Il punto

Vladimir Putin sta perdendo la «guerra» dell'intelligenza artificiale?

Nonostante le ambizioni del Cremlino, l'invasione dell'Ucraina e le conseguenti sanzioni hanno frenato, e non poco, la corsa di Mosca per dominare il settore
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Marcello Pelizzari
15.11.2023 11:30

La Russia è in ritardo. Nonostante Vladimir Putin, anni fa, avesse lasciato intendere che la Russia avrebbe dominato il campo. Parliamo di intelligenza artificiale e degli sforzi, sin qui, vani da parte di Mosca per dominare il settore. Sforzi sostenuti grazie a investimenti importanti. Tramite bilancio federale e, parallelamente, conglomerati statali. L'isolamento internazionale, sempre più marcato dopo l'invasione dell'Ucraina nel febbraio del 2022, e problemi strutturali – tuttavia – hanno frenato le ambizioni della Federazione. Tant'è che, ora, le possibilità che i russi assumano un ruolo guida a livello di AI sono considerate scarse, se non minime. 

Il ruolo dei social

Le ragioni di questo ritardo sono al tempo stesso storiche e strutturali. Storiche perché, in un certo senso, Mosca da anni è impegnata in una lotta senza quartiere ai social occidentali. Piattaforme ritenute nemiche del Cremlino e, al contempo, considerate l'humus ideale per alimentare – citiamo direttamente Putin – «colpi di Stato provocati e finanziati dall'esterno». Agli occhi del presidente, le proteste di piazza fra il 2011 e il 2013 – note come Rivoluzione bianca – erano legate a doppio filo a una guerra dell'informazione su larga scala scatenata dall'Occidente. Nel 2009, invece, le proteste organizzate via Twitter impedirono al Partito dei Comunisti della Moldavia, filo-russo, di ottenere la maggioranza in Parlamento alle elezioni di luglio. Un primo, duro colpo per il Cremlino. Strutturali perché, riprendendo il discorso, Mosca ha raddoppiato se non triplicato i suoi sforzi, anno dopo anno, per controllare lo spazio dell'informazione e assicurare il potere. Perdendo, di riflesso, il treno degli investimenti stranieri nel settore tecnologico. Intelligenza artificiale compresa, evidentemente.

Gli investitori stranieri, in particolare, hanno cominciato a spaventarsi e a innervosirsi nel 2014, quando la Russia ha annesso illegalmente la Crimea e sostenuto i separatisti del Donbass. Ciononostante, o forse proprio per riaffermare con un misto di ottimismo e sciovinismo che il Paese avrebbe potuto affrontare questa sfida da solo, il Cremlino nel 2019 aveva pubblicato una vera e propria strategia nazionale per l'intelligenza artificiale. Stanziando 66 miliardi di rubli, poco più di un miliardo di dollari, di investimenti federali per creare reti di ricerca e collaborare con i colossi tecnologici nazionali.

La questione del russo

I progressi compiuti, per contro, hanno conosciuto una brusca frenata quando Vladimir Putin ha varato la cosiddetta operazione militare speciale nel febbraio del 2022. Quando, cioè, ha deciso di invadere l'Ucraina su larga scala. Molte delle aziende occidentali nel settore tecnologico attive sul territorio della Federazione, come NDVIDIA, i cui microchip sono considerati fondamentali per l'elaborazione avanzata, hanno smesso di operare o vendere i propri prodotti alla Russia. Non solo, fra i cittadini del Paese scappati, proprio per colpa della guerra, c'erano anche molti ingegneri informatici mentre le sanzioni occidentali hanno limitato l'accesso russo ai capitali esteri. Quelli, per intenderci, che hanno sostenuto la crescita statunitense nel settore. 

Ironia della sorte, ma nemmeno troppo, nel novembre del 2022 OpenAI, start-up americana, ha rilasciato ChatGPT-3. La prima, solida versione del suo chatbot. Dall'altra parte del mondo, in Russia, il settore dell'intelligenza artificiale stava ancora raccogliendo i cocci dopo il caos generatosi a causa dell'invasione dell'Ucraina. 

ChatGPT, nei corridoi del Cremlino, ha rappresentato un vero e proprio shock. Se Mosca considerava i social un nemico del Paese, d'altro canto, che cosa avrebbe dovuto pensare di un chatbot capace di conversare come un essere umano? Soprattutto, quali risposte avrebbe fornito sulla Russia, essendo stato allenato – passateci il termine – all'occidentale? La Federazione, di conseguenza, ha subito vietato ChatGPT. Temendo, come ha sottolineato Ben Dubow, ricercatore non residente presso il Center for European Policy Analysis, che modelli addestrati sfruttando materiale in lingua inglese interpretassero il mondo e le richieste degli utenti allo stesso modo di chi, umano, è cresciuto consumando media in lingua inglese. Rovesciando la questione, sebbene il russo sia la seconda-terza lingua più comune in termini di dati online, rappresenta appena il 5% del totale. Significa che un chatbot addestrato unicamente su dati russi, in lingua russa, non sarà mai completo come uno «cresciuto» a pane e inglese. E questo divario è destinato ad aumentare, ora. 

I parametri

La Russia, dicevamo, è in ritardo. Ha sviluppato, in questi ultimi mesi-anni, diversi chatbot. Citiamo i principali: YaChat di Yandex e GigaChat di Sberbank. Quest'ultimo è alimentato da 18 miliardi di parametri. Per parametri si intendono le relazioni tra i testi o, volendo fare un'analogia con il nostro cervello, le connessioni neurali. Un dato che, letto così, sembrerebbe interessante. Non proprio, visto che ChatGPT-4 può contare su 1,76 trilioni di parametri mentre ChatGPT-3 ne aveva 175 miliardi quando è stato pubblicato. 

Gli stessi esperti russi preferiscono il rivale americano, sebbene GigaChat – nelle conversazioni lunghe in russo – sembrerebbe più addestrato. È chiaro che, come per ChatGPT, anche i chatbot russi miglioreranno. Ma qui entrano in gioco, di nuovo, le sanzioni. La carenza di chip, infatti, è paralizzante e limita fortemente la quantità di potenza di calcolo disponibile in Russia. 

Il governo russo, di suo, ha peggiorato ulteriormente la situazione limitando, e fortemente, l'accesso alla rete e alle informazioni. Quantomeno a quelle sfavorevoli allo Stato. L'obiettivo? Eliminare tutto ciò che potrebbe produrre una risposta politicamente complicata da gestire per il Cremlino. Sia YaChat sia GigaChat, ad esempio, non rispondono a domande puntuali sull'operazione militare speciale in Ucraina ma non rispondono neppure a domande più generiche, legate allo sviluppo dell'IA in Russia. 

Gli effetti dell'invasione

Le prospettive, concludendo, sono quelle che sono. Secondo l'Università di Stanford, che ha stilato una speciale classifica, la Russia nello sviluppo dell'AI è appena sopra la Danimarca e al di sotto della Norvegia. Due Paesi la cui popolazione, combinata, è inferiore a quella di Mosca. La guerra in Ucraina ha allontanato i talenti dal Paese, si è tradotta in una lunga, lunghissima lista di sanzioni che hanno toccato e toccano a oggi il settore tecnologico e, infine, provocato una carenza di hardware necessario. Di più, il Paese di fatto ha pure approvato leggi che ostacolano l'intelligenza artificiale generativa e il suo sviluppo. Di qui, il ritardo di cui parlavamo in apertura.

La guerra in Ucraina, dunque, non solo ha provocato il compattamento dell'Occidente e l'allargamento dei confini della NATO, con l'ingresso di Finlandia e Svezia, effetti che Putin si augurava di evitare proprio invadendo Kiev, ma ha provocato un forte, fortissimo rallentamento della Russia sul fronte dell'intelligenza artificiale. Difficile dominare il campo, questo campo, con gli strumenti attualmente a disposizione del Cremlino.