Stati Uniti

Donald, c'è posta per te: le Big Tech scrivono a Trump

Da Jeff Bezos a Sam Altman, passando per Tim Cook e Mark Zuckerberg, tutti (o quasi) i leader tecnologici del Paese si sono congratulati con il tycoon per la vittoria – Ecco perché
© Reuters
Marcello Pelizzari
08.11.2024 06:00

Ci sono tutti. O quasi. Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Il patron di Meta, Mark Zuckerberg. E poi l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, e tanti, tantissimi altri leader Tech. Sfogliare i social, in queste ore, significa imbattersi in decine e decine di post celebrativi. Sì, il settore tecnologico statunitense si è congratulato, compatto, con Donald Trump per la sua vittoria elettorale. Chi perché sinceramente convinto delle posizioni del tycoon, chi perché interessato, innanzitutto, a non inimicarsi il futuro inquilino della Casa Bianca. Chi, ancora, per pura e semplice galanteria. Noblesse oblige, insomma.

C'è posta per te

Le Big Tech, uscendo dall’attualità stretta, si stanno preparando a ciò che sarà. O, meglio, all’amministrazione Trump 2.0. Senza sapere con esattezza quale sarà davvero il panorama, ha sottolineato fra gli altri Axios, considerando i capricci dello stesso Trump e la possibilità che le sue posizioni cambino dall’oggi al domani. Anche drasticamente.

Il primo passo, in questo senso, è stato rivolgersi, per direttissima, al prossimo presidente. Un approccio, forse, poco convenzionale al di fuori del mondo Tech ma coerente rispetto all’ambiente in cui vivono e lavorano i principali leader del settore.

Un passo, agli occhi dei più, necessario. E questo perché si mormora che Trump, durante la campagna, abbia annotato su un taccuino i nomi degli amministratori delegati e delle aziende che, da un lato, lo hanno osteggiato e, dall’altro, hanno supportato i suoi rivali. Come detto: meglio, molto meglio far buon viso a cattivo gioco piuttosto che inimicarsi, subito, il presidente.

La retorica anti-Big Tech

Secondo un’analisi di OCR Network, condivisa da Axios, il 13% degli amministratori delegati della lista Fortune 100 ha pubblicamente commentato il risultato delle presidenziali 2024. Di tutti coloro che hanno parlato, soltanto un amministratore delegato non è legato al settore Tech.

D’accordo, ma quali sono – al momento – i rapporti fra Trump e il settore? E, ancora, che cosa dovremmo aspettarci? Sin qui, all’interno del Partito Repubblicano e dell’elettorato di Trump in particolare, la retorica anti-Big Tech ha spopolato. In parte perché, soprattutto nella Silicon Valley, rimane forte il legame fra aziende e Partito Democratico e in parte perché la citata Silicon Valley è considerata alla stregua di Hollywood: una «cricca» di ricchi, ricchissimi imbonitori di sinistra.

Detto che saranno le scelte di Trump a livello di amministrazione a dettare la linea, in particolare sulla severità o meno dell’antitrust, giova ricordare che sia il tycoon sia il suo vice nominato, JD Vance, hanno speso parole infuocate per le Big Tech e per il loro consolidamento. Le strategie del settore, e le scelte commerciali, saranno in ogni caso al centro dei pensieri di Trump. Il quale, come noto, preme per quella che potremmo definire autarchia tecnologica degli Stati Uniti. Un obiettivo da centrare tagliando fuori, del tutto, la Cina.

Apertura, dialogo, collaborazione

Il messaggio, univoco, arrivato a Trump è all’insegna dell’apertura al dialogo e della collaborazione. Uscendo dal linguaggio dei social, insomma, il settore Tech intende lavorare di concerto con la futura amministrazione.

Amazon, fra i colossi, ha speso parole al miele sia tramite il suo amministratore delegato, Andy Jassy, fra i primi a commentare il trionfo del tycoon, sia come detto con il fondatore Jeff Bezos. Su X, la piattaforma di Elon Musk, oramai braccio destro di Trump, Bezos ha elogiato la «straordinaria rimonta politica» del presidente-eletto. Aggiungendo che nessuna nazione ha «opportunità più grandi» degli Stati Uniti. Affermazioni che, certo, non hanno fatto l’unanimità fra analisti e commentatori, a maggior ragione se pensiamo che Bezos è pure il proprietario del Washington Post. Ovvero, il quotidiano al centro di un vero e proprio caso politico-giornalistico dopo che l’endorsement per la candidata democratica Kamala Harris, già pronto e redatto, è stato improvvisamente bloccato dall’alto a favore di un editoriale neutrale. Una mossa che molti hanno collegato a una possibile vicinanza di Bezos a Trump, tant’è che la base di abbonati – di orientamento liberal – ha subito una forte erosione. Bezos, nel suo post di congratulazioni, ha augurato a Trump di «avere successo nel guidare e unire l’America che tutti amiamo».

Ma che America vuole il settore Tech?

Ecco, quale America amano e vorrebbero i leader Tech? Ribadito che (quasi) tutti, appunto, non vedono l’ora di lavorare con Trump e con la sua amministrazione, il settore è stato pesantemente tartassato durante l’era Joe Biden. Il quale ha spinto, seppur meno rispetto all’Unione Europea, sulla regolamentazione dei colossi, sulla protezione della privacy, sul rispetto della concorrenza, sulla moderazione dei contenuti e sulla prevenzione della disinformazione.

L’augurio, ora, basti pensare ai toni gentili usati da un altro pezzo da novanta, Mark Zuckerberg, il cui rapporto con Trump in passato è stato più volte conflittuale, è ripartire. Sfruttando «le grandi opportunità davanti a noi».

Durante il suo primo mandato, Trump non ha risparmiato critiche e frecciatine alle Big Tech. A suo tempo, vedeva in colossi come Meta, Twitter, Google e YouTube delle entità tanto, troppo potenti. Entità che, a suo dire, abusavano del loro potere per sopprimere le voci conservatrici e, quindi, influenzare il dibattito politico. Di qui le sue posizioni anti-censura e pro-libertà di espressione, sovrapponibili peraltro con quelle di Elon Musk. In seguito ai fatti del 6 gennaio 2021, Trump era stato bannato dalle principali piattaforme. Il motivo? I suoi post incitavano alla violenza.

Ora, proprio il settore Tech sembrerebbe appunto incline a riabbracciare Trump. O, comunque, a lavorare fianco a fianco. Al grido «scurdammoce ‘o passato». Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, si è espresso in questi termini su X: «Siamo in un’epoca d’oro per l’innovazione americana e siamo impegnati a lavorare con la sua amministrazione per contribuire a portare i benefici a tutti». L’amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, si è spinto oltre. Augurando a Trump «un enorme successo nel lavoro». In un post separato, ha aggiunto che «è di importanza critica che gli Stati Uniti mantengano la loro leadership nello sviluppo di IA con valori democratici». Tradotto: guai se l’America subisse il sorpasso della Cina e perdesse la superiorità tecnologica. Perfino Cook, a capo di un’azienda che nell’immaginario collettivo è certamente lontana dal trumpismo, ha auspicato che gli Stati Uniti mantengano la leadership mondiale. Edulcorando il tutto con parole-chiave come «ingegno», «innovazione» e «creatività», ma abbracciando di fatto quell’America first tanto caro a Trump.