L'eccesso regolatorio di Bruxelles: «Assalto dogmatico all'industria»

L’auto europea ha un cattivo presente e un futuro peggiore: lo dicono quasi tutti anche se le statistiche 2025 non sono pessime, ma quando lo scrive uno come Carlos Tavares le parole hanno un peso diverso. Perché l’ingegnere portoghese, che a dicembre dello scorso anno ha dato le dimissioni dalla guida di Stellantis, dell’auto europea ha conosciuto davvero tutto: la produzione, la finanza, le scelte della politica. E così il suo Un pilote au cœur de la tempête: Le parcours incroyable d’un des plus grands patrons automobiles du monde, scritto con i giornalisti Bertille Bayart e Dominique Seux, è diventato un caso appena è uscito in Francia. E forse sarà di aiuto per fermare il declino di un settore che nell’immaginario collettivo è tuttora sinonimo di creatività, ricerca e lavoro. In sintesi: di progresso.
Amore per l’auto
La prospettiva di Tavares è quella di un dirigente che dalle linee di saldatura della Renault è salito al vertice di un gruppo internazionale. Un innamorato dell’auto come poteva esserlo un ragazzo della sua generazione (Tavares è del 1958), scattato grazie a una Alfa Romeo Alfasud Sprint, passato attraverso anni da meccanico e pilota di rally e poi confrontatosi con la realtà produttiva: «La strategia è il 10%; farla accadere è il 90%». Tavares racconta la sua trentennale carriera alla Renault con la precisione di un ingegnere: dalla pianificazione dei prodotti alla guida dell’alleanza con Nissan. Il suo punto più alto il salvataggio nel 2014 di PSA, allora sull’orlo del fallimento. Tavares tagliò costi, razionalizzò piattaforme e virato verso l’elettrificazione, spianando la strada alla fusione Stellantis del 2021, con la creazione di un colosso da 150 miliardi di euro. Al di là degli aneddoti, è interessante ciò che Tavares dice sul futuro dell’automotive europeo, lanciando strali contro l’eccesso regolatorio della Commissione europea post-Dieselgate, quindi post 2015, definendolo «assalto dogmatico» all’intera industria piuttosto che solo a Volkswagen, un errore che «ha accelerato lo spostamento sull’elettrico, regalando ai produttori cinesi un vantaggio di un decennio». E il futuro? Lo spezzettamento di Stellantis in feudi regionali oppure una fusione disperata con Hyundai per contrastare il dominio nell’elettrico di Pechino. La joint venture Leapmotor? Un «cavallo di Troia», dice Tavares, dove la Cina si prende il 51% dei profitti non cinesi, pronta a ingoiare l’Occidente. Da notare che Tavares non è mai stato un nemico dell’elettrico, ma della sua imposizione dirigistica.
Tredici milioni
Come sta in generale l’automotive europeo? Male, rispetto a una ventina di anni fa, ma non malissimo. I dati ufficiali dell’ACEA, l’associazione dei produttori automobilistici europei, e dell’ICCT (International Council on Clean Transportation), aggiornati al settembre 2025, dicono infatti che l’anno scorso il mercato europeo delle auto nuove ha registrato una leggera ripresa dopo gli anni di crisi. Le immatricolazioni totali in Europa hanno raggiunto i 13 milioni di unità, con un incremento dello 0,9% rispetto al 2023. E per il 2025 le previsioni indicano una crescita intorno al 4,1% sul totale europeo. Con un minimo di prospettiva storica, diciamo mezzo secolo, si possono confrontare i 13 milioni di oggi con i 10,5 del 1975, che in quell’epoca post crisi petrolifera furono valutati positivamente, con i 12 milioni del 1985, nel cuore di quello che sembrava un boom, con i 12,6 del 1995, con l’Est europeo che iniziava a crescere, i 16,9 del 2007, record prima della crisi finanziaria mondiale, con i 15,3 del 2019, l’anno pre-Covid, e con i 9,4 del 2020. Insomma, in aggregato gli europei continuano ad acquistare auto, ma in un mercato che rispetto ai suoi massimi ha perso per strada, è proprio il caso di dirlo, il 23%, quasi 4 milioni di auto nuove l’anno.
Volkswagen prima
La tendenza di lungo periodo dell’auto europea è negativa, al di là dei grandi discorsi sull’elettrico. Certo è che in Europa la transizione verso i veicoli a batteria (BEV) ha ritmi ben diversi da Paese a Paese. Se il 16,1% è la quota di mercato media dell’elettrico propriamente detto, il dato sale al 23 nel Regno Unito, al 20 in Francia e al 19 in Germania, con la Spagna a 12 e l’Italia a solo 5,2. La Svizzera (21,1%, con quasi il 9% di crescita rispetto al 2024) è molto oltre la media continentale, anche se lontana dal clamoroso 90% della Norvegia. I gruppi automobilistici dominanti mantengono quote di mercato stabili, con Volkswagen leader indiscussa: 21,5% e 1,1 milioni di auto con il marchio principale insieme a Audi, Skoda, Seat e Porsche. Secondo posto europeo per Stellantis: insieme Fiat, Peugeot, Citroën, Opel/Vauxhall, Jeep e DS fanno il 19,2%, con 980.000 auto. Terzo gradino del podio per Renault (insieme a Dacia e Alpine) con l’11% e 560.000 auto. A seguire la prima asiatica, Toyota, con l’8,5%, poi Hyundai-Kiaa 7,8, Ford a 6,2, BMW a 6, Mercedes a 5,1 e poi tutti gli altri, dal che si deduce che l’invasione cinese è in corso ma ancora non ha raggiunto posizioni dominanti. Va da sé che le differenze fra Paesi dipendono molto dalla presenza di marchi locali, tipicamente in Francia, Italia e Germania. Quanto ai modelli più venduti, è significativo che nella top ten non ci sia un solo modello totalmente elettrico. Il motivo per cui ogni discussione sull’automotive tocca da vicino la politica è chiaro, visto il numero di persone coinvolte come lavoratori o consumatori. Per quanto riguarda il lavoro e l’impatto sociale va ricordato che, per il 2025, si stima la produzione europea di 11 milioni di auto: in Germania di 4,05 milioni, più 4,4% rispetto all’anno scorso, in Spagna di 1,8 (meno 12%), In Repubblica Ceca di 1,41 milioni (meno 5,3), in Slovacchia di 1,09, in Francia di 960.000 e in Italia di sole 260.000, un vero disastro per l’occupazione in quello che era il Paese della FIAT. Notevole è il fatto che gli occupati nel settore dell’auto in Europa, calcolando anche l’indotto, siano oggi stimati in quasi 14 milioni, in pratica più di uno per auto prodotta, circa 2 milioni in più rispetto al 2000 anche se distribuiti in maniera diversa. Non è quindi strano che molti operino in perdita, scommettendo su fusioni, aggregazioni e soprattutto su aiuti pubblici.
«Il punto di svolta è stato il Dieselgate»
Il libro di Carlos Tavares ha scatenato un dibattito fra gli esperti del settore automobilistico, con il partito dei catastrofisti che si confronta con quello di chi pensa cha l’automotive europeo possa ancora avere un futuro, sia pure con numeri ridimensionati. Nessuno, comunque, delinea scenari ottimistici. Fra le voci più autorevoli spicca quella di Gian Luca Pellegrini, direttore editoriale di Quattroruote.
Signor
Pellegrini, l’auto europea è destinata a scomparire o a ridursi a pochissime
aziende, come ipotizza l’ex CEO di Stellantis?
«Non sposo
totalmente le tesi di Tavares, che ne fa anche una questione personale visto
come è finita con Stellantis. Di sicuro però l’automotive europeo non funziona,
perché la transizione verso l’elettrico è stata più ideologica che industriale,
più politica che per venire incontro al consumatore».
Lo scenario
futuro è quello di megafusioni obbligate con aziende asiatiche, tipo quella
Stellantis-Hyunday ipotizzata?
«Al di là delle
colpe della politica ci sono quelle delle aziende europee, che hanno
clamorosamente sottovalutato i cinesi. Non si aspettavano la loro aggressività
e ora la subiscono, oltretutto in un mercato che si è contratto: nell’Unione
Europea si è passati in pochi anni da 17 milioni di auto vendute all’anno a 11.
È probabile che alcuni marchi vengano venduti in Asia, ma non vedo quale
interesse avrebbe la Hyunday della situazione nel fondersi con Stellantis. Dopo
aver ceduto qualche marchio storico europeo si aprirà la questione americana:
possibile che ciò che rimarrà di Stellantis si unisca a General Motors».
Che cosa non sta
funzionando nella transizione verso l’elettrico, al di là della scadenza del
2035?
«Il problema è
che il pubblico non vuole l’auto elettrica, per tutta una serie di motivi, e
del resto la quota di mercato, dal 5% dell’Italia al 15% europeo, parla chiaro.
Si è voluto regolamentare un mercato senza tenere conto della domanda. Fra
cinquant’anni, nei testi universitari questo dell’elettrico imposto dall’alto
sarà ricordato come uno dei più grandi errori strategici nella storia
dell’economia».
Politica a parte,
perché una decina di anni fa le case produttrici europee si sono infilate in
questa situazione?
«Un punto di
svolta è stato il Dieselgate, che ha coinvolto Volkswagen ma che ha messo sotto
processo tutta l’industria dell’auto. E così i tedeschi per mondare le proprie
colpe hanno un po’ trascinato gli altri. L’aspetto paradossale della situazione
è che le auto europee erano fra le migliori al mondo come impatto
sull’ambiente, semmai a dover migliorare erano gli altri».
Ideologia ma
anche prezzi. Signor Pellegrini, perché l’auto elettrica è così cara?
«Altra questione
paradossale. Le case europee per potersi permettere la transizione hanno
aumentato i prezzi in maniera incredibile, anche per il non elettrico, in
proporzioni non giustificate da inflazione, costo del lavoro e materie prime.
Prendo l’Italia come esempio: nel 2019, prima del Covid, il prezzo medio di
un’auto era di 18.000 euro, oggi è di 30.000. Per questo il parco circolante ha
un’età media di 13 anni. E per questo, aggiungo, il segmento A è quasi
scomparso: Gli europei non fanno più auto economiche ma soltanto quelle dove i
margini sono superiori».
La scadenza del
2035 imposta dall’UE è realistica? Ci possono essere deroghe o addirittura si
potrebbe tornare indietro?
«La scadenza del
2035 non è realistica, lo stanno dicendo tutti, ma le deroghe non sono così
semplici da fare per come sono state scritte le norme. Penso in ogni caso che i
produttori tifino per una soluzione di questo tipo, mettiamo uno spostamento al
2040, che non per un ritorno totale al passato: significherebbe bruciare tutti
gli investimenti dell’ultimo decennio. Certo, rimane il discorso delle
preferenze dei consumatori».
Elettrico o non
elettrico, c’è in Europa la percezione che l’auto sia superata?
«Sì, c’è eccome.
È passato il concetto che l’auto sia un nemico, nella migliore delle ipotesi un
male necessario. Le grandi città come Parigi, Londra e Milano la stanno
espellendo. E i giovani sono sempre meno attratti dall’auto come prodotto e
come mezzo per essere indipendenti, prima ancora che le forme alternative di
mobilità possano davvero sostituirla».
