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Gaia Satta nuova Presidente del Mensa: «Non un club di geni ma un laboratorio di idee, per me è casa»

Graphic designer sarda che vive a Milano, da novembre guida l’associazione riservata a chi supera il 98° percentile nei test d’ingresso. «Voglio un Mensa più accessibile, connesso al territorio e capace di raccontarsi senza stereotipi»
Mattia Sacchi
11.12.2025 17:22

Quando Gaia Satta ripensa alla sua elezione alla presidenza del Mensa Italia, non insiste sulla formalità della riunione né sulla retorica del «nuovo inizio». Ricorda piuttosto una sensazione: quella di un percorso che arriva a compimento. «Un passo naturale», dice. «È qualcosa che volevo da tempo, e che ho costruito con gradualità».

Eppure il contesto non è quello di una comune associazione culturale. Il Mensa, nato in Gran Bretagna subito dopo la guerra, è un esperimento sociale unico: radunare persone che nei test psicometrici riconosciuti raggiungono risultati molto alti, con l’idea che uno spazio condiviso potesse favorire scambio, ricerca, collaborazione. Oggi è presente in più di cento Paesi, con una comunità eterogenea per età, professioni, provenienze.

In Italia i soci sono oltre 2.600, una realtà piccola rispetto ad altri Mensa nazionali ma in costante crescita. Ed è dentro questa crescita che si inserisce la figura di Satta, 39 anni, sarda trapiantata a Milano, graphic designer specializzata in comunicazione visiva.

«Ho iniziato quasi per gioco», racconta. «Avevo curiosità, volevo conoscere persone nuove. Il test è stato il mezzo, non il fine». Quello che ha trovato dentro, però, è stato altro: una rete sociale densa, un laboratorio di idee, un terreno fertile per chi ha voglia di proporre. «Ogni volta che dicevo «mi piacerebbe fare questa cosa», c’era qualcuno che rispondeva: «Facciamola». Ed è successo in modo naturale: prima lavoravo sulla grafica, poi sono diventata Assistente al Test, poi Segretaria regionale della Lombardia».

Uno dei nodi da sciogliere, riconosce Satta, è il modo in cui il Mensa viene percepito. «Siamo abituati a essere raccontati per estremi», spiega. «O come un circolo di geni irraggiungibili, o come un’enorme caricatura. Nessuna delle due immagini ci rappresenta».

La plusdotazione – la caratteristica cognitiva che accomuna chi fa parte del Mensa – è un tratto molto più complesso del mito del «genio assoluto». «Può significare rapidità nel vedere connessioni, forte curiosità, capacità analitica. Ma può anche andare insieme a difficoltà scolastiche, a percorsi non lineari. Io stessa mi sono laureata con fatica. Non è un marchio di eccellenza universale».

È anche per questo che il nuovo direttivo – composto da Alfredo Arolchi, Amedeo Mela, Paola Deon e Viviana Fusetti – punta sulla comunicazione interna ed esterna. «Non vogliamo creare un’altra narrazione mitologica», insiste Satta. «Vogliamo solo restituire un’immagine più fedele: un’associazione fatta di persone, non di etichette».

Il Mensa vive grazie ai suoi volontari. E la macchina organizzativa, in realtà, non è semplice: gruppi locali sparsi sul territorio, segretari regionali con stili diversi, centinaia di eventi all’anno, test di ammissione regolari, relazioni internazionali.

«Il nostro obiettivo non è irrigidire nulla», chiarisce Satta. «È mettere ordine dove servono strumenti. Significa linee guida, supporto tecnico, processi replicabili. Buona organizzazione significa più spazio per la creatività e per le iniziative, non meno».

Gli eventi pubblici – dalle conferenze ai talk, dalle rassegne culturali alle presenze nelle grandi fiere – sono spesso il primo punto di contatto tra esterni e Mensa. «Andiamo al Play, al Comicon, partecipiamo a festival e fiere tematiche, durante il Lucca Comics premiamo i vincitori del Mensa Ludo: Genesis, premio dedicato ai giochi inediti», racconta la presidente. «Sono spazi informali in cui molti scoprono che siamo molto meno «astratti» di quanto immaginassero».

E sulle conferenze, spesso percepite come ostiche, la neo presidente è netta: «Se una conferenza non incuriosisce, fallisce. Molti relatori vengono scelti proprio perché sanno rendere accessibili argomenti complessi. Non siamo un circolo accademico per specialisti: siamo un luogo che vuole stimolare chiunque abbia voglia di ascoltare».

Se c’è un elemento che emerge con forza dal racconto di Satta, è che la tenuta del Mensa non deriva dal tratto cognitivo condiviso, ma dalla qualità delle relazioni che si costruiscono.

«Molte persone, nel quotidiano, si sentono fuori posto», osserva. «Nel Mensa, invece, trovano una risonanza. Non è questione di essere simili, ma di riconoscere un ritmo mentale che rende immediato il dialogo».

La conseguenza è un senso di appartenenza inaspettato: «Fuori ti fai mille problemi, qui tre in meno. È un ambiente che rende semplice anche ciò che altrove richiede fatica: parlare, confrontarsi, creare legami. Ed è il motivo principale per cui molti restano».

Questa dimensione sociale non vive di eventi isolati ma di continuità: occasioni culturali, gite, incontri informali, momenti che permettono ai soci di ritrovarsi in un contesto dove la conversazione scatta senza sforzo. «Quando le persone stanno bene in un luogo, lo alimentano spontaneamente», osserva la Presidente. «Il mio lavoro è creare le condizioni perché questo accada con regolarità».

Un aspetto poco noto, soprattutto al pubblico svizzero, è il ruolo della comunità ticinese all’interno del Mensa italiano. «Ci sono diversi soci ticinesi che frequentano il gruppo Lombardia con grande continuità», spiega Satta. «La vicinanza geografica conta, soprattutto per fare i test d'ammissione (in Svizzera sono tutti oltre Gottardo, mentre in Italia è possibile farli sia nel comasco che nel varesotto, ndr) ma c’è anche un’affinità naturale. Negli anni abbiamo costruito collaborazioni reali, non simboliche, e alcuni di loro hanno preso parte attiva all’organizzazione».

Per il nuovo direttivo, questo è un terreno da coltivare: «Le comunità crescono quando dialogano», aggiunge. «La dimensione transfrontaliera è una delle nostre risorse più interessanti e meno visibili».

Alla fine, però, tutto converge sulla storia personale della Presidente. «Il Mensa mi ha dato molto più di quanto immaginassi», racconta. «Amicizie vere, relazioni importanti, persone che mi hanno sostenuta anche professionalmente. E soprattutto un ambiente dove, quando dici «vorrei fare questa cosa», c’è sempre qualcuno che risponde: «Facciamola insieme»».

«Se domani mi disiscrivessi, uscirei comunque sei giorni su sette con mensani – conclude Satta –. È intrecciato alla mia vita. Non potrei separarlo. Ed è per questo che nei prossimi due anni voglio lavorare perché sia comprensibile, accessibile, raccontato per ciò che davvero è».

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