Il profilo

Georgi Sudakov, il talento ucraino del calcio tra guerra e speranza

Due anni fa, quando i carri armati russi hanno superato i confini del suo Paese, il giocatore dello Shakhtar Donetsk e sua moglie aspettavano la loro prima figlia: «Quello che faccio, oggi, è per loro»
Sudakov in una foto del 2022. © Wikipedia
Red. Online
24.02.2024 10:30

Georgi Sudakov deve ancora compiere ventidue anni. È stato definito, a più riprese, un predestinato. Perché sul campo, con un pallone fra i piedi, può fare quello che vuole. Tant'è che mezza Europa, attratta dal suo talento, lo sta cercando. Ma lasciare l'Ucraina, questa Ucraina lacerata dalla guerra, non è facile. Due anni fa, quando i carri armati russi hanno varcato i confini ucraini, Georgi e sua moglie aspettavano la loro prima figlia. Sono stati costretti, come tutti, a nascondersi in un rifugio di fortuna durante i raid aerei su Kiev, la capitale. 

Milana, come racconta lo stesso Sudakov in una lunga intervista alla BBC, sta per compiere due anni. È figlia della guerra. A suo modo, è un simbolo di speranza. Una scommessa sul futuro. Sulla libertà. «Ma la situazione rimane difficile» ammette il calciatore dello Shakhtar Donetsk. La squadra che, più di altre, incarna le ferite e i traumi di questo conflitto: dal 2014, infatti, non può giocare nel Donbass. «Gli attacchi sono frequenti, le sirene continuano a suonare» spiega Sudakov. «Di recente c'è pure stata un'esplosione vicino a casa nostra».

Sudakov è spesso in viaggio, leggiamo. Ma la guerra è un pensiero fisso. Costante. Inevitabile, anche. Volodymyr Seheda, per dire, portiere dell'Under 19 del club, ha momentaneamente abbandonato il calcio per arruolarsi nell'esercito. «È difficile, psicologicamente, stare lontano da casa» ribadisce il numero 10. «Soprattutto quando accendi il telefono, al mattino, e leggi un messaggio di tua moglie nel quale afferma di essersi nascosta in bagno con la bambina». E ancora: «La guerra non è una situazione che si può dimenticare o da cui ci si può allontanare. Tutti noi, in squadra, seguiamo le notizie. E ne discutiamo. Grazie alla mia professione, almeno, posso distrarmi un po'. Per due ore, quando sono in campo, posso dimenticare tutto». 

La paternità, certo, ha contribuito a dare ulteriore profondità e maturità a Sudakov. «Tutto ciò che faccio, ora, è per la mia famiglia». Le magie con il pallone fra i piedi, dicevamo, hanno attirato l'interesse di molte società. Lo scorso gennaio, il Napoli ha messo sul piatto 40 milioni di euro per averlo. La risposta del giocatore? Rinnovare il suo contratto con i «Minatori», con lo Shakhtar che, si mormora, avrebbe aggiunto una clausola di uscita di 150 milioni. «Anche la Juventus si era fatta avanti con una proposta, mentre altri avevano solo mostrato interesse nei miei confronti». 

Sudakov, certo, è combattuto. Si è confrontato con amici e colleghi all'estero, come Mudryk (Chelsea), Zinchenko (Arsenal), Malinovskyi (Genoa) e ancora Trubin (Benfica). Sa che, «per progredire come calciatore», presto o tardi dovrà confrontarsi con uno dei migliori cinque campionati del continente. Ma allo Shakhtar, dice, è felice. Anche perché il club sta investendo parecchio per tornare a recitare un ruolo da protagonista nelle competizioni europee. Pazienza, insomma, se giovedì è arrivata l'eliminazione in Europa League per mano del Marsiglia. Sudakov, come i suoi compagni, ha imparato a dividersi fra campo e spostamenti. A chiamare «casa» la Polonia e, in seguito, la Germania, le sedi dello Shakhtar in ambito internazionale. A doversi sobbarcare, dettaglio da tenere presente nel commentare le performance dei «Minatori» in Europa, ore e ore di bus e controlli alla frontiera. 

L'estate, per contro, si annuncia carica di impegni e responsabilità per Sudakov. Sicuramente, assieme alla selezione olimpica disputerà i Giochi di Parigi. E prima, forse, potrebbe partecipare agli Europei: dipenderà tutto dai playoff di marzo. A motivare l'Ucraina, conclude il calciatore, sono i messaggi dei soldati che, puntualmente, giungono nello spogliatoio. «Rappresentiamo una nazione, la nostra, e ne avvertiamo il peso. Ne siamo consapevoli, a maggior ragione in momenti difficili come questo. Noi, beh, diamo sempre il massimo perché vogliamo ripagare chi ci sostiene».

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