Balcani

La guerra delle targhe e la battaglia per l'indipendenza del Kosovo

Dietro lo scontro in atto tra Belgrado e Pristina vi è il mancato rispetto dell’Accordo di Bruxelles che prevede l’obbligo per i serbi del Kosovo di accettare i documenti di identità e le targhe rilasciate dalle autorità kosovare
Soldati americani della Kfor pattugliano il valico di frontiera di Jarinje, lungo il confine tra Kosovo e Serbia. ©Copyright 2022 The Associated Press. All rights reserved
Antonela Riha
21.12.2022 06:00

Nel nord del Kosovo, a maggioranza serba, sono ancora in corso i blocchi, avviati lo scorso 10 dicembre, delle principali strade e dei valichi di frontiera con la Serbia. La protesta, appoggiata dalla Srpska Lista, il partito dei serbi del Kosovo sostenuto dal governo di Belgrado, è stata preceduta da una serie di esplosioni di granate stordenti a Mitrovica e da un attacco ad una pattuglia di polizia sul lago di Gazivode. A scatenare le proteste è stato l’arresto di un ex agente di polizia, Dejan Pantić, accusato dalle autorità di Pristina di aver partecipato alle irruzioni negli uffici della Commissione elettorale del Kosovo (verificatesi lo scorso 6 dicembre in alcune città del nord del paese a maggioranza serba). Una settimana dopo è stato arrestato un altro ex agente della polizia kosovara di nazionalità serba. L’atmosfera è diventata talmente tesa che il presidente serbo Aleksandar Vučić ha chiesto alla KFOR (forza militare internazionale guidata dalla NATO, responsabile di ristabilire l'ordine e la pace in Kosovo) di consentire il ritorno delle forze armate serbe in Kosovo.

L’acuirsi delle tensioni tra Belgrado e Pristina a cui si assiste ormai da settimane è legato alla decisione dei rappresentanti dei serbi del nord del Kosovo di abbandonare le istituzioni kosovare. Il motivo alla base di questa decisione, presa all’inizio di novembre, risiede nella riluttanza dei serbi che vivono nel Kosovo settentrionale a sostituire le targhe di immatricolazione rilasciate dalla Serbia con quelle kosovare. Il Governo del premier kosovaro Albin Kurti insiste sull’applicazione di quella parte dell’Accordo di Bruxelles, firmato nell’ambito dei negoziati tra Serbia e Kosovo mediati dall’UE, che prevede l’obbligo per i serbi del Kosovo di accettare i documenti di identità e le targhe rilasciate dalle autorità kosovare.

A differenza dei serbi del Kosovo centrale che ormai da anni usano i documenti kosovari, quelli che abitano nella parte settentrionale del Kosovo seguono le indicazioni di Belgrado, secondo cui accettare le targhe kosovare equivale a riconoscere l'indipendenza del Kosovo

A differenza dei serbi del Kosovo centrale, che ormai da anni utilizzano i documenti kosovari, i serbi che abitano nella parte settentrionale del Kosovo, nelle aree sotto il diretto controllo economico e politico di Belgrado, seguono le indicazioni del presidente Vučić. E il messaggio che arriva da Belgrado, nella forma in cui viene diffuso dai media di regime, è chiaro: accettare le targhe di immatricolazione kosovare equivale a riconoscere implicitamente l’indipendenza del Kosovo.

La crisi delle targhe è conseguenza del trascinarsi dei negoziati, avviati nel 2013 con la firma dell'Accordo di Bruxelles, finalizzati alla normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina. Il processo di normalizzazione da un lato prevede che gli organismi istituzionali su tutto il territorio del Kosovo, comprese le enclave serbe nel Kosovo centrale e le aree del nord del Paese a maggioranza serba, passino sotto la competenza delle autorità di Pristina. Dall’altro lato è prevista la creazione dell’Associazione delle municipalità serbe che dovrebbe garantire ai serbi del Kosovo un certo grado di autonomia. Pristina rifiuta di negoziare sulle modalità di attuazione della parte dell’accordo riguardante la creazione dell’Associazione delle municipalità serbe, motivo per cui Belgrado, complice l’inasprirsi della polemica sulle targhe, ha deciso di invitare, per voce della Srpska lista, i serbi ad abbandonare le istituzioni kosovare. Dopo le dimissioni di circa tremila rappresentanti politici e dipendenti pubblici appartenenti alla minoranza serba, le autorità di Pristina hanno indetto le elezioni anticipate nei comuni del nord per sostituire i sindaci che hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro la re-immatricolazione dei veicoli che prevede la sostituzione delle targhe serbe con quelle kosovare.

Qualche settimana fa le due parti, con la mediazione dell’UE, hanno raggiunto un compromesso: Belgrado sospenderà il rilascio di nuove targhe ai serbi del Kosovo, mentre Pristina non sanzionerà quelli che non hanno ancora proceduto alla sostituzione delle targhe serbe con quelle kosovare. Una decisione che però non ha contribuito a placare le tensioni. Al momento della stesura di questo articolo i blocchi stradali sono ancora in corso e si aspettano le prossime mosse delle due parti per capire come evolverà la situazione.

Nel frattempo Aleksandar Vučić continua a invocare la Risoluzione 1244 approvata dall’Onu nel 1999, all’indomani della fine dei bombardamenti NATO sull’allora Federazione di Jugoslavia e del ritiro delle forze serbe dal Kosovo. Un documento in cui si afferma, tra l’altro, che «dopo il ritiro, un numero concordato di personale jugoslavo e serbo sarà autorizzato a ritornare per svolgere le seguenti funzioni: collegamento con la missione civile internazionale e con le forze internazionali di sicurezza presenti sul territorio, individuare/bonificare i terreni minati, mantenere la presenza nei luoghi del patrimonio culturale serbo, mantenere la presenza nei principali valichi di frontiera».

Pur essendo il suo contenuto ormai anacronistico, sorpassato dagli eventi, la Risoluzione 1244 continua ad essere utilizzata da Belgrado per contestare l’indipendenza del Kosovo. Molti politici e persone pubbliche, senza entrare nei dettagli della risoluzione, spesso citano questo documento nelle loro esternazioni incendiarie, facendo eco al presidente Vučić, secondo cui la Serbia «non si arrenderà». All’inizio di novembre il ministero della Difesa serbo ha fatto sapere di aver abbattuto un drone commerciale, presumibilmente proveniente dal Kosovo, nelle immediate vicinanze di un presidio militare dell’esercito serbo a Raška. Dopo questo episodio il presidente Vučić ha ordinato alle forze armate serbe di innalzare il livello di allerta. Da quel momento in poi si assiste al continuo acuirsi della retorica bellicosa di Belgrado, culminata nell’idea di Vučić di chiedere alla NATO, ossia alla KFOR, di permettere il ritorno delle forze di sicurezza serbe in Kosovo.

«A giudicare da quanto abbiamo sentito, siamo quasi certi che la nostra richiesta non verrà esaudita», ha dichiarato Vučić. L’intera vicenda è stata sfruttata dal presidente serbo per mantenere alta la tensione in Serbia e in Kosovo e per alzare la posta in gioco in vista del prossimo round dei negoziati con Pristina. L’opinione pubblica serba è poco informata sull’effettivo contenuto del dialogo e sui possibili esiti dello scontro tra Belgrado e Pristina che si protrae ormai da decenni. Negli ultimi anni, ascoltando le affermazioni di diversi funzionari e soprattutto le interpretazioni avanzate dal presidente Vučić, siamo venuti a conoscenza di vari possibili scenari, da un possibile cambiamento dei confini allo scambio di territori tra Serbia e Kosovo, passando per una potenziale richiesta rivolta a Belgrado affinché riconosca esplicitamente l’indipendenza del Kosovo.

La recente proposta, avanzata dalla Francia e dalla Germania, pur non essendo stata mai ufficialmente pubblicata, è stata definita da Vučić «un documento dell’Unione europea» che ha «mandato su tutte le furie» Belgrado, ma nonostante tutto, come ha precisato il presidente, «dobbiamo dimostrare di essere disposti a dialogare». I media serbi hanno pubblicato varie versioni non ufficiali del documento in questione. Qualche giorno fa Radio Slobodna Evropaha riportato la notizia secondo cui la proposta franco-tedesca prevederebbe «uguali diritti per Serbia e Kosovo, il rispetto dell’integrità territoriale e l’inviolabilità dei confini, il riconoscimento dei simboli nazionali e uno status speciale per la minoranza serba in Kosovo».

Pur non essendovi alcuna menzione del riconoscimento reciproco dei due Paesi a livello internazionale né di un eventuale ingresso del Kosovo nell’ONU, sulla base della proposta franco-tedesca, sempre secondo quanto riportato da Radio Slobodna Evropa, la Serbia dovrebbe impegnarsi a non ostacolare l’adesione del Kosovo in qualsiasi organizzazione internazionale. Se dovesse concretizzarsi, tale intesa rappresenterebbe un passo in avanti rispetto all’Accordo di Bruxelles in cui viene menzionato solo il processo di adesione all’UE, specificando che «le due parti non potranno ostacolarsi a vicenda nel loro percorso di avvicinamento all’UE». Un primo passo verso qualsiasi accordo dovrebbe però essere la rimozione dei blocchi in Kosovo e dei motivi alla base di simili azioni.

*Antonela Riha è la corrispondente da Belgrado del think tank Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa con sede a Trento.