Guerra

Gli Stati Uniti aiuteranno l'Ucraina anche nel 2025?

Esperti e analisti si interrogano: il quadro potrebbe mutare qualora Donald Trump venisse eletto alla Casa Bianca, sebbene il tycoon ultimamente abbia ammorbidito le sue posizioni
© JIM LO SCALZO
Red. Online
22.04.2024 10:30

Gli aiuti ci sono. Manca soltanto il Senato. Ma stiamo parlando di una pura (e semplice) formalità. Tant'è che l'amministrazione Biden sta già pianificando i primi, primissimi trasferimenti di armi ed equipaggiamenti. Nell'ambito, appunto, del pacchetto da 95 miliardi di dollari fresco di approvazione alla Camera. Di questi 95 miliardi, 60,8 andranno all'Ucraina, 26,4 a Israele e 8,1 alla regione Indopacifica. Per Kiev, come spiega Reuters, si tratta di un'ancora di salvezza. 

Detto e riferito delle reazioni, entusiastiche, iniziali, fra cui quella del presidente Volodymyr Zelensky – «La democrazia e la libertà avranno sempre un significato globale e non verranno mai meno finché l'America contribuirà a proteggerle», le sue parole – analisti ed esperti avvertono: gli aiuti, questi aiuti, arriveranno comunque tardi, con l'Ucraina già a corto di munizioni e in netta difficoltà rispetto all'offensiva russa. Non finisce qui: quante e quali garanzie ci sono, in termini di aiuti e sostegno, pensando al 2025? Poche. Sia quel che sia, le prospettive militari di Kiev cambieranno, nel breve, grazie ai proiettili di artiglieria e ai missili a guida di precisione. «Con la spinta che verrà dall'assistenza militare, sia dal punto di vista pratico che psicologico, gli ucraini sono del tutto in grado di resistere fino al 2024 e di mettere in crisi l'arrogante convinzione di Putin che il tempo sia dalla sua parte» ha dichiarato giovedì il direttore della CIA William Burns al Bush Center Forum on Leadership di Dallas, come riporta sempre Reuters.

Si parla già di un'altra tranche

Munizioni, intercettatori per sistemi di difesa aerea e armi a lungo raggio potranno partire per l'Ucraina «entro pochi giorni» hanno invece ribadito da Washington. «Non ci saranno ritardi o strozzature da parte degli Stati Uniti». Lo stesso Joe Biden, il presidente, ha spiegato che firmerà immediatamente la misura non appena giungerà l'okay (anche) dal Senato. La fretta, ora più che mai, è necessaria. A oltre due anni dall'invasione su larga scala da parte della Russia, l'Ucraina ha perso territorio nella parte orientale del Paese mentre Mosca ha intensificato i bombardamenti di città e paesi dietro le linee del fronte, in un contesto di rallentamento dell'assistenza militare occidentale.

Gli aiuti statunitensi all'Ucraina sono stati bloccati per mesi a causa delle reticenze dei deputati Repubblicani più radicali alla Camera dei Rappresentanti. Sabato, per contro, la Camera ha approvato un pacchetto legislativo da 95 miliardi di dollari che prevede, nell'insieme, assistenza militare a Ucraina, Israele e Taiwan. Nel fine settimana, Zelensky come detto ha accolto con favore l'avanzamento del pacchetto di aiuti alla Camera. Esortando i legislatori ad approvare rapidamente la legge al Senato, in modo che il trasferimento delle armi possa avvenire rapidamente.

L'amministrazione Biden, archiviata questa pratica, non senza difficoltà e, di fatto, grazie all'aiuto dello speaker della Camera Mike Johnson, un Repubblicano, intende annunciare presto una nuova tranche di aiuti. Subito dopo l'entrata in vigore di questa legge, riferisce Reuters secondo quanto appreso da un funzionario della Casa Bianca, al fine di soddisfare le necessità, urgenti, dell'Ucraina. Queste lungaggini, figlie di una destra che di aiutare Kiev non voleva e non vorrebbe più saperne, sono costate parecchio a Kiev. «Gli aiuti arrivano in ogni caso troppo tardi, visto che la carenza di materiale ha fatto sì che l'Ucraina perdesse l'iniziativa nell'ottobre 2023» ha spiegato al riguardo Kateryna Stepanenko, analista presso l'Institute for the Study of War (ISW). Da ottobre, in effetti, l'Ucraina ha perso 583 chilometri quadrati di territorio a favore delle forze russe, in gran parte a causa della mancanza di artiglieria, secondo Stepanenko: la Russia, ha spiegato l'analista, ha sfruttato i ritardi per prepararsi.

Che cosa faranno gli altri Paesi?

Al di là del quadro complicato, l'esercito ucraino dovrebbe essere in grado di utilizzare le munizioni – in particolare i missili ATACMS, gli intercettori di difesa aerea e i proiettili d'artiglieria – «quasi immediatamente», per dirla con il viceammiraglio in pensione Robert Murrett dell'Institute for Security Policy and Law della Syracuse University. Zelensky non a caso aveva espressamente chiesto gli ATACMS, dei missili a lungo raggio che consentono all'Ucraina di colpire obiettivi come le postazioni di comando russe e i depositi di armi in Crimea.

Il presidente della Commissione Intelligence del Senato, Mark Warner, dal canto suo ha dichiarato domenica a Face the Nation della CBS che l'equipaggiamento militare, compresi gli ATACMS, dovrebbe essere «in transito entro la fine della settimana». L'Ucraina dovrebbe ricevere altresì nuovi missili per il sistema di difesa aerea Patriot, dimostratosi efficace contro gli attacchi di missili e droni. Riki Ellison, fondatore della Missile Defense Advocacy Alliance, ha detto a Reuters che i produttori di armi statunitensi hanno aumentato la produzione di missili per i sistemi di difesa Patriot per soddisfare la domanda e dovrebbero essere pronti a spedirli rapidamente.

Resta, concludendo, quel clima di incertezza di cui riferivamo in apertura di articolo. Una su tutte: che cosa succederebbe se, a novembre, Donald Trump vincesse la corsa alla Casa Bianca? Il tycoon, pur ammorbidendosi ultimamente, ha più volte espresso scetticismo rispetto agli aiuti all'Ucraina. La posizione dell'ex presidente, certo, ha influito e non poco alla posizione, definiamola oltranzista, dei Repubblicani più duri al Congresso. Questo pacchetto, tuttavia, potrebbe fungere da precedente importante. Per l'America, sì, ma anche per altri alleati di Kiev. «Se l'America è la prima ad aumentare le forniture, gli altri Paesi saranno molto più tranquilli nell'aumentarle a loro volta» ha dichiarato Jeffrey Pryce, avvocato internazionale e senior fellow presso l'Istituto di politica estera della Johns Hopkins School of Advanced International Studies.

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