, non è nuovo a bravate di questo tipo. Al contrario, ne ha fatte di ogni: dal sostegno a Donald Trump, con tanto di cappellino MAGA («Make America Great Again») alla dichiarazione decisamente poco politically correct «la schiavitù è stata una scelta». Per tacere del suo rapporto, tormentato, con l’oramai ex Kim Kardashian. A questo giro, anche Adidas si è stufata di lui. Sembrerebbe che, comunque, la sua espansione nella moda non sia minacciata. Ma un certo fastidio resta. Le sue tattiche comunicative apparentemente sconclusionate e irriverenti, è vero, tengono alta, anzi altissima l’attenzione sul personaggio. Eppure, qualcosa potrebbe sfuggirgli di mano. E non parliamo solo di contrarti e partnership.