Locarno76

«Non mi piace imitare, preferisco creare da zero»

L'intervista a Lambert Wilson, presidente della Giuria al Festival del Film
© Locarno Film Festival / Ti-Press
Antonio Mariotti
10.08.2023 06:00

Ha compiuto 65 anni lo scorso 3 agosto, mentre aveva da poco iniziato il suo percorso da Presidente della giuria ufficiale di Locarno 76 che si concluderà sabato sera con l’annuncio del palmarès. Il percorso artistico dell’attore francese Lambert Wilson è però ben più ampio e variegato. Tra cinema e teatro, tra Hollywood (ha debuttato nel 1977 con Fred Zinnemann ed ha interpretato il personaggio del Merovingio nei film Matrix) e l’Europa, Wilson è anche protagonista di un film passato fuori concorso al Festival.

Partiamo da 5 Hectares, il nuovo nuovo film di Emilie Deleuze di cui lei è protagonista, È un film divertente e serio allo stesso tempo, come il suo personaggio: Frank. Sono questi i ruoli che predilige?
«Il direttore artistico Giona Nazzaro ha utilizzato un’espressione nel presentare il film che è piaciuta anche alla regista. Ha detto che è un film politico. Ed è vero, non si tratta solo di una commedia: da una parte c’è una descrizione piuttosto realistica del mondo contadino che contrasta con il paternalismo nei suoi confronti del cittadino che parte da idee preconcette. Dal punto di vista sociologico, c’è poi da dire che gli uomini, a differenza delle donne, diventano pazzi quando hanno accesso alla terra. E iniziano ad essere ossessionati dalle macchine, tornano all’infanzia, quando giocavano con i trattori e i camion giocattolo. Del resto la storia del film si ispira a quella di un conoscente della regista che è entrato in guerra con il vicino e ha sviluppato questa ossessione per possedere un trattore tutto suo. 5 Hectares è quindi anche la descrizione di un processo psicologico maschile osservato dalle donne con divertito stupore. È quindi anche un film dai toni gravi».

Nel quale si assiste anche a uno scontro fra culture?
«Certo, è uno scontro che conosco bene perché io stesso vivo in campagna. Del resto si tratta di una minaccia reale di scontro, poiché il sistema francese protegge in misura totale gli allevatori: basta che una delle loro mucche o delle loro pecore pascoli per due anni di seguito sul terreno di qualcun altro per accaparrarsi quello che si chiama un diritto abitudinario. Un concetto medievale rafforzato dalla Rivoluzione francese per lottare contro i privilegi dell’aristocrazia. È una situazione retta da regole arcaiche alle quali non siamo più abituati nel mondo di oggi».

E il suo personaggio in tutto ciò?
«Mi piace il fatto che Frank sia uno scienziato che pensa di poter risolvere qualsiasi problema grazie a un’analisi razionale e non un rapporto umano. Per Frank un vicino è come uno dei piccolissimi pesci che studia in laboratorio: vorrebbe sezionarlo per estirpargli il sistema nervoso. È un modo di ragionare che non mi appartiene ma che porta il mio personaggio a uno stadio di pura follia, e ciò mi piace molto. Il regalo più bello di un ruolo simile sono le tantissime situazioni diverse da interpretare: l’idiozia, il romanticismo, l’esaltazione. Come quando carica la polizia con il suo trattore, come Don Chisciotte contro i mulini a vento».

Nel corso della sua lunga carriera ha interpretato anche diversi personaggi storici, come l’Abbé Pierre, il generale De Gaulle o il comandante Cousteau: in questi casi la sua esperienza d’attore è diversa?
«Sì, alla scuola di teatro che ho frequentato in Inghilterra ci hanno insegnato a scegliere un modello per ogni personaggio, un’immagine molto chiara. Anche nel caso di personaggi di fantasia, come quelli dei drammi di Shakespeare, ci incitavano ad andare nei musei per “assorbire” dei volti. Quindi, quando il personaggio è conosciuto e l’iconografia è potente – soprattutto quella più recente – il nostro compito è più facile perché il modello è più facile da individuare. Dar vita a un personaggio nato dalla fantasia di un autore è più difficile perché bisogna trovare il modello più adatto, il suo volto, il suo corpo, il suo modo di camminare. Imitare non è la mia specialità, né trovo sia una grande arte, preferisco la creazione a partire da zero».

Quanto è importante la rassomiglianza fisica in questi casi?
«Non è l’aspetto che mi ossessiona di più. La rassomiglianza non è tutto: l’importante è ciò che si recita. La vera trasformazione è interiore, significa individuare la vibrazione di un personaggio e saperla trasmettere al pubblico, anche senza un filo di trucco. E il mio modello in questo senso, è una donna: Meryl Streep. Mi piacerebbe un giorno essere alla sua altezza».

E il regista, come può aiutare l’attore a definire il suo personaggio?
«I grandi registi che hanno segnato il mio lavoro, come Alain Resnais, parlano molto poco. Non bisogna prendere i registi per dei professori, non hanno il tempo per farlo e quindi gli attori devono possedere il loro metodo per risolvere i loro problemi. Il regista mi ha scelto, dopo di che deve darmi fiducia e al massimo dirmi di fare un po’ di più o un po’ di meno. Soprattutto di meno, perché gli attori hanno sempre tendenza a fare troppo, per piacere al regista in primo luogo e poi al pubblico. Ho imparato questa regola grazie a mio padre (George Wilson, regista di teatro e di cinema, ndr.) che mi ha diretto tre volte ed è stato il primo a chiedermi di fare di meno perché mi conosceva alla perfezione anche nella vita privata. Il cinema rimane un mistero: cosa ci porta a guardare su un grande schermo un animale, un bambino o un attore dilettante che ci affascinano senza saperlo, mentre l’attore vuole esistere, vuole fare qualcosa a tutti i costi. E questo è il pericolo maggiore per lui e per il regista».

È a Locarno come presidente della Giuria: un ruolo importante?
«Avevo paura nel venire qui perché oggi i festival cinematografici sono diventati dei luoghi di dibattito politico e sociale. È sempre stato così, è vero, ma ho l’impressione che in passato il ruolo delle giurie fosse prima di tutto quello di segnalare gli aspetti artistici, mentre oggi nelle scelte di una giuria ci si attende di leggere delle risposte a questioni importanti legate alle minoranze, all’ecologia o alla guerra. Quindi la nostra responsabilità è complessa, ma ho l’impressione che le discussioni all’interno della giuria siano proficue. In ogni caso la mia natura è diplomatica: non amo la guerra, amo l’intesa». 

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