Governo Meloni e la settimana (più) «corta» in Parlamento

Al momento è soltanto una ipotesi, ma è una di quelle ipotesi che suscita riflessioni. E ancora, però ormai sottotraccia, indignazione. Il governo di Giorgia Meloni – si apprende da Repubblica – vuole proporre la settimana «corta» ai deputati, da tempo penalizzati rispetto ai colleghi senatori che già ne usufruiscono.
Adesso il venerdì, spesso non sempre, alla Camera si svolgono le interpellanze con le visite di ministri e sottosegretari che rispondono ai quesiti dei deputati. Sempre non spesso, ministri e sottosegretari parlano a una sparuta rappresentanza di deputati, una sorta di delegazione ristretta e casuale. Allora il governo Meloni, probabilmente per dimostrare di essere improntato all’efficienza, propone di anticipare le interpellanze al giovedì pomeriggio e liberare il venerdì con vista sul fine settimana. I capigruppo e la presidenza della Camera, indecisi sul da farsi, pare che abbiano rinviato la questione a dopo l’estate (forse per non rovinarsi le ferie con la riformulazione del calendario o con polemiche che, se arse con la giusta indignazione, possono diventare incandescenti).
La settimana «lunga», se così osiamo definirla, una settimana che comunque va da martedì mattina a raramente venerdì mattina, fu introdotta da Gianfranco Fini, mentore di Giorgia Meloni e, soprattutto, presidente della Camera nella legislatura 2008-2013. A quel tempo, dopo la crisi economica del 2008, era forte il vento del populismo, il sentimento contro la casta, l’indignazione per i politici privilegiati e sfaticati. Fini stava per smarcarsi dalla stagione accanto a Silvio Berlusconi e non era indifferente agli umori degli italiani. Il palliativo non è servito a nulla, come facilmente prevedibile. Il Movimento Cinque Stelle, che ha esordito in Parlamento quando Fini ha lasciato la presidenza della Camera, è riuscito – come promesso – a ridurre il numero dei parlamentari, tagliando poltrone di deputati e senatori e portando Palazzo Montecitorio a 400 posti e Palazzo Madama a 200. Ironia del taglio, i costi per il funzionamento del Parlamento sono rimasti pressoché gli stessi e l’unico parametro realmente tagliato è il rapporto fra elettori ed eletti con intere provincie con pochi o zero onorevoli legati al territorio. Dunque la politica degli eletti, non certo unicamente per colpa della inutile riforma dei Cinque Stelle, è percepita ancora più distante dalle esigenze dei cittadini. La settimana «corta» per la Camera, più che indignazione, provoca rassegnazione, profonda tristezza, davvero tanta mestizia. Non per l’ennesimo favore che la politica si concede, ma per il collasso strutturale delle nostre istituzioni. Il Parlamento è degradato a un fastidio, un orpello, un luogo che ministri e sottosegretari frequentano con insofferenza, un ufficio di burocrati che timbrano leggi scritte altrove. Il centro della Repubblica – le Camere che danno la fiducia ai governi e che eleggono il capo dello Stato – è una periferia abbandonata. Ovvio che i signori deputati vogliano starci tre giorni anziché cinque. Coraggio, ragazzi. La nostra solidarietà.