L'indipendentismo

I legami fra Danimarca e Groenlandia: un'appartenenza millenaria minacciata dall'indipendentismo

Lo storico Carsten Juhl spiega le radici del legame fra Nuuk e Copenhagen: «Per molti danesi la grande isola fra parte un po' dell'epica della grande famiglia»
©Joana Kruse / Alamy Stock Photo
Dario Campione
03.02.2025 06:00

«La Groenlandia fa parte della storia danese e norvegese ormai da mille anni. I primi norreni vi giunsero attorno al 950, quando ancora le popolazioni inuit non c’erano. Sarebbero arrivati soltanto trecento anni dopo». Carsten Juhl, storico danese, già direttore del dipartimento di Teoria dell’Accademia Reale di Belle arti di Copenhagen, racconta al Corriere del Ticino il rapporto che lega i danesi alla più grande isola del mondo. Un rapporto complesso, difficile, che potrebbe pure interrompersi se i 60 mila abitanti della Groenlandia dicessero sì a un eventuale referendum sulla propria indipendenza.

«Dal 1979, la Groenlandia gode di autonomia politica interna e, da allora, gestisce da sola le proprie attività - scuole, ospedali - anche se con il sostegno finanziario di Copenaghen - spiega Juhl - Dal 2009 ha ottenuto anche autonomia verso l’esterno e, di fatto, rappresenta la Danimarca nel Consiglio artico, nel quale siede assieme a russi, norvegesi, canadesi, americani, svedesi».

Il sentimento dei danesi verso questa terra «lontanissima» non è univoco. «Per molti fa parte un po’ dell’epica della propria famiglia. Ci sono tantissimi giovani danesi che hanno lavorato in Groenlandia, io stesso ho tenuto corsi all’Università di Nuuk. In parecchi hanno anche sposato donne o uomini inuit, le famiglie “miste” sono numerose - dice Juhl - ma in verità è difficile affermare che tutti i danesi vedano la Groenlandia come parte della loro terra».

L’insistenza con cui Trump parla di acquisto e, persino, di annessione dell’isola agli Stati Uniti non sorprende Juhl. Com’è noto, Il primo presidente americano a tentare di comprare la Groenlandia era Henry Truman, il quale nel 1946 aveva offerto, inutilmente, 100 milioni di dollari oro.

«Tuttavia, all’epoca Truman ebbe via libera per insediare basi militari su cui vigeva la giurisdizione federale americana, con la pena di morte per i disertori. Insomma, né più né meno di quello che accadde a Guantanamo, nell’isola di Cuba. Adesso rimane attiva soltanto la base di Thule, ma sparse dappertutto in Groenlandia ci sono le rovine di altri sei grossi insediamenti, ciò che resta degli anni della guerra fredda».

Insomma, dice Juhl, gli Stati Uniti hanno già ottenuto in passato quello che chiedevano. «Oggi la questione è diversa e il quadro molto più caotico. Effettivamente, i groenlandesi vorrebbero essi stessi dialogare con l’amministrazione di Trump, anche se in realtà quasi nessuno vuole un’autonomia finanziata dall’esplorazione dei minerali o del petrolio, perché il pericolo di grossi inquinamenti è enorme. In Groenlandia, oggi, ci sono tre partiti. Quello più importante è di sinistra, e si chiama Inuit Ataqatigiit (IA), “partito per una comunità umana”. In Parlamento ha 12 deputati su 31 ed è alleato con i socialdemocratici di Simuit, i quali possono contare su 10 deputati. C’è poi un partito liberale, una volta molto importante, oggi molto meno, Naleraq, che ha 4 deputati. Nessuno di loro direbbe sì alle richieste di Trump di trivellare ovunque alla ricerca di terre rare o giacimenti di idrocarburi. In Groenlandia c’è una gigantesca attenzione all’ambiente, sia nella comunità inuit sia in quella danese. Tutti sanno che basta poco per scatenare una catastrofe naturale». Anche la proposta di Trump, conclude Juhl, «non è chiara. Vuole fare della Groenlandia uno Stato o concedere uno statuto intermedio tipo Portorico? E con quali prerogative? Gli inuit dell’Alaska hanno sconsigliato gli inuit groenlandesi di accettare l’offerta del presidente americano, dicendo loro che la politica dell’amministrazione USA non prenderebbe in considerazione le lingue dei popoli indigeni: sotto Washington non ci sarebbe una politica di protezione culturale ma soltanto una sottomissione».