Giorgia Meloni e i mercati di sinistra

I mercati sono di destra o di sinistra? Domanda eterna e forse ingenua, ma che nella politica italiana ha cittadinanza e dopo il giuramento del governo di Giorgia Meloni anche di più, visto che si tratta del governo più a destra del dopoguerra. La risposta magari non si avrà subito, anche perché i mitici mercati in parte l’hanno già scontata, in ogni caso è certo che la durata di questo esecutivo, poche settimane o cinque anni, dipenderà moltissimo dall’economia.
Si ricomincia da tre
I ministri che potranno/dovranno influire sull’economia italiana sono fondamentalmente tre: Giancarlo Giorgetti, varesino di Cazzago Brabbia e vicesegratrio della Lega, all’Economia dopo esserlo stato allo Sviluppo Economico con il governo Draghi; Adolfo Urso, di Fratelli d’Italia, alle Imprese e Made in Italy (ex Sviluppo Economico); Raffaele Fitto, anche lui Fratelli d’Italia e come D’Urso ex pupillo di Berlusconi in Forza Italia, agli Affari Europei e PNRR, in sostanza quello che dovrà spendere i soldi europei. Tornando alla domanda iniziale, i mercati saranno rassicurati o impauriti da questi tre uomini che certo non hanno un passato nella finanza, né alta né bassa? Probabilissimo che la prima reazione, in attesa di qualche loro provvedimento concreto, sia neutra: nessuno dei tre è un eversore del sistema e soprattutto così introdotto nella finanza internazionale da potersi lanciare in una guerra contro chi muove i soldi veri. Ma del resto chi nella finanza è introdotto, da Draghi a mille altri, contro questi poteri non si metterà mai. Insomma, non se ne esce.
Ossessione spread
Meglio i dati concreti. Lo scorso 26 settembre, dopo il trionfo elettorale della Meloni, la Borsa ha aperto con un ribasso dello 0,49%, per poi riprendere il suo tran tran, quest’anno davvero negativo in tutto il mondo, fatta eccezione per il settore dell’energia. Ma il miglior indicatore delle paure degli investitori riguardanti l’Italia è lo spread Btp-Bund, cioè la differenza di tassi fra titoli di stato italiani e tedeschi a 10 anni. Un argomento, lo spread, che in Italia è una vera e propria ossessione ma che prima del 2011 veniva completamente ignorato. Ecco, poco prima del voto lo spread Btp-Bund era a 228, un numero che non si vedeva dal 2018 e cioè da quando governavano insieme la Lega e il Movimento 5 Stelle, cioè la coalizione più antieuropeista e comunque imprevedibile di sempre. In altre parole, la vittoria della Meloni annunciata dai sondaggi faceva presagire una politica anti UE e meno attenta al contenimento del debito. Dopo il voto lo spread è ulteriormente salito, fino a 242 punti, per poi assestarsi. Il meccanismo è semplice: se c’è sfiducia nell’Italia si vende il suo debito, se si ha fiducia lo si compra. Ma la fiducia non è qualcosa di oggettivo, e può essere anticipata o ritardata a seconda del disegno generale. A chi vede in questo la prova che i mercati sono di sinistra bisogna comunque ricordare che nel marzo 2021, con Draghi già al comando, lo spread era a 94 e che da allora ha continuato a salire costantemente, ben prima che il governo Meloni fosse all’orizzonte.
La fine di Berlusconi
La realtà è che l’Italia ha alcuni problemi strutturali, a partire da un debito pubblico attualmente di circa 2.770 miliardi di euro, in zona 160% del PIL, numeri che consentono pochi margini di manovra. Il bello, anzi il brutto, è che nei 15 mesi pre-Meloni questo debito è aumentato di 116 miliardi. Perché allora questi paletti europei ed internazionali vengono presi per acquisiti dalla sinistra italiana e contestati dalla destra? Al di là del fatto che in Italia la sinistra, intesa come Partito Democratico, sia percepita come organica all’establishment, la storia recente e anche meno recente dice che l’unico caso di governo caduto per colpa dei mercati sia stato quello di Silvio Berlusconi nel 2011, a colpi di spread, che per l’occasione raggiunse addirittura i 575 punti. Certo non era caduto dal cielo ma arrivava dall’invito (eufemismo) della BCE del governatore dalla Banca d’Italia (all’epoca Mario Draghi) al governo italiano di centro-destra a fare riforme strutturali per sistemare i conti pubblici. Anche la Borsa iniziò ad andare male e Berlusconi si dimise a metà novembre lasciando il campo libero a Mario Monti, con i ‘mercati’ che risposero bene ed ancora meglio quando fu certo che le elezioni non si sarebbero tenute prima del 2013. Da lì in poi ogni ammonimento di organismi internazionali è stato preso bene a sinistra e male a destra, come per riflesso condizionato, ed indubbiamente questo si è trasmesso nell’elettorato. Tutto può comunque essere letto in chiave dietrologica, anche la recente caduta di Liz Truss nel Regno Unito, di base perché i mercati non hanno gradito le sue idee. Ma i mercati c’erano anche ai tempi della Thatcher originale e non le impedirono di governare 11 anni cambiando la Storia.
Stallo
Eserciti di accademici si sono esercitati su questo tema, nell’intento di dimostrare che la loro parte politica fosse messa nel mirino dai poteri forti. Ma qualunque operatore finanziario prudente sa che per il mercato azionario ed in generale per fare affari la situazione migliore è quella che non ci sia un vero governo, ma un governo debole o comunque un’ampia coalizione che renda impossibile prendere decisioni nette. Una situazione molto gradita ai mercati, dicono le statistiche borsistiche, è quella di governi di minoranza costretti a cercare alleanze voto per voto (uno scenario che potrebbe riguardare anche la Meloni), con il paradosso dell’instabilità che crea stabilità. Per lo meno nelle democrazie e dove la gente non muore di fame. I mercati, nella loro dinamica più onesta, non vogliono vincitori e vinti in campo politico ma soltanto soggetti deboli. È quella che nella finanza comportamentale si chiama teoria del prospetto, quella postulata da Kahneman e Tversky, e che noi brutalmente possiamo sintetizzare così: meglio non vincere che correre il rischio di perdere. In termini calcistici il “Meglio due feriti di un morto” con cui Gigi Buffon esaltava un certo tipo di pareggio: i calciatori sono contenti, i club e gli scommetitori (i nostri mercati) anche. La finanza è di destra o di sinistra, quindi? In termini statistici è neutrale, ma non c’è dubbio che nell’Europa di oggi se c’è un possibile vincitore netto, in vari paesi, questo è molto spesso di destra. E quindi alla Meloni e ad altri potrà arrivare qualche colpo d’avvertimento.