L'intervista

La stretta USA sul turismo passa dai social: «Pesa la competizione con la Cina»

Washington progetta un giro di vite sulle condizioni d'entrata: le attività degli ultimi 5 anni su Facebook, Instagram e altre piattaforme finiranno sotto la lente - Trivilini: «Confrontata al modello totalitario di Pechino, la raccolta dati tradizionale è obsoleta, ma così si rischia la deriva, una società della sorveglianza»
©Mark Lennihan
Giacomo Butti
13.12.2025 06:00

Washington è pronta a una stretta sulle condizioni d'entrata negli Stati Uniti. La proposta pubblicata mercoledì dall'agenzia doganale statunitense (CBP) prevede che ai turisti provenienti da Paesi beneficiari del sistema ESTA (e quindi anche agli svizzeri) sia domandato l'accesso a informazioni e dati aggiuntivi rispetto a quelli sinora richiesti nel formulario elettronico che garantisce una permanenza di 90 giorni senza visto. La cronologia delle attività social degli ultimi cinque anni, ad esempio, ma anche gli indirizzi e-mail utilizzati negli ultimi dieci anni dal richiedente, i suoi dati biometrici e informazioni dettagliate sui suoi familiari (da nome e data di nascita a telefono e indirizzo).

Il progetto, attualmente in fase di consultazione, non ha fatto l'unanimità nel Paese e all'estero, dove analisti e ong per i diritti umani hanno descritto il piano come una minaccia per i diritti digitali. Con Alessandro Trivilini, esperto di sicurezza e nuove tecnologie, abbiamo parlato di impronta digitale e responsabilità social.

Tra sorveglianza e diritti

«Si tratta di una grandissima operazione di deterrenza legalizzata. La raccolta dati sulle persone che vogliono entrare negli Stati Uniti c'è sempre stata e dall'attacco dell'11 settembre 2001 ha sempre più riguardato i contesti digitali con la motivazione della sicurezza nazionale», ci spiega subito Trivilini. Ora, però, siamo di fronte a un cambio di paradigma. «Nella nota con cui è stata comunicata questa proposta, non si esplicita la presenza di maggiori minacce alla sicurezza nazionale rispetto al passato». E questa assenza, secondo l'esperto, rappresenta un punto fondamentale. «Le modalità con cui è stato presentato il piano portano a un elevato rischio che i social network - nati e costruiti per essere piattaforme di pubblica comunicazione, di libero pensiero, senza provenienza o cultura - si trasformino in strumenti di repressione sociale, sui quali la raccolta dati non è finalizzata a rispondere a una minaccia di un istante preciso, ma si protrae nel tempo: 5 anni di social sotto la lente».

Perché, allora, proprio adesso questa mossa? «Siamo nell'epoca dell'intelligenza artificiale (IA, ndr), in cui quantità abnormi di dati possono essere usate per riconoscere comportamenti a rischio tramite sistemi di IA addestrati». Un salto qualitativo e quantitativo, sottolinea Trivilini, rispetto al controllo umano, che certo non può tenere passo in termini di massa di dati sottoposta a sorveglianza o di tempo impiegato.

«Questo annuncio è arrivato ora perché l'infrastruttura e pronta e la competizione è chiara», continua l'esperto. La stretta va letta in un contesto geopolitico, quello attuale, dove la tecnologia è fattore dominante e la competizione fra Stati Uniti e Cina sempre più serrata: «Pechino da tempo utilizza un'applicazione di Stato, WeChat, per controllare le persone in un sistema di sorveglianza che premia o penalizza in base al comportamento. Gli Stati Uniti ora hanno un problema di consenso nel quale raccogliere informazioni su attività, comportamenti, gusti, critiche è ancora più rilevante. E se il metro di confronto è il modello cinese totalitario, Washington non può più utilizzare i metodi tradizionali di raccolta dati, obsoleti e non adeguati alla velocità, al ritmo e all'accuratezza del sistema cinese. Ecco, dunque, il perché del progetto americano, la cui deriva è una società della sorveglianza nella quale i diritti conquistati su principi di libertà rischiano davvero di essere compromessi».

Le tracce restano

Sì, tutte queste informazioni vengono prelevate previo consenso. Ma vien da chiedersi che valore abbia, quest'ultimo, nel contesto attuale. Siamo, inevitabilmente, vittime di un quadro geopolitico che spinge verso la limitazione di privacy e diritti? «Il valore del nostro consenso si basa sulle relazioni che esistono tra le leggi sulla protezione dei dati europea (e Svizzera), americana e cinese. Tutte, per ragioni di conformità, hanno in comune la definizione di "dato personale". Dare il proprio consenso alla trasmissione di dati permette a questi di scorrere in una direzione, più difficilmente nell'altra». Le informazioni che noi forniamo a social e app, una volta raccolte, viaggiano insomma con facilità e molto lontano, ma farle tornare in nostro possesso è tutto un altro discorso. «Prendiamo la Cina. Se per qualsiasi ragione volessi sapere su quali server sono stati depositati, per quanto tempo e per quali ragioni, i dati da me concessi con l'uso dell’app cinese TikTok, molto difficilmente riceverei una risposta o una garanzia sul diritto all'oblio o sull'eliminazione dei dati. Regole e leggi esistono, ma utilizzarle è difficile quando sono gestite in modo verticale e unidirezionale. Similmente, con il recente alleggerimento del privacy shield europeo, aziende statunitensi selezionate possono trasferire dati di cittadini UE (e svizzeri) negli Stati Uniti». Un passo che rende più difficile mantenerne il controllo. «Serve consapevolezza», sottolinea Trivilini. «Disconnettersi da queste piattaforme è un lusso che non tutti possono permettersi oggi, anche e soprattutto per ragioni professionali». Ma pure cancellando il proprio account, la traccia resta. «Ciò che abbiamo fatto sui social è scritto a penna, non in matita. Gli algoritmi che gestiranno la sorveglianza potranno vedere tutto quanto pubblicato anni fa, in altri contesti e quando eravamo persone diverse».

L'istinto, soprattutto se si progettano viaggi a breve negli Stati Uniti, è allora dare un'occhiata alle pubblicazioni passate sui propri account Facebook, Instagram e simili: c'è qualcosa che possa irritare l'amministrazione Trump, o qualsiasi altro potere che possa un giorno chiedercene conto? «Andare indietro non ha senso: eliminare i propri commenti o post può addirittura essere controproducente, perché anche la cancellazione - che lascia una traccia e non è permanente per chi controlla la piattaforma - rappresenterebbe un'aggravante».

Responsabilità individuale

Trivilini, tuttavia, invita a vedere il bicchiere mezzo pieno. «Utilizzare determinate applicazioni rimane una questione di scelta, non di fatti compiuti: ogni persona può continuare a decidere in modo individuale, e questo è un fatto estremamente positivo». Ma servono responsabilità e competenza: «Bisogna leggere, informarsi e porsi domande nel download e nell'utilizzo di applicazioni: da dove vengono? Dove hanno i server? Collaborano con terze parti? Questa è un'opportunità che sta fuori dal sistema totalitario e che non va sottovalutata: riporta ai principi di democrazia partecipativa ed è fondamentale: non dobbiamo perderla».