Nel 2025 meno uragani, ma più violenti

Meno uragani, ma più intensi: così si presenta nel 2025 la stagione di questo particolare fenomeno atmosferico. In base alle statistiche, quest'anno si sono formate tredici tempeste con un'intensità sufficiente a spingere la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense ad attribuire loro un nome. Cifre, queste, sensibilmente più basse rispetto a quelle della media climatica stabilita nel periodo 1991-2020. Di che tirare un sospiro di sollievo? Non proprio. Come spiega alla Tribune de Genève Ulrike Lohmann, climatologo all'Istituto dell'atmosfera e del clima del Politecnico federale di Zurigo, «ci sono state sicuramente meno tempeste rispetto al solito, ma la proporzione di uragani molto potenti è stata eccezionalmente elevata». In effetti, quattro delle cinque tempeste che hanno raggiunto lo stadio di «uragano» secondo la scala Saffir-Simpson sono diventati «uragani maggiori». Con questa terminologia sono classificati quei fenomeni metereologici che generano venti in media di almeno 178 km/h. Tre di queste tempeste, poi, hanno raggiunto addirittura la categoria 5 della scala Saffir-Simpson, ovvero il livello più alto in cui i venti superano i 252 km/h. Si tratta degli uragani Erin, Humberto e Melissa.
Insomma, a determinare se una stagione di uragani sia mite o meno non è tanto il numero di fenomeni atmosferici quanto piuttosto la loro intensità e la loro durata. Proprio per misurare questi fattori, gli scienziati della NOAA hanno ideato uno speciale indice: l'Accumulated cyclone energy (ACE), che in italiano si può tradurre con «energia ciclonica accumulata». Questo indice registra e somma la forza e la durata dei cicloni tropicali nel corso di una stagione. Il valore medio di referenza, calcolato sul periodo 1991-2020, è di 122 per una stagione completa. Ora, nel 2025 questo valore si è fissato a 133, «un dato chiaramente sopra la media» spiega sempre al foglio ginevrino Matt Lanza, meteorologo statunitense basato a Houston ed esperto di uragani.
A contribuire in maniera significativa al dato ACE del 2025 sono stati proprio Erin, Humberto e Melissa. «L'uragano Melissa da solo ha prodotto un valore ACE di 35», osserva Lanza.
Il meteorologo basato a Houston ritiene che quanto successo quest'anno possa essere considerato un modello di ciò che bisognerà attendersi negli anni a venire nell'Atlantico a causa del riscaldamento climatico.
«Di doman non c'è certezza» diceva Lorenzo de' Medici. E a confermarlo è lo stesso Lanza secondo cui è difficile stabilire previsioni affidabili per il futuro basandosi solamente su una singola stagione di uragani. Detto ciò, numerosi climatologi ritengono che l'aumento globale delle temperature dovrebbe portare alla formazione di stagioni simili a quella del 2025.
La temperatura superficiale dell'acqua nell'Atlantico gioca un ruolo cruciale nella formazione di tempeste tropicali e uragani. L'acqua deve raggiungere almeno 26° C fino a una profondità di circa 50 metri. Questa condizione garantisce calore e umidità sufficienti affinché i temporali al largo delle coste dell'Africa occidentale si trasformino in sistemi di tempesta, si intensifichino e si spostino verso ovest. È in questo contesto che interviene il riscaldamento climatico: un'atmosfera più calda conduce inevitabilmente a temperature più alte negli oceani. Il risultato? Non per forza più cicloni, ma tempeste potenzialmente più violente.
