L'intervista

«Su Gaza la Svizzera è rimasta indietro: è ora di pensare a sanzioni per Israele»

La ritrosia del consigliere federale Ignazio Cassis nel richiamare Israele al rispetto dei propri obblighi umanitari sta causando spaccature all'interno dello stesso DFAE – La Svizzera sta gettando al vento la sua fama di "custode" del diritto umanitario? Lo abbiamo chiesto a Marco Sassòli, professore onorario all’Università di Ginevra, esperto di diritto internazionale
©Jehad Alshrafi
Giacomo Butti
07.06.2025 18:17

Gaza, Israele, Svizzera. Critica dopo critica, lettera dopo lettera, le pressioni sul «ministro» degli Esteri Ignazio Cassis si stanno facendo sempre più pesanti, dopo il rifiuto del consigliere federale, in due interviste rilasciate martedì a RTS e RSI, di andare oltre l'equidistanza nel condannare le stragi di civili palestinesi avvenute durante la distribuzione degli aiuti a Gaza. «Condanno qualsiasi violazione del diritto internazionale, sia da parte di Hamas che di Israele». Una ritrosia nel richiamare Israele al rispetto dei propri obblighi, questa, che ha causato una spaccatura nello stesso Dipartimento federale degli affari esteri. Una lettera interna al DFAE, firmata da circa 250 persone, è stata diretta a Cassis, riporta la RTS. La richiesta: una posizione più ferma nei confronti delle «operazioni indiscriminate e sproporzionate» di Tel Aviv.

A Berna, insomma, è caos. La Svizzera sta gettando al vento la sua fama di "custode" del diritto umanitario? Lo abbiamo chiesto a Marco Sassòli, professore onorario all’Università di Ginevra, esperto di diritto internazionale. 

Cibo e diritto umanitario

A Gaza non c'è più spazio per doppie interpretazioni. «L'anno scorso la situazione era differente», ci spiega Sassòli. Il nocciolo della questione, allora, stava nella proporzionalità dei raid di Tel Aviv, «bombardamenti che Israele affermava fossero diretti a obiettivi militari, i combattenti di Hamas». E che aveva solamente come vittime incidentali, secondo la narrazione del governo israeliano, i civili palestinesi. Ma a ciò, sottolinea Sassòli, si è aggiunto negli ultimi mesi lo stop totale agli aiuti umanitari, «una politica per affamare la popolazione». E il cui impatto sproporzionato sui civili è diventato, a detta anche di molti analisi e funzionari svizzeri, innegabile. Dal 2 marzo al 19 maggio, nessun camion è entrato nella Striscia. Poi, per qualche giorno, gli aiuti hanno ripreso a fluire tramite i canali delle organizzazioni umanitarie internazionali, prima che la gestione passasse nelle mani della tanto criticata Gaza Humanitarian Foundation (GHF). «Una organizzazione totalmente incapace di sostenere lo sforzo di distribuzione degli aiuti e che, al contrario, mette in pericolo le persone disperate che cercano di raggiungere gli hub per ottenere cibo e medicinali». Proprio ai pochi portali aperti dalla GHF nel sud della Striscia sono avvenuti, secondo le testimonianze raccolte dai media internazionali, i massacri di palestinesi per mano dell'IDF. Una responsabilità ammessa, almeno in un caso, dalle stesse forze israeliane, che hanno fatto sapere di aver sparato su un gruppo «sospetto» diretto al centro di distribuzione umanitario.

Nelle sue reazioni su tutto il tema, ci spiega Sassòli, la Svizzera è in ritardo. «Peggio ancora», tuttavia, «quanto avvenuto in Parlamento: la sola organizzazione che può distribuire efficacemente a due milioni di persone aiuti è l'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, l'UNRWA. E il Parlamento svizzero ha deciso, settimane fa, che questa non potrà utilizzare a Gaza i fondi elvetici. È vero», continua l'esperto, «che alcuni impiegati dell'UNRWA hanno partecipato al massacro del 7 ottobre 2023 (un'indagine ONU parla di nove impiegati che "potrebbero essere implicati" su 13 mila, ndr), ma bloccare i fondi all'intera organizzazione è chiaramente una punizione collettiva».

Sulla Gaza Humanitarian Foundation, organizzazione privata americana sostenuta da Israele, vale la pena fare una riflessione. «Se, come accettato dalla maggior parte degli attori internazionali, definiamo Israele come potenza occupante a Gaza, allora Tel Aviv ha l'obbligo non solo di lasciar passare l'assistenza per i palestinesi della Striscia, ma addirittura di fornirla. Contrariamente a ciò che si legge spesso negli ultimi tempi, la distribuzione di aiuti da parte di una potenza nei territori da lei occupati non deve per forza avvenire tramite organizzazioni indipendenti, ma deve, certamente, essere efficace e seguire le regole del diritto umanitario internazionale: gli aiuti devono andare a tutti i civili senza che essi corrano dei rischi, come invece è successo con la GHF».

«Israele, tuttavia, non si considera potenza occupante: una tesi che può avere una certa credibilità se applicata ai territori controllati da Hamas. Ma in tal caso, Israele deve permettere il passaggio dell'assistenza che, come esplicitamente sottolineato dall'articolo 59 della quarta Convenzione di Ginevra, deve avvenire tramite organizzazioni umanitarie imparziali come UNRWA o Croce Rossa. Il che squalificherebbe, nuovamente, la GHF». Israele, specifica Sassòli, da parte sua può esigere un controllo con il quale impedire che gli aiuti siano dati a Hamas e ai suoi combattenti. Le organizzazioni umanitarie, pur sforzandosi, non possono garantirlo al 100%, ma è sproporzionato affamare due milioni di persone per impedire a qualche decina di migliaia di combattenti di Hamas (prima della guerra erano stimati fra i 20 e i 30 mila, ndr) di accedere al cibo».

La reputazione della Confederazione

Considerata la sede legale a Ginevra della GHF, la Svizzera – tramite il Dipartimento federale dell'interno (DFI) – è tenuta a vegliare che la fondazione rispetti i criteri per essere definita tale. A tal proposito, rispondendo alle questioni sollevate in una lettera aperta da parte di 55 ex diplomatici confederati, il DFAE ha fatto sapere che è in corso un riesame dello status giuridico del ramo svizzero della GHF, considerato attualmente «inattivo e non conforme» ai requisiti legali elvetici.

«Certo è che la Svizzera, secondo l'articolo 1 comune a tutte e quattro le Convenzioni di Ginevra, è tenuto, in qualità di Stato parte, non solo a rispettare il diritto umanitario, ma anche a farlo rispettare». Secondo Sassòli, quanto emerso dalla seduta del 28 maggio del Consiglio federale – la richiesta di un accesso umanitario illimitato e un immediato cessate il fuoco – «rappresenta una buona presa di posizione da parte di Berna, che non poteva più stare in silenzio, ma ora servono anche azioni».

Altri Stati europei, anche fra gli stretti alleati di Israele, «minacciano sanzioni contro Tel Aviv, il che è giustificato in una tale situazione. La Svizzera, al contrario, sanziona l'UNRWA». Come depositario delle Convenzioni di Ginevra, il nostro Paese ricopre un ruolo di "notaio", ci spiega Sassòli. «Non ha una responsabilità giuridica sul rispetto dei trattati, ma politicamente si è sempre data da fare per organizzare riunioni e incontri diplomatici. Al contrario, recentemente, Berna ha rifiutato di ospitare un vertice sulla situazione nei territori palestinesi occupati, proposto dall'Assemblea generale ONU, per "mancanza di un consenso sufficiente"».

«L'obbligo della Svizzera», continua l'esperto, «è quello di tutti gli Stati: mettere fine a questa situazione veramente tragica e inaccettabile». Agendo, d'accordo, ma come? Riconoscendo lo Stato palestinese? «Sarebbe un passo simbolicamente importante. Ma l'Autorità nazionale palestinese non ha alcun controllo su Gaza». Per risultati più rapidi, suggerisce Sassòli, si potrebbe passare dalle sanzioni. «Lo ha sottolineato la Corte internazionale di giustizia nel suo parere consultivo: vista l'annessione de facto della Cisgiordania, ogni Stato avrebbe l'obbligo di "non contribuire e non riconoscere come legale una situazione illegale". Evitando, ad esempio, «il commercio di prodotti provenienti da queste colonie, prodotti che in alcuni mercati europei sono già proibiti». Oppure, ipotizza Sassòli, la Svizzera potrebbe prevedere sanzioni contro i coloni israeliani che nella West Bank si macchiano di violenze contro i palestinesi, come già fatto da altri Paesi, e non solo loro: «Si potrebbe anche immaginare una misura generale contro i coloni israeliani, considerato che il loro status è illegale ai sensi del diritto internazionale. Se molti Stati occidentali applicassero anche solo queste sanzioni – "leggere", perché andrebbero a colpire direttamente le illegalità registrate in Cisgiordania, e non l'intero popolo israeliano, come fatto nel caso delle sanzioni contro la Russia – sono convinto che tanti a Tel Aviv cambierebbero opinione sul governo Netanyahu, che al momento rischia di isolare sempre più Israele».

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