L’alcol non è l’unica variabile, ma è comunque la più pericolosa
Un litigio lungo due ore. «Ti ammazzo». «Ti apro in due». E poi l’accoltellamento. È successo a Mendrisio nel 2023, e nelle scorse settimane è arrivato il verdetto. Lei ha agito sotto l’influsso di droga, lui - la vittima - aveva un tasso alcolemico di oltre il 3 per mille. È un caso - certo, tra i più drammatici - tra i tanti, purtroppo.
Il problema nel problema è che, dell’influenza dell’alcol e delle sostanze stupefacenti sui comportamenti violenti, non se ne parla quanto si dovrebbe. In Ticino non c’è neppure un’indicizzazione in questo senso. Sul piano nazionale, invece, non mancano i dati. E sono preoccupanti. L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), nella sua scheda informativa, datata 2014, ne parlava chiaramente: «Studi nazionali e internazionali dimostrano l’esistenza di una forte correlazione tra abuso di alcol e violenza. Le persone con un consumo problematico di alcol presentano un rischio sensibilmente maggiore di commettere reati di violenza. Il rischio di essere coinvolti in qualità di vittima o di autore in un atto di violenza aumenta con il consumo di alcol». L’abuso di alcol non può essere considerato quale unica variabile per spiegare gli atti di violenza, ma è una componente ricorrente.
Un ruolo scatenante
Rimanendo allo studio in questione, venivano riportate alcune percentuali. Quelle più elevate riguardavano: disturbo della quiete pubblica (78% dei casi risultavano legati all’alcol), litigi (74%), lesioni personali (73%), vie di fatto (70%). «Un’analisi secondaria dei dati raccolti in diversi sondaggi indica che l’alcol svolge un ruolo importante in circa un terzo di tutti i reati di violenza». E poi di più: in un quarto delle coppie con problemi di violenza domestica, «comportamento violento e consumo di alcol sono concomitanti». Il tema è ben analizzato e riassunto nel quaderno tematico redatto dallo stesso UFSP, «Alcol e violenza domestica in Svizzera». Qui viene citato uno studio nazionale del 2013, secondo cui «circa il 50% dei partner o degli ex partner violenti presenta un consumo problematico di alcol. In un caso su quattro, l’autore del reato lo ha commesso sotto l’influsso dell’alcol». Secondo l’OMS, fra tutte le sostanze psicotrope, l’alcol è quella il cui consumo è correlato più strettamente al comportamento aggressivo. E spesso viene consumato con altre sostanze. Nel 26 per cento dei reati sessuali commessi in Svizzera, l’alcol gioca un suo preciso ruolo scatenante. E lo stesso, ma con percentuali decisamente più alte, vale per gli atti che coinvolgono gruppi. Agenti di polizia asseriscono infatti che l’alcol svolge un ruolo importante negli atti di violenza soprattutto in occasione di feste in bar o pub (85%), di manifestazioni sportive (76%) e di eventi speciali in giornate festive (74%). Manca il dato sugli omicidi: ebbene, «al momento dei fatti, il 31% degli indiziati è sotto l’influsso dell’alcol o di altre sostanze psicotrope», come sottolinea l’Ufficio federale di statistica.
La violenza domestica
Tornando ai dati relativi alla violenza domestica, abbiamo interpellato Marina Lang, psicologa della Polizia cantonale e responsabile del Centro competenza violenza. Sì, perché riprendendo il quaderno tematico dedicato dall’UFSP al tema, «tenendo presente che circa il 25 % degli indiziati arrestati dalla polizia era sotto l’influsso dell’alcol al momento del fatto, nel 2022 sono stati all’incirca 5.000 i reati violenti commessi in ambito domestico sotto l’influsso dell’alcol». Già, non fosse però per il fatto che, come evidenziato da vari studi internazionali, gli esperti presumono che un reato violento su due in ambito domestico avvenga sotto l’influsso dell’alcol. Il numero di episodi sarebbe quindi di molto maggiore rispetto a quei 5.000 registrati dalle statistiche. Il fenomeno, in qualche modo, sfugge ai numeri, va oltre i dati nudi e crudi. E ci chiama in causa. Chiama in causa la responsabilità individuale. Marina Lang: «Sì, è un aspetto centrale, quello della responsabilità individuale. Questa è la chiave. L’alcol è d’altronde tanto diffuso che non riusciamo a leggerne tutte le dimensioni. Ma è qui che dobbiamo interrogarci e intervenire». La psicologa spiega come, in molti casi, le persone autrici di violenza, una volta messe a confronto con gli effetti dell’alcol sulla loro personalità, quasi si stupiscano, faticando a riconoscersi. Lang parla di «barlumi di consapevolezza», che sono poi gli indispensabili grimaldelli verso un percorso di presa a carico.
Manca un freno agli impulsi
In merito alla presa in carico, be’, ci arriveremo. Marina Lang intanto ci spiega come la correlazione, tra alcol e violenza domestica, sia presente. «La vediamo sul terreno», dice. E ci parla di due motivazioni, una diretta e una indiretta. La prima è che «l’alcol altera la nostra soglia di controllo degli impulsi, riduce le facoltà cognitive di inibizione, e nel soggetto vengono meno quelle capacità di dialogo e di tolleranza». Viene a mancare un freno agli impulsi. Ed ecco affiorare la violenza, l’impossibilità di considerare, di valutare, la forza adoperata. Ma c’è anche una dimensione indiretta, si diceva, nell’ambito della violenza domestica. «Sappiamo che là dove c’è il consumo regolare di alcol, c’è anche un’aumentata conflittualità della coppia». E il consumo spesso è condiviso da autore della violenza e vittima. Proprio come nel caso da cui siamo partiti. «L’alcol a volte diventa una sorta di automedicazione in chi vive condizioni di sofferenza generate dalla violenza».
I passi da giganti
La polizia come può intervenire in maniera preventiva, o comunque in fase di presa a carico? Marina Lang sottolinea i «passi da gigante compiuti nell’ambito della gestione della minaccia, con tutta una serie di strumenti di valutazione a disposizione degli agenti e degli psicologi». Nell’esperienza accumulata sui casi registrati e riportati in letteratura, emergono fattori statici e fattori dinamici. «I fattori statici consistono nella storia del soggetto, quindi i precedenti di violenza, e nei tratti della sua personalità». L’allarme più acuto scatta quando tra i precedenti emergono in particolare prese al collo e violenza su donne incinte, e quando tra i tratti figurano il controllo e l’impulsività. E i fattori dinamici: «Che cosa succede oggi nella vita di questa persona? Consuma alcol? È in possesso di armi da fuoco? C’è una separazione in atto?». I fattori più pericolosi, in questo caso, sono proprio alcol e separazione in atto. Sulla base della combinazione dei vari fattori, la polizia - a cominciare dal singolo agente che interviene per primo sul posto - si attiva.
Strumenti più raffinati
«Sono stati fatti grossi passi avanti, gli strumenti in nostro possesso si sono raffinati e gli agenti sono maggiormente formati in questi contesti nell’individuare precocemente i fattori di rischio», tra cui l’alcol. Il Centro competenza violenza valuta i fattori di rischio e trasmette i casi considerati ad alto rischio al Gruppo di prevenzione e negoziazione, il quale a sua volta segue e orienta i soggetti verso la rete di attori sul territorio che si occuperà della presa a carico. L’approccio da parte degli agenti, fino a qualche anno fa, era più generico, ma poi si è capito, sottolinea ancora Lang, che «la chiave per gestire la violenza consiste proprio nel capire su cosa poggia». L’alcol, un disagio sociale o familiare, un disturbo psichico. Le variabili, come detto, sono molte, e spesso - ma non sempre - correlate. Poi non sempre la correlazione tra consumo di alcol e violenza può essere data per scontata. Come ricorda lo stesso UFSP, «non tutte le persone che abusano di alcol diventano anche violente». L’origine della violenza - è un’osservazione, soltanto all’apparenza banale, dell’OMS - è complessa, molti i fattori di influenza.
Gli operatori di prossimità
Fin qui parliamo di quei casi identificati dalle autorità. Ma c’è anche un mondo sommerso. Marina Lang ci ricorda la figura dell’iceberg, «di cui vediamo solo la vetta, la parte emersa. Sappiamo che all’attenzione della polizia giunge solo il 20-30% dei casi di violenza domestica. Il nostro obiettivo è raggiungere la cifra sommersa». È uno degli obiettivi pure di Ingrado, naturalmente. Marcello Cartolano, vicedirettore del centro di competenza, infatti spiega che Ingrado ha diversi strumenti, sul campo, anche al di là dei concetti di informazione e prevenzione, per riconoscere la marginalità, la precarietà, di alcune situazioni, «in cui c’è chi annega nell’alcol il proprio male di vivere». E cita «gli operatori di prossimità e i consulenti, quelle figure che operano nei luoghi di aggregazione e di consumo, che intercettano eventuali casi e li orientano verso i servizi come Ingrado, li rendono attenti su atteggiamenti a rischio. Fanno insomma un lavoro di riduzione del danno».
Percorso molto complesso
Anche in termini di comportamenti aggressivi e violenti. Cartolano conferma la correlazione (non scontata, va detto e ripetuto) tra alcol e rischio di violenze, «data da tutta una serie di studi e riconosciuta anche dalla popolazione». Ma quando si può parlare di un consumo pericoloso di alcol? «Parliamo di consumo problematico quando il consumo mette in pericolo la salute, ma anche quando causa, nei confronti di sé stessi o di terzi, altre problematiche, appunto come le violenze. Il consumo problematico può essere quello regolare, quindi su alti quantitativi e alte frequenze, una vera e propria malattia, ma può anche essere quello episodico, ma eccessivo e inadeguato alle situazioni». Associazioni e istituzioni come Ingrado si occupano di gestire questi casi, quando vengono alla luce. «Ma è importante dire e ripetere che, quando si diventa alcolisti, quando non si riesce più a vivere senza bere alcol, il percorso di accompagnamento verso la cura non sempre si conclude con un successo. Se ci si mette molto a raggiungere lo stato di dipendenza, una volta che si sviluppa la malattia da alcol il percorso per uscirne è ancora più lungo, e molto complesso. L’alcol è una delle dipendenze più nefaste da curare», sottolinea ancora Cartolano.
Il trattamento terapeutico
Insomma, la questione alcolica è molto complessa. E non è certo una novità. Ma anche rivolgersi a servizi come Ingrado non è scontato. Anzi. «È uno dei passi che sono parte di un cammino verso la consapevolezza, un cammino molto lungo», riconosce Marcello Cartolano. «È infatti più frequente che si rivolgano a noi persone vicine a chi ha problemi di alcol, i cosiddetti codipendenti. E capita che le problematiche che ci vengono presentate siano già inoltrate, a un livello importante insomma». E il percorso di presa a carico, di cura, ha proprio, quale obiettivo, di portare le persone verso la consapevolezza, «affinché valutino eventuali situazioni che stanno compromettendo la loro salute fisica o le loro relazioni. Al di là della violenza, spesso sono già in atto problematiche diverse interne alla coppia, in famiglia, ma anche sul lavoro». Il trattamento terapeutico ha «un approccio bio-psico-sociale, che permette una lettura complessiva del problema alcol e di come amplifica caratteristiche personologiche già presenti». Non è la prima volta che, parlando con Marina Lang e con Marcello Cartolano, arriviamo a citare la «consapevolezza».
Questione totalizzante
Sembra questa la chiave, oltre che l’obiettivo. Ma rimaniamo convinti che, in termini anche preventivi, se si parla spesso dell’alcol come pericoloso per la salute, forse non si ragiona abbastanza sui rischi che l’assunzione di alcol provoca nei confronti dei codipendenti. Cartolano sottolinea allora il Programma di azione cantonale, il quale vuole proprio mettere l’accento sui comportamenti virtuosi, in modo da «rendere consapevole la popolazione su quelli che sono le responsabilità individuali e i possibili rischi, anche al di là della salute». Anche perché, come sottolinea il vicedirettore di Ingrado, «non esiste un consumo di alcol a basso rischio. E poi la questione alcol è totalizzante, ha connotazioni culturali, sociali, antropologiche. C’è tutta una cultura legata al consumo di alcol che rende delicato il trattamento del tema. Ma di fronte a una disfunzionalità, dobbiamo lavorare con le persone affinché siano consapevoli che comunque l’alcol non ha risposte, dobbiamo trattare il problema considerando le singole persone, con le rispettive storie, e i rischi. L’OMS ha decretato che non esiste un basso rischio nel consumo di alcolici. Poi ognuno è libero di decidere quali rischi assumersi, ma è giusto informare che la libertà di consumare alcolici può innescare atteggiamenti diversi in individui diversi, compresa la violenza».
Il policonsumo
La dipendenza da alcol, oggi, non è così diversa da quello che era ieri. Ma ci sono alcuni elementi tutto sommato nuovi, generati dalla società moderna, come ci conferma ancora Cartolano. «Quello che è cambiato, oggi, è che si è inserito l’innesto di altre tipologie di consumo addizionate a quella di alcol. Basti citare l’aumento di abusi di farmaci non prescritti. Un aumento che corrisponde, di conseguenza, anche a una più elevata complessità di gestione. E poi, anche a causa della pandemia e di tutto ciò che ne è seguito, in termini di salute mentale, c’è questa illusione di dover avere sempre risposte immediate a qualsiasi richiesta». Insomma, è aumentata la complessità anche nel trattare queste situazioni. «Sì, una volta avevamo trattamenti focalizzati, oggi si parla di policonsumo, dove l’alcol è una sorta di brodo, quasi sempre presente». La complessità nel trattare queste situazioni si traduce anche nella complessità nel trattare i comportamenti che ne conseguono, quindi pure la violenza, specie se sommersa».