Confine

La tassa sulla salute dei frontalieri arriva a Berna: una violazione dell'accordo fiscale?

L’associazione delle industrie ticinesi (AITI) chiede al Consiglio federale di valutare se il contributo sanitario varato dall'Italia sia in conflitto con le disposizioni del nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri - Secondo UNIA e OCST la norma è deleteria e va stralciata
©Gabriele Putzu
Francesco Pellegrinelli
16.01.2024 06:00

Una lettera inviata al Capo del Dipartimento federale delle finanze, Karin Keller Sutter, e al Capo del Dipartimento federale degli Affari esteri, Ignazio Cassis, per chiedere chiarimenti sulla cosiddetta «tassa sulla salute» a carico dei «vecchi» frontalieri italiani.

«In effetti abbiamo scritto a Berna chiedendo di verificare se il contributo di compartecipazione alla spesa sanitaria italiana sia in conflitto o meno con la disposizione del nuovo accordo fra Svizzera e Italia sulla fiscalità dei lavoratori frontalieri», conferma al CdT il direttore di AITI, Stefano Modenini.

La richiesta segue di qualche giorno quella analoga fatta a Roma dalle organizzazioni sindacali italiane, CGIL, CISL e UIL, fermamente contrarie anch’esse al provvedimento introdotto dal Parlamento italiano con la legge di bilancio 2024. Un provvedimento «verosimilmente illegittimo», tenuto conto che il testo «introdurrebbe un meccanismo di doppia imposizione a fronte di un accordo, quello fiscale, che lo vieta espressamente».

Chiarimenti in questo senso vengono chiesti anche da AITI. «Riteniamo che si tratti di una vera e propria imposta e che, come tale, non possa essere introdotta in Italia, visto che il regime fiscale è definito nel nuovo accordo sui lavoratori frontalieri». 

AITI non esita a esprimere la propria preoccupazione per questo nuovo e presunto balzello a carico dei collaboratori. «Questa imposta - afferma ancora Modenini - potrebbe generare conseguenze negative dal punto di vista della competitività delle aziende, tenuto conto che quest’ultime faticano sempre più a trovare manodopera qualificata, complice anche l’evoluzione demografica negativa». Nel caso in cui il Consiglio federale dovesse appurare una violazione dell’accordo fiscale, AITI chiede quindi in che modo la Confederazione intenda agire.

«Unilaterale e iniqua»

Come detto, negli scorsi giorni anche i sindacati italiani, con il sostegno di UNIA e OCST, hanno preso posizione chiedendo a Roma lo stralcio della legge. «La norma votata in Parlamento è del tutto deleteria e quindi la attacchiamo», commenta al CdT Andrea Puglia, responsabile frontalieri di OCST. «Da una parte comprendiamo la necessità di regolare il tema dei «vecchi» frontalieri. È vero che questi continueranno a pagare le tasse solamente in Svizzera; è quindi corretto capire in che modo possano contribuire al finanziamento del sistema sanitario italiano; ma la legge, ripeto, è deleteria. In primo luogo, perché è contraria all’accordo che la stessa Italia ha siglato con la Svizzera sulla tassazione dei frontalieri». L’accordo prevede infatti che il «vecchio» frontaliere sia tassato solo in Svizzera. «Se si voleva introdurre un contributo del genere, andava inserito a tempo debito nell’accordo». In secondo luogo, chiosa Puglia, «la norma è stata fatta senza coinvolgere le parti sociali e introduce importi spropositati». La sanità in Italia è infatti alimentata (soprattutto) dalle cosiddette «addizionali regionali», una delle componenti delle tasse italiane; addizionali che però non si avvicinano alle cifre che verrebbero richieste ai «vecchi» frontalieri.

Cento milioni di ristorni

Che fare, dunque? «Dalla Svizzera si può fare poco», ammette Puglia. «Ci siamo mossi sul fronte italiano incontrando i parlamentari di confine per convincerli a boicottare la legge, ma la maggioranza l’ha votata. Gli importi sono stati rivisti al ribasso, ma restano comunque alti». A ogni modo, secondo Puglia, l’errore è stato commesso a monte: «Crediamo che la tassa sia contraria alla Costituzione italiana e pertanto abbiamo chiesto di verificarne la costituzionalità».

Una richiesta sostenuta anche dal sindacato UNIA. «In questa vicenda è passato un messaggio estremamente grave e sbagliato, ossia che i frontalieri non partecipino già al finanziamento delle infrastrutture dei loro luoghi di domicilio», commenta dal canto suo il segretario regionale Giangiorgio Gargantini. «Basterebbe ricordare gli oltre 100 milioni di franchi ristornati lo scorso anno». Di fondo, comunque, rimane la crassa violazione di un accordo internazionale, quello fiscale, da poco firmato tra i due Paesi. «Come UNIA abbiamo contattato gli Uffici dell’Amministrazione federale per chiedere quale fosse la posizione della Confederazione in merito alla nuova tassa». Una risposta arriverà verosimilmente con l’entrata in vigore effettiva della nuova legge. Un punto, però, Gargantini tiene a precisare: «Portiamo avanti questa battaglia perché è giusto difendere i diritti dei lavoratori attivi sul territorio, ma è chiaro che un’eventuale carenza di profili specializzati la si combatte con una corretta retribuzione».

Oltre 6 mila firme - Ha raccolto oltre seimila firme in pochi giorni la petizione online su change.org, lanciata il 5 gennaio scorso, contro la nuova tassa sulla sanità che graverà sui frontalieri. «Si tratta di un prelievo forzato che colpisce solo una parte di cittadini, quelli che vivono e lavorano nelle zone di frontiera», si legge sul testo. «I frontalieri pagano già la sanità con le trattenute d’imposta alla fonte e i relativi ristorni che vanno ai Comuni di frontiera». Secondo i promotori della petizione, inoltre, l’idea di aumentare gli stipendi ai medici nelle aree di confine non risolverà il problema della carenza di personale in queste zone, «ma renderà semplicemente più attrattivo il lavoro in queste strutture a discapito delle strutture più distanti dal confine».
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