L'intervista

«Le persone si abituano a tutto, purtroppo anche a questa guerra»

Katerina Gordeeva è giornalista, scrittrice e documentarista russa - Sarà lei a inaugurare con Nello Scavo, venerdì sera, la nuova edizione di Chiassoletteraria
© AP/Evgeniy Maloletka
Paolo Galli
06.05.2025 06:00

Katerina Gordeeva ha lasciato Mosca e la Russia dopo l’annessione della Crimea. Ha capito che quello non era più il suo posto nel mondo. Ora vive a Riga, ma ha continuato a fare il suo lavoro, la giornalista. Ha creato un canale YouTube, oggi seguitissimo, e ha scritto il bellissimo e doloroso libro «Oltre la soglia del dolore», nel quale raccoglie 24 diverse voci, russe e ucraine, sulla guerra in corso. Sarà presto ospite del festival Chiassoletteraria. Noi abbiamo già avuto modo di intervistarla.

Signora Gordeeva, quanto le manca la Russia?
«Forse mi manca la Russia che un tempo immaginavo per me, o quella in cui sognavo di vivere. Ma per quanto riguarda la Russia nel suo complesso, no, non mi manca. Sono stata lì un paio di settimane fa per lavoro. I miei genitori vivono lì, i miei amici vivono lì. Il Paese esiste. Non è che l’abbia perso o che lo desideri. Ho preso delle decisioni per me stessa undici anni fa e non credo di pentirmene. È difficile, certo, ma la Russia che sognavo semplicemente non esiste più, per ragioni molto reali e oggettive. E molto probabilmente non incontrerò mai più quella Russia».

Noi non possiamo immaginare che cosa voglia dire decidere di lasciare il proprio Paese per difendere la propria integrità e la propria libertà. Da fuori, evidentemente, seguendo la sua riflessione, lei stessa non riconosce più la sua Russia?

«Nessuno mi ha costretta a lasciare il Paese. È stata una decisione consapevole che ho preso nel 2014, quando la Russia ha invaso l’Ucraina e annesso la Crimea - e la società ha reagito a malapena. Non c’è stata una vera indignazione, né uno shock. Mi è apparso chiaro che una volta che viene accettato un male, inevitabilmente se ne produce uno più grande. Inoltre, sono nata e cresciuta nella Russia meridionale, proprio al confine con l’Ucraina. Nel 2014, i carri armati diretti a Donetsk sono passati proprio attraverso la mia città natale, li ho visti con i miei occhi. Mi ha enormemente impressionato il fatto che nessuno abbia cercato di fermarli, che nessuno abbia nemmeno protestato. Allo stesso modo, ho lasciato la televisione di Stato russa nel 2012, perché era già evidente che l’interferenza del Governo nella libertà di stampa aveva raggiunto un punto critico, e le cose sarebbero solo peggiorate. In seguito, lo Stato mi ha designata come “agente straniero”, ma non è stata una sorpresa. Anche il mio bisnonno, che fu giustiziato nel 1937, fu etichettato per la prima volta come “agente straniero”. Ho letto il suo fascicolo. Gli Stati sovietici e russi hanno sempre trattato i dissidenti allo stesso modo: cercando di sbarazzarsi di loro, in un modo o nell’altro. A volte in modo più brutale, a volte meno. E se la vostra storia familiare è profondamente legata alla Russia, dovete essere pronti a questo».

Vladimir Putin è russo. Noi lo vediamo come un alieno. Eppure è russo, è espressione del suo Paese. Può aiutarci a capire in che modo rappresenta la Russia?
«Sì, Vladimir Putin è un russo, un presidente russo. E l’idea che abbia in qualche modo “rubato” la sua vittoria, be’ credo sia più un’illusione che una realtà. Forse non il 90% dei russi ha votato per lui, ma sicuramente il 75-80%. Quanto Putin rappresenta la Russia? La rappresenta nella misura in cui ricopre la più alta carica statale. Certo, ci sono piccoli gruppi di persone che non sono d’accordo con lui. Ma non è assolutamente vero che da una parte c’è Putin e dall’altra una Russia completamente diversa che sogna un altro presidente o un altro Governo. Forse molte persone avrebbero voluto un destino diverso, ma non hanno mai visto questa alternativa. La Russia non ha praticamente mai avuto questa possibilità. L’idea del comfort materiale - avere cibo, avere stabilità - ha prevalso sull’idea della libertà di parola, della libertà di volontà, della libertà di azione. Non mi piacciono le generalizzazioni, ma se vogliamo parlare di una persona che possa essere considerata rappresentativa della Russia di oggi, allora anni di repressione, anni di carestia, anni di punizioni costanti per qualsiasi dissenso hanno plasmato una società in cui le persone si sentono più a loro agio a tenere per sé le proprie opinioni, o addirittura a non averne affatto. Vivere una vita media e stabile, senza assumersi la responsabilità di nulla: questo è l’ideale in Russia. Chi ha un appartamento, un reddito fisso e non deve rispondere di nulla, è visto come uno che vive una situazione perfetta».

In questi tre anni di guerra abbiamo scritto tantissime pagine, fatto tante interviste, letto tanto. Ma forse una cosa ancora ci sfugge, ed è paradossale: che cos’è davvero questa guerra per i popoli di Russia e Ucraina?
«Per i russi e per gli ucraini questa guerra riguarda cose molto diverse. Gli ucraini difendono il loro Paese, la loro patria, il loro diritto alla libertà, il loro diritto a vivere nella loro terra. I russi - almeno la maggior parte di quelli che ho incontrato, con cui ho parlato personalmente - stanno adempiendo a un dovere molto strano, quasi feudale, nei confronti dello Stato, uno Stato che, in molti casi, li sta costringendo a questa guerra. Certo, ci sono volontari, attivisti e patrioti di grido, ma se parliamo della maggioranza dei russi - visto che lei ha chiesto del popolo, non solo di singoli individui - questa è la realtà. È molto difficile per me parlare a nome del popolo ucraino, e credo che qualcuno dall’Ucraina dovrebbe rispondere in modo più esauriente a questa parte. Ma per quanto riguarda la Russia, non ho incontrato persone che provano sinceramente odio o un desiderio ardente di impadronirsi di una terra o di occupare un altro Paese. Si tratta di persone che, per molti versi, vengono mandate al fronte con la forza. La guerra è diventata un lavoro di routine, un modo per guadagnare denaro».

La guerra come cambierà i destini dei due popoli, anche al di là di questo tragico presente?
«Onestamente non lo so. Temo che per molti anni potrebbero non esserci più rapporti, se parliamo di legami tra popoli. A livello personale e umano, dipende da quanto le persone fossero vicine prima della guerra e da quanto siano disposte a capire e ad accettare veramente il dolore altrui, non solo a ripetere gli slogan della televisione. Sono profondamente grata alla mia famiglia - ai miei parenti ucraini - perché in tutto questo tempo, nemmeno una volta mia sorella, suo marito, i loro figli o mio zio hanno confuso lo Stato con l’individuo. No, io non sono lo Stato russo. Non sono Putin. Non ho preso io quelle decisioni. E cerco di fare tutto ciò che è in mio potere, al mio livello, per assicurarmi che le conseguenze di quelle decisioni siano almeno registrate, almeno ricordate, in modo da lasciare qualcosa alle generazioni future come lezione. Non ho avuto la forza o il potere professionale per fermarlo. Questa è la mia storia personale e quella della mia famiglia. Quanto a come saranno le cose tra le nazioni e le generazioni, onestamente mi è molto difficile immaginarlo».

Nel suo libro, Oltre la soglia del dolore, va proprio in questa direzione. Che cosa ha scoperto, lei stessa, scrivendolo e documentandosi?
«Probabilmente la cosa più importante che ho capito è questa: più dolore una persona ha vissuto, più misericordia mostra verso gli altri. La sete di sangue è tipica di coloro che combattono le cosiddette “guerre da divano”: quelli che mandano a morire altre persone, che non metterebbero mai piede su un campo di battaglia, né manderebbero mai i propri figli. Questi sono i veri assetati di sangue. Ma coloro che sanno cosa significa perdere tutto, che hanno pianto sulla tomba di qualcuno che amavano, che hanno perso la loro casa, la loro famiglia e la loro speranza, non sono quelli desiderosi di diffondere altra sofferenza. Non sono loro a voler scatenare altro dolore sul mondo».

Ai media indipendenti in Russia hanno tolto la voce. Al popolo dissidente hanno tolto la voce. Però, come ha ricordato lei stessa, resta la gente, restano le persone. All’interno delle mura domestiche la gente non ha a cuore che la guerra finisca?
«Le persone sono solo persone. In tre anni e mezzo si sono abituate a questa grande guerra. Non si sono nemmeno accorte della guerra che era in corso da otto anni proprio lì accanto. E ora, dopo tre anni e mezzo, si sono abituate anche a questa. Non è più un argomento di discussione reale, non è una parte importante della vita quotidiana della persona media. La gente è impegnata a preoccuparsi di mandare i figli a scuola, di fare soldi, di diserbare il giardino ora che sta arrivando l’estate. Se nei primi sei mesi o nel primo anno di guerra era ancora qualcosa a cui le persone pensavano attivamente - parte delle loro paure, delle loro riflessioni - ora è solo parte dello sfondo. La gente si è abituata ai droni. Si è abituata alle sirene dei raid aerei nelle regioni meridionali della Russia. E no, non corrono più nei rifugi antiatomici. Non hanno paura. Purtroppo, la gente può abituarsi a tutto. E nessuno vuole riaprire una ferita che ha appena iniziato a rimarginarsi».

È la guerra di Putin o è la guerra della Russia?
«Sia chiaro che questa è la guerra di Putin. Ho trascorso la mia infanzia e la mia giovinezza proprio nelle aree ora etichettate come “contese” e “occupate”, e posso dirvi che nessuno combatteva per esse, nessuno è stato messo a tacere per aver parlato la propria lingua. Questa non è mai stata la realtà. Questa guerra è sua, ed è esattamente così che sarà registrata nei libri di storia».

Lei prova a cercare comunque il bene. La sua sembra una ricerca della normalità, nonostante tutto, nonostante il male, nonostante le assurdità della guerra. Che cosa dovrebbe insegnarci, nonostante tutto, questa guerra?
«Misericordia».

Katerina Gordeeva è una delle più note giornaliste dissidenti russe. Dal 2021 è autrice del canale YouTube Tell Gordeeva che oggi conta più di un milione di iscritti. Dall’invasione russa dell’Ucraina, ha viaggiato tra centri profughi, ha dialogato con rifugiati, dissidenti, volontari russi e cittadini europei che hanno accolto i profughi, offrendo un quadro completo e toccante delle loro esperienze. Da lì il libro Oltre la soglia del dolore (21lettere, 2023). Katerina Gordeeva è stata premiata con il premio Sibling Scholl e il premio Anna Politkovskaja. Venerdì 9 maggio sarà protagonista con Nello Scavo, giornalista e reporter di Avvenire e collaboratore del CdT, dell’inaugurazione ufficiale di Chiassoletteraria alle 18.30. Del suo libro ci ha colpito un passaggio. Tanja, fuggita dalla guerra, racconta: «Quando potrò stare ancora sulla mia veranda e guardare il mio cielo? È solo un’impressione che il cielo sia uguale ovunque. Io mi ricordo com’è il cielo sopra la nostra casa. Me lo ricordo. Capisci?». Dmitrij Muratov, Premio Nobel per la Pace nel 2021, di lei ha detto: «Dallo scoppio della guerra, Katerina Gordeeva è diventata un’alternativa unipersonale a una colossale macchina di propaganda. I racconti raccolti nel suo libro Oltre la soglia del dolore sono sconvolgenti. Fassbinder una volta ha osservato che, anche se non puoi cambiare niente, ciò non toglie il tuo dovere di documentare tutto. Quello che Gordeeva documenta cambia il mondo».


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