Il punto

Che cosa è chiaro e che cosa no nel piano di Trump per Gaza

Dal rilascio degli ostaggi al futuro governo di Gaza - Alcuni dei 20 punti stilati dalla Casa Bianca sono ben delineati, altri lo sono decisamente meno - La reazione positiva del DFAE: «La Svizzera sosterrà qualsiasi iniziativa basata sul diritto internazionale»
©JIM LO SCALZO / POOL
Red. Online
30.09.2025 09:30

In una conferenza stampa congiunta con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha reso pubblico il suo piano di pace per Gaza. Un piano che include la fine immediata delle ostilità, il rilascio degli ostaggi israeliani, il ritiro dell'esercito di Tel Aviv dalla Striscia e un progetto per il futuro governo di Gaza. Stilato senza la partecipazione di rappresentanti palestinesi, il documento è stato condiviso solo nelle scorse ore con Hamas che, secondo quanto rivelato da alcune fonti, si prenderà qualche giorno per decidere se accettare o meno la proposta.

Ma che cosa prevede il piano di Trump, accettato da Netanyahu? Alcuni dei 20 punti stilati dalla Casa Bianca sono ben delineati. Altri lo sono decisamente meno. Cerchiamo di fare chiarezza.

Cosa è chiaro

Nel piano proposto da Donald Trump, si esplicita che la Striscia di Gaza dovrà divenire una «zona deradicalizzata libera dal terrorismo che non costituirà una minaccia per i suoi vicini» e che il territorio, la cui popolazione «ha sofferto più che a sufficienza» sarà riqualificato a beneficio della popolazione stessa. Parole chiare sono utilizzate anche per descrivere che cosa succederà nelle prime ore seguenti l'accettazione della proposta: «Se entrambe le parti accettano questa proposta, la guerra terminerà immediatamente. Le forze israeliane si ritireranno sulla linea concordata per preparare il rilascio degli ostaggi. Durante questo periodo, tutte le operazioni militari, compresi i bombardamenti aerei e di artiglieria, saranno sospese e le linee di battaglia rimarranno congelate fino a quando non saranno soddisfatte le condizioni per il ritiro completo. Entro 72 ore dall'accettazione pubblica di questo accordo da parte di Israele, tutti gli ostaggi, vivi e deceduti, saranno restituiti». Una volta restituiti tutti gli ostaggi, «ai membri di Hamas che si impegnano alla coesistenza pacifica e a smantellare le armi sarà concessa l'amnistia. Ai membri di Hamas che desiderano lasciare Gaza sarà garantito un passaggio sicuro verso i Paesi di accoglienza». Una volta che tutti gli ostaggi israeliani saranno rilasciati, «Israele rilascerà 250 ergastolani, oltre a 1.700 gazawi detenuti dopo il 7 ottobre 2023, comprese tutte le donne e i bambini detenuti in quel contesto. Per ogni ostaggio israeliano rilasciato, Israele rilascerà i resti di 15 gazawi deceduti».

Gli aiuti umanitari «saranno inviati immediatamente nella Striscia di Gaza. Come minimo, le quantità di aiuti saranno coerenti con quanto incluso nell'accordo del 19 gennaio 2025 sugli aiuti umanitari, compresa la riabilitazione delle infrastrutture (acqua, elettricità, fognature), la riabilitazione di ospedali e panetterie e l'ingresso delle attrezzature necessarie per rimuovere le macerie e aprire le strade». L'ingresso della distribuzione e degli aiuti nella Striscia di Gaza, si specifica nel testo, «avverrà senza interferenze da parte delle due parti attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, e la Mezzaluna Rossa, oltre ad altre istituzioni internazionali non associate in alcun modo a nessuna delle due parti. L'apertura del valico di Rafah in entrambe le direzioni sarà soggetta allo stesso meccanismo attuato nell'ambito dell'accordo del 19 gennaio 2025».

Hamas e le altre fazioni palestinesi, anche questo punto è chiaro, dovranno accettare «di non avere alcun ruolo nella governance di Gaza, direttamente, indirettamente o in qualsiasi forma. Tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi i tunnel e le strutture per la produzione di armi, saranno distrutte e non ricostruite. Ci sarà un processo di smilitarizzazione di Gaza sotto la supervisione di osservatori indipendenti, che comprenderà la messa fuori uso definitiva delle armi attraverso un processo concordato di smantellamento, sostenuto da un programma di riacquisto e reintegrazione finanziato a livello internazionale, il tutto verificato da osservatori indipendenti».

Nel testo stilato dalla Casa Bianca, si specifica la volontà di evitare quella che molti analisti e organizzazioni umanitarie hanno definito una pulizia etnica della Striscia: «Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza, e coloro che desiderano andarsene saranno liberi di farlo e liberi di tornare. Incoraggeremo le persone a rimanere e offriremo loro l'opportunità di costruire una Gaza migliore».

Cosa non è chiaro

Alcuni temi, tuttavia, sono definiti con termini e tempistiche decisamente meno espliciti. Parliamo, in particolare, di tutto ciò che riguarda il ritiro delle forze israeliane, la creazione di una forza di pace, il governo che in futuro controllerà Gaza, le possibilità per uno Stato palestinese.

Partiamo dal governo di transizione. Gaza, leggiamo nel documento pubblicato integralmente dai media internazionali, «sarà governata in via transitoria da un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, responsabile della gestione quotidiana dei servizi pubblici e delle municipalità per la popolazione di Gaza. Questo comitato sarà composto da palestinesi qualificati e da esperti internazionali, con la supervisione e il controllo di un nuovo organismo internazionale di transizione, il "Consiglio di pace", che sarà guidato e presieduto dal presidente Donald J. Trump, con altri membri e capi di Stato da annunciare, tra cui l'ex primo ministro [britannico] Tony Blair». Questo organismo, il Consiglio di pace, «definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la riqualificazione di Gaza fino a quando l'Autorità Palestinese non avrà completato il suo programma di riforme, come delineato in varie proposte, tra cui il piano di pace del Presidente Trump per il 2020 e la proposta saudita-francese, e potrà riprendere il controllo di Gaza in modo sicuro ed efficace». La proposta parla insomma di un comitato palestinese, ma non specifica come questo sarà formato o chi selezionerà i suoi membri. Soprattutto, non esplicita a quale livello verrebbero prese le decisioni quotidiane sulla gestione della Striscia, né la natura del rapporto fra questo comitato e il "Consiglio di pace" che sarà tenuto a supervisionarlo. Un Consiglio, hanno sottolineato in queste ore i critici, che tra l'altro vede l'inclusione di due figure - quella di Tony Blair e Trump stesso - legate al criticato progetto della "Gaza Riviera".

Sempre riguardo il futuro governo di Gaza, non è chiaro chi certificherebbe che l'Autorità palestinese sia pronta o meno ad assumere il controllo di Gaza o quali parametri debbano essere soddisfatti perché essa possa gestire il territorio: non esiste, al momento, una roadmap al riguardo, né sono state specificate - anche vagamente - date su questo passaggio di testimone. Da sottolineare, poi, che nella stessa conferenza stampa - in piedi di fianco a Trump - lo stesso Netanyahu ha affermato che «Gaza non sarà gestita né da Hamas né dall'Autorità palestinese». Smentendo, sostanzialmente, questo punto del piano statunitense.

Per quanto riguarda i peacemakers, Washington afferma che «gli Stati Uniti lavoreranno con i partner arabi e internazionali per sviluppare una forza di stabilizzazione internazionale (ISF) temporanea da dispiegare immediatamente a Gaza. L'ISF addestrerà e fornirà supporto alle forze di polizia palestinesi di Gaza, sottoposte a controllo, e si consulterà con la Giordania e l'Egitto». Questa forza, si sottolinea, «sarà la soluzione di sicurezza interna a lungo termine» e collaborerà «con Israele e l'Egitto per contribuire alla sicurezza delle aree di confine, insieme alle forze di polizia palestinesi una volta addestrate». Dubbi, hanno evidenziato in queste ore alcuni analisti, rimangono tuttavia sulla composizione e ruolo di questa forza. Da dove verrebbero i militari integrati nell'ISF? Quali saranno le responsabilità di questa forza? Agirebbero come esercito, forza di polizia o osservatori? Avrebbero il compito e l'autorità per difendere, anche con le armi, la pace tra palestinesi e israeliani, indipendentemente da chi possa violarla?

Un altro punto non chiaro riguarda i termini per il ritiro delle forze israeliane. «Israele non occuperà né annetterà Gaza», si legge nel testo, e «man mano che l'ISF stabilirà il controllo e la stabilità, le [forze armate israeliane] si ritireranno sulla base di standard, tappe e tempi legati alla smilitarizzazione che saranno concordati tra le [forze armate israeliane], l'ISF, i garanti e gli Stati Uniti, con l'obiettivo di una Gaza sicura che non rappresenti più una minaccia per Israele, l'Egitto o i suoi cittadini. In pratica, le [forze armate israeliane] cederanno progressivamente il territorio di Gaza che occupano all'ISF, secondo un accordo che prenderanno con l'autorità di transizione, fino a ritirarsi completamente da Gaza, salvo una presenza perimetrale di sicurezza che rimarrà fino a quando Gaza non sarà adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica risorgente». Anche in questo caso, tuttavia, la disposizione non stabilisce un calendario per il ritiro israeliano o standard chiari su come e quando avverrà. Simile il discorso sul cosiddetto «perimetro di sicurezza», territorio all'interno della Striscia che, teoricamente, potrebbe rimanere sotto il controllo israeliano indefinitamente.

Fumoso, poi, tutto ciò che riguarda un futuro Stato palestinese. «Mentre lo sviluppo di Gaza avanza e il programma di riforma dell'Autorità palestinese viene portato avanti fedelmente, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese, che riconosciamo come l'aspirazione del popolo palestinese». Nessuna garanzia, insomma, per un futuro Stato palestinese, riconosciuto come un desiderio del popolo ma non un diritto, e anch'esso sottoposto a riforme le cui tempistiche non sono state specificate.

Reazione positiva del DFAE

Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) saluta con favore la proposta degli Stati Uniti per porre fine alla guerra a Gaza e aprire delle prospettive per una pace duratura. Lo scrivono oggi i servizi di Ignazio Cassis su X.

Nel post si aggiunge che la Svizzera sosterrà qualsiasi iniziativa basata sul diritto internazionale, che garantisca la protezione della popolazione civile, la liberazione di tutti gli ostaggi, che assicuri l'accesso agli aiuti umanitari e che posi le fondamenta per un pace duratura fondata sulla soluzione a due stati.

Il DFAE risponde così alla notizia dell'accettazione da parte di Israele del progetto in venti punti del presidente americano Donald Trump per la conclusione del conflitto con Hamas. L'accordo è stato reso noto dopo l'incontro di ieri tra lo stesso Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.