Nei siti religiosi ticinesi pochi i riferimenti a radicalismi ed estremismi

Adriano Fabris, ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa, dove insegna anche Etica della comunicazione, è il direttore dell’Istituto di ricerca Religioni e Teologia (ReTe) della Facoltà di Teologia affiliata all’USI di Lugano. ReTe è l’organismo accademico che ha condotto materialmente il progetto di studio sull’infosfera religiosa del Canton Ticino. «Un’indagine - ha detto Fabris in conferenza stampa - realizzata all’interno di una Facoltà che ha la missione di occuparsi dell’esperienza religiosa e, proprio attraverso ReTe, anche del dialogo tra religioni».
Tre sono i «punti essenziali» individuati da Fabris e relativi alla ricerca.
Il primo, «collegato forse alla struttura stessa dei social media e all’effetto chiusura che li caratterizza, è l’autorefenzialità dei siti e dei profili osservati. L’assenza di interazioni tra piattaforme rilancia, a mio avviso la necessità di aprire il tavolo interreligioso cantonale, magari online», ha detto Fabris.
Il secondo riguarda la scarsissima attenzione data all’attualità. «I riferimenti a fatti ed eventi di interesse generale sono rari e non sono commentati - ha osservato il direttore di ReTe - allo stesso modo, sono pochi i giudizi su eventi sensibili o controversi. Emerge quindi un quadro in cui le varie comunità religiose, sia quelle tradizionali sia quelle nuove, concentrano su di sé l’attenzione e mostrano un relativo disinteresse verso ciò che avviene nel mondo. L’indice di interazione resta basso, fatto salvo per alcune pagine riferite all’islam e alla Chiesa ortodossa».
Il terzo punto è «il massiccio uso delle immagini. La lingua utilizzata è spesso una lingua iconica, anche per gli islamici. Un elemento, quest’ultimo, su cui riflettere», ha evidenziato Fabris. Così come invita a ragionare anche il radicale cambiamento introdotto dall’intelligenza artificiale che, ha sostenuto il direttore di ReTe, «sta probabilmente cambiando l’esperienza religiosa, e ci invita a ulteriori ricerche e monitoraggi». Infatti, la «promozione della conoscenza delle religioni e del dialogo interreligioso, anche sul territorio ticinese», aiuterebbe, ha sottolineato ancora Fabris, a «riflettere sulle trasformazioni delle modalità di comprensione del mondo, di ricerca del senso della vita».
C’è poi la questione, rimasta sottotraccia, del radicalismo e dell’estremismo religiosi. Dai dati, ha spiegato il direttore di ReTe, «emergono risposte a due facce. Da una parte, sicuramente, c’è trasparenza. Non c’è la scatola nera. Il dibattito online si svolge quasi sempre in italiano, e tutto è espresso in maniera chiara; dall’altra parte, va detto che i riferimenti all’attualità e ad argomenti sensibili sono comunque presenti, pure se non in modo ampio e diffuso: parliamo dell’1,8% del totale. Chi usa i social religiosi non sembra essere interessato a commentare in quella sede determinate questioni. Potrebbe, tuttavia, avere altri luoghi dove farlo».
In questo senso, il monitoraggio «di siti e profili, prima non c’era, è un fatto importante», ha evidenziato Fabris. E non a caso, la ricerca sull’infosfera religiosa ticinese è stata finanziata anche dalla Rete integrata Svizzera per la sicurezza, il cui delegato, Martin von Muralt, era oggi presente alla conferenza stampa. «Lavoriamo per l’integrazione sociale e combattiamo la radicalizzazione e l’estremismo - ha detto von Muralt - la prevenzione, in questo senso, è prioritaria: la repressione non basta. Di qui l’importanza dello studio, che aiuta a comprendere meglio le dinamiche della polarizzazione sociale».
L’ultima riflessione di Fabris è stata sulla Chiesa cattolica, «pionieristica 25 anni fa sul tema dell’esperienza religiosa in Internet» e poi apparentemente meno interessata. Negli ultimi due anni, «Francesco è tornati alle tematiche della comunicazione online soprattutto in riferimento all’IA, un dato interessante e un’occasione di nuovi studi».